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1994 - LOMBARDI ALLE CROCIATE

Da Tragnone a Fidel Castro

"Da Tragnone a Fidel Castro"
1992-2003: gli Eventi che Sconvolsero L'Aquila

Un Libro di Angelo De Nicola


Indice Capitoli

Prefazione | 1992 | 1993 | 1994 | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003



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1994
Enzo Lombardi sul palco dei comizi in piazza Duomo durante la campagna elettorale per le Comunali nel maggio del 1998.



Da Tragnone a Fidel Castro
14 febbraio 1994, San Valentino

Si alzò dalla poltroncina e, stringendo tra le mani quella valigetta ventiquattrore che aveva sempre tenuto vicino a sé, annunciò con voce fumante di rabbia che abbandonava la trasmissione. Di quella serata del 2 dicembre del 1993 negli studi dell'emittente aquilana TvUno, ricordo soprattutto gli occhi sgranati del giornalista dell'Ansa Antonio Andreucci (all'epoca segretario nazionale dell'Unci, Unione nazionale cronisti italiani) il quale, seduto al mio fianco, guardava sbigottito alternativamente me e l'altro ospite, il giovanissimo giudice Marco Paternello (all'epoca segretario regionale di "Magistratura democratica"). Io, altrettanto spiazzato dalla mossa, interrogavo con lo sguardo, di fronte a me, il conduttore Roberto Ettorre il quale, preso anche lui alla sprovvista, si stava sbracciando col regista-cameraman Marcello Aromatario affinché cambiasse l'inquadratura. La telecamera, tarata su un campo lungo per poter mostrare gli ospiti posti di fronte al conduttore, era fissa sulle mani del senatore ed ex sindaco Enzo Lombardi che reggevano la ventiquattrore. Sullo schermo, come poi mi hanno raccontato dopo (non sono, infatti, mai riuscito a rivedermi: la prevista replica del pomeriggio successivo non andò in onda né quel giorno né mai) per un tempo che a noi in studio parve interminabile, si videro solo quelle mani e quella valigetta. Ma, sebbene il filo del microfono (rimasto attaccato alla giacca dell'ospite "offeso") fosse teso come una corda di violino, si sentì bene la voce del senatore che, come aveva fatto poco prima in diretta ("Lei è un giornalista ed un provocatore- mi aveva, ad un certo punto, apostrofato al colmo dell'ira nell'incalzare delle mie domande- anzi, un giornalista provocatore"), lanciava strali ed accuse contro tutto e tutti e soprattutto contro magistrati e giornalisti. Un complotto, insomma. Parlò, in piedi, "impallando" la telecamera, e se ne andò lasciandoci con un palmo di naso a concludere quell'infuocata diretta, destinata a restare nella mente di molti visto che ancora oggi, a distanza di dieci anni, qualcuno mi rievoca quell'episodio con mia grande meraviglia.

La denuncia di un complotto, appunto. Così l'avevo raccontata il giorno prima della trasmissione:

Tre magistrati, un poliziotto, un avvocato, alcuni cittadini e tutti (o quasi) i giornalisti ce l'avevano con lui. Una specie di complotto, condito di strumentali fughe di notizie sulle numerose inchieste che lo riguardano. Questo ha denunciato il senatore Enzo Lombardi (Dc) alla Procura di Perugia. Gli episodi, finora oscuri, del "complotto" sono venuti a galla ieri (fuga di notizie?) dopo che sono stati interrogati, come testi, i cronisti giudiziari dei tre quotidiani locali. Li ha ascoltati l'agente della polizia giudiziaria di Perugia che ha accompagnato all'Aquila il Pm umbro Maurizio Muscato titolare dell'indagine che vede iscritti nel registro delle notizie di reato il Pm aquilano Fabrizio Tragnone, quello di Vasto Antonio La Rana e Paolo Summa (ex Procuratore presso la Pretura dell'Aquila, ora alto funzionario presso il Ministero di Giustizia).

Ai tre giornalisti sono state poste le stesse, identiche, domande rivolte loro in un'inchiesta avviata dalla Procura aquilana dopo un'analoga denuncia di Lombardi per fughe di notizie. In quell'occasione finì indagato il commissario della polizia giudiziaria, Roberto Vitanza, ma l'inchiesta fu archiviata. Stavolta Lombardi ha alzato il tiro sui tre magistrati e perciò indaga la Procura di Perugia, competente a procedere contro i giudici abruzzesi. Ma deve indagare anche la Procura aquilana sui denunciati non magistrati (tra cui lo stesso Vitanza): potrebbe, quindi, scattare un'imbarazzante inchiesta-bis. Dai giornalisti sono venute le stesse, identiche, risposte date nella prima indagine: nessuna fuga di notizie dalla Procura. Ma, anche dalle domande, s'è scoperto che il senatore ha denunciato un episodio risalente al primo processo (in Pretura nel 1990) che lo vide imputato e che suscitò feroci polemiche, quello sulla vicenda dell'appalto per la costruzione di scuola elementare del quartiere di Pile: accuserebbe l'avvocato aquilano Francesco Carli (all'epoca legale della parte civile) di aver presentato un atto illegale per cercare di danneggiarlo. E s'è scoperto perché è stato denunciato l'ex Pm Summa: accadde che un cittadino presentò un esposto alla Procura presso la Pretura sostenendo, col supporto di alcune foto, che la discarica "La Cona" era abusiva; Lombardi (all'epoca sindaco) venuto a sapere della denuncia (fuga di notizie?) si recò dal Pm Summa per fargli presente che le accuse erano tutte false, anzi costruite; Summa inviò gli atti per competenza alla Procura presso il Tribunale che, dopo aver indagato il senatore, archiviò il caso; ebbene, Summa è stato denunciato perché, nonostante le discolpe di Lombardi, non chiuse il caso. (1)

L'avvocato Francesco Carli subito replicò ironico: "Ebbene sì, non posso più negarlo! Organizzammo un complotto contro il senatore Lombardi. Eravamo ossessionati dal suo impegno per la Perdonanza (noi, come si sa, volevamo la Castiganza). Ci incontravamo nottetempo a viso coperto e stabilivamo i ruoli di ognuno (giornalisti, magistrati, avvocato, poliziotto). Cercammo l'appoggio dei Corleonesi e della Banda della Magliana ma, alla fine, agimmo da soli". (2)

"Non un complotto contro di me- preciserà Lombardi in una delle sue famose conferenze stampa-. Di ciò che ho segnalato alla Procura di Perugia, solo il 10 per cento riguarda le mie vicende giudiziarie ed il 90 per cento quelle di altri cittadini. Quali casi? Per esempio l'arresto del sindaco Giuseppe Placidi (Dc) o dell'assessore Mariano Volpe (Dc). Nonché quella tortura degli arresti che si sapevano in città ancora prima di essere eseguiti". (3)

Un complotto, dunque, fatto soprattutto di "strumentali fughe di notizie". Lombardi le aveva già denunciate, con una querela al Procuratore della Repubblica dell'Aquila, nel gennaio precedente dopo un interrogatorio- fiume in Procura:

Il sottoscritto Enzo Lombardi espone alla S.V. quanto segue, per i provvedimenti che dalla S.V medesima saranno ritenuti di giustizia. 1) Come da notizie pubblicate dalla stampa, lo scrivente ha appreso che il sostituto procuratore, in ordine alla vicenda urbanistica meglio nota come "Strinella 88", procedeva ad indagini preliminari nell'ambito delle quali si ipotizzavano, come commessi dall'esponente, i reati di abuso d'ufficio e falso. 2) Su preventiva sua richiesta orale, inoltrata al procedente Pm dott. Tragnone, l'esponente veniva ascoltato dal precitato magistrato inquirente con inizio alle ore 16 del 12 gennaio 1993 e con termine alle ore 2 circa del 13 gennaio 1993. 3) All'interrogatorio, cui spontaneamente (lo scrivente è, infatti, parlamentare della Repubblica e, al momento, non gli risultava né richiesta da parte del Pm, né tantomeno ovviamente, concessione della correlativa autorizzazione a procedere da parte del Senato) in qualità di senatore, il deducente si è sottoposto, erano presenti (oltre all'esponente medesimo): a) il Pm inquirente, dott. Tragnone; b) il difensore dello scrivente, avv. Francesco Chiofalo; c) il vicequestore della polizia giudiziaria presso il locale Tribunale, dott. Roberto Vitanza; d) una dattilografa (fino alle ore 23 circa, momento in cui la stessa, andata via per l'ora ormai tarda, è stata sostituita dall'appuntato Tullio Valente, della Guardia di Finanza, che ha continuato, manoscrivendo, il verbale di interrogatorio; 4) nonostante né lo scrivente né il di lui difensore abbiano rilasciato alla stampa dichiarazioni circa il contenuto delle affermazioni dell'esponente, in data 14 gennaio 1993 il giornale "Il Centro" (ed in misura meno "sfacciata", anche le pagine locali dei quotidiani "Il Messaggero" ed "Il Tempo") pubblicavano notizie, mediante le quali attribuivano, falsamente peraltro, all'esponente, asserzioni tese ad addossare, nella versione in proposito data dalla stampa, ai funzionari ed ai tecnici del Comune dell'Aquila, la responsabilità dell'intera vicenda, nota per l'appunto, come "Strinella 88"; 5) la falsità delle notizie riferite dai giornali discende, sia detto per inciso, dall'assorbente circostanza per cui, lo scrivente riteneva (e allo stato degli atti tuttora ritiene) la perfetta liceità del comportamento dei pubblici amministratori (nonché dei funzionari e dei tecnici del Comune dell'Aquila, in occasione della vicenda di cui trattasi; 6) per dolersi di tanto, e per stigmatizzare adeguatamente sul piano penale siffatta fuga di notizie (in larga misura peraltro destituite di fondamento) lo scrivente, nel pomeriggio del 14 gennaio 1993 ne riferiva oralmente al Pm Tragnone (reggente l'ufficio della Procura della Repubblica) dopo averne, al mattino, fatto cenno al colonnello dei carabinieri, Rosario Greco; 7) oralmente invitato dal ten. colonnello Antonio Angelillo dei carabinieri dell'Aquila, lo scrivente, unitamente al proprio difensore, nel pomeriggio del 18 gennaio 1993 sporgeva formale denuncia (relativa al cennato e ad altri episodi) dell'accaduto; 8) in data 23 gennaio 1993, inoltre, contrariamente alle proprie attese, lo scrivente, con estremo stupore non disgiunto da sommo rammarico, doveva constatare che il giornale "Il Centro" pubblicava , indebitamente ad avviso dello scrivente, larghi stralci (in più parti virgolettati) delle dichiarazioni rese dall'esponente al Pm Tragnone in sede di interrogatorio.

Lo scrivente, dalla stampa locale ha poi appreso che il Pm Tragnone avrebbe presentato al Tribunale della Libertà dell'Aquila un ricorso per impugnativa avverso il provvedimento di rigetto emesso, a quanto pare sempre a detta della stampa, dal Gip Romolo Como, in relazione a correlativa richiesta di misure cautelari restrittive, invocate dal Pm Tragnone per alcuni indagati: per il che, secondo taluni, gli atti di indagine preliminare compiuti dal Pm, non sarebbero più coperti dal regime di segretezza; 9) contrariamente alla opinione su riferita, lo scrivente ritiene che a norma dell'art. 114, secondo comma, cpp (anche con riferimento a quanto dal legislatore statuito in virtù dell'art. 116 cpp) sussista, nonostante il passaggio degli atti del Pm al Tribunale della Libertà, il divieto di pubblicazione degli stessi soprattutto ove si consideri che qui non trattasi d'indebita conoscenza (peraltro vietata dalle norme citate) di atti penali da parte di persone diverse dagli interessati, ma addirittura d'illecita pubblicazione per di più da parte di non indagati e-o imputati di atti facenti parte di un procedimento penale; 10) alla luce di quanto esposto, appare violato il disposto normativo di cui all'articolo 326 cp (segreto d'ufficio) nonché quello di cui all'art. 684 (pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale). (4)

Il senatore rincara la dose e, nella foga, fa lui una clamorosa rivelazione nel corso ancora di una delle tante conferenze stampa. Eccone la cronaca di Giustino Parisse: "A Palazzo di giustizia si respira un clima inquietante, con atteggiamenti e fughe di notizie che ledono la dignità delle persone". Il senatore Lombardi (Dc) esce allo scoperto e lo fa nel corso di una conferenza stampa convocata apparentemente solo per annunciare una querela per diffamazione al Tg3 nazionale: la sera del 2 gennaio scorso, il telegiornale diretto da Alessandro Curzi, avrebbe avvicinato il nome di Lombardi a storie di tangenti, e l'ex sindaco non l'ha mandata giù. Si capisce subito però, che il parlamentare vuole andare ben al di là e tanto per cominciare fa una rivelazione. A metà dicembre la magistratura chiese l'arresto di noti esponenti politici locali per la vicenda denominata "Strinella 14". "Ho visto amici passare dieci giorni di inferno fino a quando non si è saputo che gli arresti non sarebbero stati fatti (il Giudice per le indagini preliminari non firmò le richieste, ndr), e anche su questo ho presentato una denuncia verso chi ha violato i segreti d'ufficio, facendo trapelare una notizia che ha messo in apprensione famiglie intere che hanno vissuto col terrore di vedersi presentare in casa i carabinieri da un momento all'altro".

Lombardi stavolta non se la prende con la stampa, anche perché nessun giornale ha mai scritto che sulla vicenda di "Strinella 14" c'erano richieste di arresto. Se quegli ordini di custodia fossero scattati ci sarebbe stato il rischio che molti equilibri politici, compreso quello che si è faticosamente raggiunto dopo le dimissioni (sollecitate dallo stesso Lombardi) dalla carica di sindaco di Marisa Baldoni, saltassero. Lombardi, che è stato affiancato nel corso della conferenza stampa dal suo avvocato, Francesco Chiofalo, non fa mai nomi e cognomi, non se la prende direttamente con i magistrati, allude a chi dentro e fuori gli uffici giudiziari "ha avuto e ha l'interesse a screditare le persone".

Il partito trasversale. Il senatore è tornato di nuovo a tirar fuori l'ipotesi di una sorta di complotto ai suoi danni. Lo fece già a dicembre, quando lanciò un siluro "mortale" alla Giunta Baldoni, lo ha fatto anche ieri quando ha detto che le due principali vicende giudiziarie in cui è coinvolto, e cioè "Strinella 88" e "Strinella 14", sono nate perché "dopo anni il Coreco si e rimangiato decisioni che aveva già preso". "C'è poi chi è sempre pronto a mandare esposti- ha detto Lombardi- aprendo casi giudiziari che vengono poi adeguatamente amplificati". Tra le righe si capisce che il senatore ce l'ha con chi "vede solo una parte di quegli esposti". L'avvocato Chiofalo ha chiarito il concetto. "Chi fa un esposto mette sempre dentro una parte di verità, e una grandissima parte di falsità, a quel punto, il magistrato si trova costretto ad agire".

Strinella 14 e 88. Dopo aver parlato degli arresti richiesti per "Strinella 14" e di quelli per "Strinella 88" (già noti all'opinione pubblica perché finiti davanti al Tribunale della Libertà) Lombardi ha anche detto di aver "lavorato giorno e notte, dalla metà di dicembre al 5 gennaio, aiutato dal suo avvocato, per evitare che la città venisse umiliata". Il legale, prontissimo, ha confermato: "Il senatore non ha lavorato per sè stesso, ma per gli altri". Insomma, Lombardi avrebbe "salvato la città", nel momento in cui la magistratura stava per sferrare il suo attacco decisivo.

Lombardi ha anche detto che gli risulta che in base a alcune sue querele, sono state aperte inchieste per violazione di segreto istruttorio. Nessun nome anche stavolta, ma prese di mira sono quelle stanze di Palazzo di giustizia da dove sarebbero uscite notizie di provvedimenti della magistratura prima che ne fossero a conoscenza gli interessati: "A me è successo sia nel caso di "Strinella 14" che per "Strinella 88", ma su questa storia andrò fino in fondo, costi quel che costi", ha concluso minaccioso. Lombardi ha anche detto che chiederà al Senato che vengano concesse le tre autorizzazioni a procedere (compresa quella per la mega-cena elettorale alla "Gioia" di Pizzoli). "In quel caso l'esposto, come risulta dagli atti, fu degli avvocati Bernardino Marinucci e Antonio Valentini- ha detto il senatore-, mi risulta, però, che Marinucci ha smentito di aver voluto riferirsi a me". (5)

Lombardi mantiene la parola e sollecita ai colleghi senatori la concessione delle autorizzazioni a procedere con un discorso molto applaudito dai banchi della Dc e del Psi:

Onorevole presidente Spadolini, onorevoli colleghi, abbondanti elementi conoscitivi e argomentazioni giuridiche hanno costituito la base documentale sulla quale ritengo abbiate consapevolmente maturato l'orientamento che oggi siete chiamati a pronunciare in merito alle richieste di autorizzare la mia sottomissione a procedimenti penali relativi alla mia attività di ex sindaco dell'Aquila.

Si tratta di presunzione di reati d'abuso d'ufficio, falso e abuso edilizio, che avrei commesso in concorso con altri amministratori, tecnici e funzionari comunali, soltanto approvando alcuni atti, senza mai partecipare a nessuna fase istruttoria degli stessi, avendo dato piena delega nelle varie materie. (...) Avverto in me stesso impulsi contrastanti circa la giusta richiesta da sottoporvi. Ho fondati motivi, quelli che ho ampiamente illustrato e documentato, di ritenere che il giudizio della magistratura, almeno fin quando non si giungesse alla fase dibattimentale, potrebbe essere non del tutto sereno. Ciononostante il primo impulso è senz'altro di domandarvi che l'autorizzazione venga concessa affinché, nel rispetto delle regole istituzionali, possa dare soddisfazione al soggettivo interesse di dimostrare, anche davanti alla magistratura, quella estraneità ai fatti contestati e quella insussistenza degli stessi, di cui ritengo di aver fin qui prodotto prove eloquenti. In ragione però dell'ufficio cui siamo stati chiamati dal popolo, si affaccia anche l'idea che io debba chiedervi di voler respingere l'autorizzazione, in ragione di un interesse non soggettivo ma riferito alla collettività, di tutela delle regole istituzionali.

Mi chiedo se sia più giusto secondare l'applicazione delle regole istituzionali che dovrebbero motivare la concessione dell'autorizzazione a petto del pretestuoso teorema che sostiene gli eventi giudiziari dei quali sono involontario protagonista o se, convinto come sono della evidente estraneità ai fatti contestati, sia più giusto chiedervi che sia la sede giurisdizionale, e non quella politica, a pronunciare l'invocata formula assolutoria. Sarebbe quest'ultima la via maestra da percorrere per soddisfare il legittimo orgoglio di cittadino e di parlamentare, con il quale rivendico la proclamazione nitida ed indubitabile della mia innocenza.

Tuttavia, il pervicace disegno inquisitorio, che ha dato luogo alla richiesta di autorizzazione a procedere, mi indurrebbe a sollecitare la legittima espressione della autonomia del Senato, affinché sia rigettata una richiesta manifestamente infondata, chiaramente caratterizzata dal fumus persecutionis, acciocché torni a prevalere la regola istituzionale posta a presidio della funzione legislativa dall'articolo 68 della Costituzione.

D'altra parte però se l'onore è la testimonianza sociale resa dalla dignità umana, ognuno ha un diritto naturale all'onore del proprio nome, alla propria reputazione, al rispetto della comunità; così come, al fine di contenere gli effetti della calunnia, la società ha diritto ad una informazione onesta che rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti, la dignità dell'uomo, sia nella ricerca delle notizie sia nella loro divulgazione. Inoltre, l'autorità, quale essa sia, non trae da se stessa la propria legittimazione morale, ma soltanto dalla ricerca del bene comune e dal suo conseguimento con mezzi moralmente leciti. Nello Stato di diritto è sovrana la legge e non la volontà arbitraria degli uomini. Ogni potere deve essere effettivamente bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengono nei giusti limiti e, nel contempo, non lo prevalichino. Come ho ampiamente esposto e documentato alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, tutti questi principi sono stati vilipesi dalle intenzioni e dalle modalità che hanno chiamato il Senato ai pronunciamenti di oggi. Se il Parlamento, quale titolare della suprema autorità nel contesto dell'ordinamento giuridico dello Stato, opera per consolidare i valori che gratificano la fiducia dei cittadini e stimolano tutti a porsi al servizio della comunità, la saldatura tra Stato di diritto e diritto delle persone non subisce incrinature. Di fronte al riconoscimento di questa superiore funzione del Parlamento, posso dare chiarificatrice conciliazione ai miei dubbi, posso guardare con più fiduciosa disposizione verso la capacità di superare i turbamenti che scuotono la saldezza delle istituzioni. Posso immaginare districabili e superabili le inquietanti commistioni di poteri che ho documentato alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. Posso in definitiva ritenere che la mia coscienza e la mia dignità di senatore della Repubblica saprà misurarsi a fronte alta con gli sviluppi giurisdizionali cui vi chiedo di dare autorizzazione, secondo la libertà di coscienza di ciascuno di voi. (6)

* * * *

La clamorosa denuncia presentata da Lombardi, in tempi assai rapidi, viene ritenuta infondata, almeno nella sua parte locale aquilana, visto che ne esiste anche una parte extra moenia poiché gli atti che coinvolgono i magistrati sono stati inviati alla competente Procura di Perugia. Il Gip Romolo Como firma il decreto di archiviazione in cui, sostanzialmente, trionfa il diritto di cronaca:

Ritenuto che gli elementi probatori raccolti nel corso delle preliminari indagini non sono tali da dimostrare la responsabilità del dott. Roberto Vitanza in ordine al contestato reato (art. 326 cp, violazione del segreto d'ufficio continuata), (...) In particolare, per i fatti in relazione ai quali sono emersi più concreti sospetti nei confronti del Vitanza, va osservato:

1. l'aver comunicato ad un giornalista, il 2 dicembre 1992, i nominativi di indagati per i quali il magistrato aveva già firmato informazioni di garanzia, depositate in segreteria per la materiale spedizione a mezzo posta, a parere di questo ufficio non comporta violazione dell'obbligo del segreto per effetto della prima parte dell'articolo 329 cpp (in relazione quanto al divieto di pubblicazione al comma settimo dell'articolo 11) trattandosi di atti già emessi dal Pm e per loro stessa natura conoscibili dai diretti interessati anche se di fatto non ancora conosciuti. Va appena osservato in proposito che il combinato depositato dagli art. 369-329 e 114 cpp per quando criticabile, si pone in linea con la scelta a suo tempo fatta dal legislatore della riforma penale di privilegiare il diritto di cronaca rispetto alle esigenze di riservatezza; a prescindere nel caso di specie dalla correttezza del comportamento dell'ufficiale di polizia giudiziaria e dalla eventuale sussistenza di altri reati conseguente alla pubblicazione della notizia sotto il profilo della lesione dell'onorabilità delle persone e di contro dell'interesse pubblico alla conoscenza della notizia, che non interessano in questa sede;

2. analogo discorso va fatto, anche ritenendo che vi siano allo stato sufficienti indizi che sia stato il Vitanza a fare la rivelazione per la notizia circa il contenuto dell'interrogatorio reso dal parlamentare Enzo Lombardi il 12 gennaio 1993 al Pm. Indubbiamente si tratta di un atto istruttorio che prevede non solo la conoscibilità ma addirittura la già avvenuta partecipazione dell'indagato (poco importa se si tratti di comparizione spontanea o su invito) e, quindi, non coperto da segreto a norma del richiamato articolo 329 cpp; diverso discorso può farsi per la successiva pubblicazione su un quotidiano di parti integrali dell'interrogatorio, pubblicazione non consentita nella fase delle indagini preliminari, ma questo fatto ulteriore non è attribuibile di per sé oltre che a chi ha eseguito la pubblicazione (copia degli atti risulta trasmessa al giudice competente) anche al pubblico ufficiale che abbia fornito la notizia, in assenza di prova sul concorso nel reato da parte di quest'ultimo; in ogni caso risulta che il giornalista che ha pubblicato stralci del verbale di interrogatorio, valendosi della facoltà di opporre il segreto professionale ai sensi dell'articolo 200 cpp, non ha inteso rivelare la fonte di quella informazione;

3. la diffusione, peraltro non a mezzo stampa, di notizie circa la richiesta del Pm di adozione di misure cautelari nell'ambito di procedimento penali conosciuti come "Strinella 14" e "Strinella 88", misure poi non emesse dal Gip, richiesta che sicuramente doveva restare segreta, non vi è prova che sia attribuibile al Vitanza perché tutti i giornalisti che in ipotesi avrebbero partecipato a informali conferenze-stampa, o comunque incontri con il funzionario di polizia giudiziaria, hanno escluso una circostanza del genere, e tra essi anche i due giornalisti (Sergio Adriani e Peppe Vespa), indicati dall'avvocato Egidio D'Angelo come persone che lo avrebbero poi informato in tal senso. Proprio il D'Angelo ha peraltro indicato altra fonte della notizia e cioè un consigliere comunale (Pierluigi Tancredi) che a sua volta l'aveva avuta dall'ex assessore Fantasia coinvolto in quella inchiesta e "forse" informato dal suo avvocato. (...) (7)

* * * *

In piena estate, tre giorni dopo Ferragosto, il 18 agosto 1993, arriva il clamoroso "blitz spettacolo" in Municipio per l'arresto (ai domiciliari) dell'allora sindaco ed allora lombardiano, Giuseppe Placidi, e del capo dell'Ufficio legale del Comune, l'avvocato Egidio D'Angelo, per sospetti di abusi in atti amministrativi. Lombardi riesplode. In una conferenza stampa, ovviamente. Scrivo:

Scarpe da barca, jeans, giubbetto di cotone, niente cravatta. Con questa "armatura" ieri il senatore Lombardi s'è vestito da crociato proclamando l'avvio di una battaglia, a suo giudizio, sacrosanta: riconvertire al diritto la magistratura abruzzese e quella del capoluogo in particolare. Il proclama è stato formalizzato in un incontro con la stampa in cui Lombardi ha annunciato di aver presentato un'interrogazione parlamentare "per fare piena luce su modalità e tempi" di molte inchieste avviate in Abruzzo contro i politici. (8)

Si tratta di una durissima interrogazione urgente al Guardasigilli:

Premesso che il giorno 29 settembre 1992 e seguenti, per i presunti reati di abuso di potere e falso, venivano sottoposti alla misura coercitiva degli arresti presso il carcere San Domenico dell'Aquila, il presidente della Regione, Rocco Salini, nonché componenti della Giunta regionale determinando, per la prima volta in Italia, una vistosa, -purtroppo ancora irrisolta in termini di previsione normativa- improvvisa e repentina delegittimazione di ben due organi su tre previsti dall'art. 121 della Costituzione; che nei mesi di dicembre 1992 e gennaio 1993, sempre per presunti reati di abuso di potere e falso erano state richieste- e per fortuna negate dal Gip- numerosissime misure coercitive di arresti cautelari nei confronti, tra gli altri, di gran parte dei componenti la Giunta municipale dell'Aquila, in relazione a due procedimenti penali meglio noti come "Strinella 14" e "Strinella 88"; il 18 agosto 1993 venivano arrestati e sospesi dalle funzioni per due mesi -la scarcerazione è avvenuta il 27 agosto- sempre per i presunti reati di abuso d'ufficio e falso, il sindaco in carica dell'Aquila e l'avvocato generale del Comune per aver proposto ricorso al Consiglio di Stato avverso un provvedimento del Tar dell'Abruzzo, soccombente il Comune, ivi ravvisando l'ipotesi di reato per la celerità e modalità del ricorso; che il 28 Agosto 1993 venivano arrestati l'assessore al Commercio del Comune dell'Aquila, Volpe, nonché il Funzionario comunale preposto al settore commercio e il titolare dei Supermercati Gallucci, per il presunto reato di abuso d'ufficio in concorso.

Considerato che: in tutti i casi in questione, a prescindere dalle valutazioni- pure significative- sulla corretta applicazione della lettera e dello spirito delle norme sulla adozione di misure cautelari tanto gravi quali gli arresti, ancora più gravi e tali da suscitare serie perplessità e sgomento nella pubblica opinione sono le modalità di esecuzione delle stesse; è da rilevare, infatti, una inammissibile spettacolarizzazione di quegli eventi che non ha precedenti, nonché la scelta dei tempi, luoghi e modalità della loro esecuzione che fanno sorgere seri dubbi sulla legittimità delle operazioni in tal guisa svolte; in tutti i suddetti casi- ma è ormai diventata una costante in quasi tutti i procedimenti- i soggetti da sottoporre alle misure cautelari degli arresti vengono a sapere quanto sta per accadere loro già molti giorni prima, attraverso notizie sistematicamente fatte trapelare dal Palazzo di Giustizia che, incontrollate e dirompenti hanno l'effetto (voluto?) di sottoporre ad una vera e propria tortura psico-fisica gli interessati ed i loro parenti ed amici.

Chiede si sapere: 1) Se siano stati avviati rigorosi controlli sulla condotta conseguente alle azioni giudiziarie presso il Distretto della Corte d'Appello dell'Abruzzo e, in specie, presso gli uffici giudiziari dell'Aquila; 2) se siano state censite modalità e contenuti delle innumerevoli comunicazioni giudiziarie riguardanti, dal 29 Settembre 1992, il presidente, i componenti le Giunte regionali ed i consiglieri regionali, paurosamente proliferate solo dopo l'arresto della Giunta allora in carica e se ciò sia frutto di un normale e sereno svolgersi dei fatti, visto che non un solo processo è stato avviato né è stato richiesto ancora un solo rinvio a giudizio; 3) se non ritenga doveroso accertare, specie in relazione alla continua fuga di notizie su imminenti arresti, la portata e le responsabilità di comportamenti capaci di innescare atroci reazioni negli individui oggetto di simili "attenzioni" e profondo sconcerto nell'opinione pubblica; 4) se si intenda prendere iniziative per determinare il ritorno ad un modo di amministrare la giustizia più consono alle esigenze della stessa salute psico-fisica degli indagati.

Chiede, inoltre, di sapere: 5) se risponda a verità- e, in caso affermativo, se sia legittimo e quali provvedimenti si intendano adottare- che il 18 agosto 1993 si è verificata, per eseguire oltre l'arresto del sindaco e di un funzionario, una perquisizione nella sede comunale dell'Aquila, una vera e propria occupazione di quell'edificio, con impedimento per alcune ore dello svolgimento di servizi al cittadino, interdizione agli impiegati ed a chiunque altro di entrare ed uscire dagli uffici e disattivazione delle linee telefoniche dalle ore 11 alle ore 15.30; 6) se risponda a verità che il giorno 28 agosto 1993, nel pomeriggio, mentre era in corso la celebrazione della Perdonanza, c'è stata da parte di personale della polizia giudiziaria dell'Aquila, senza avvertire nessun funzionario o amministratore, una "perquisizione clandestina" di alcuni locali, fra i quali gli uffici di un assessore; 7) se risponda a verità e, se vero, come possa giustificarsi, che la Procura dell'Aquila, per numerose indagini specie nei confronti di amministratori di Enti locali, abbia utilizzato ampiamente, anche con funzioni delegate di polizia giudiziaria, un ex consigliere comunale Dc, uscito peraltro da quel partito con forti polemiche e già ex candidato Msi per il Senato (geom. Carmine Centi, n.d.r.); 8) se risponda al vero che, appena rieletti il Presidente e la nuova Giunta Regionale, a seguito degli arresti del 29 Settembre 1992, il dott. Vitanza, Capo della Polizia Giudiziaria, si recò presso il neo eletto Presidente, prof. Vincenzo Del Colle, ed alla presenza di tale dott. Arnaldo Finarelli, affermò di voler sapere i motivi e le ragioni per i quali lui ed il suo partito erano giunti alla determinazione di voler ricostituire gli organi attivi della Regione Abruzzo; 9) se risponda a verità che- e, in caso affermativo per quale ragione- dopo 5 giorni dall'avvenuto arresto del presidente e componenti della Giunta regionale, per l'affare Pop, la Procura dell'Aquila affidava al sig. Marzio Gigliozzi, di professione ingegnere, tecnico di fiducia, l'incarico di raccogliere tutta la normativa vigente sui finanziamenti Cee; 10) se sia vero che, a fronte di una sollecitudine e tempestività nell'avviare le azioni giudiziarie in alcuni casi, per molti altri casi si assiste ad una totale- almeno in apparenza- "inazione" di mesi ed anni! (9)

* * * *

L'iniziativa di Lombardi è clamorosa. Un attacco frontale alla magistratura, idolatrata e temuta in tutto il Paese in quei giorni dell'inchiesta di "Mani pulite". Il clima si fa incandescente e la replica dell'Associazione nazionale magistrati (Anm) non si fa attendere. Scrivono i magistrati Angelo Zaccagnini ed Angelo Bozza, rispettivamente segretario e presidente della Sezione distrettuale abruzzese dell'Anm:

(...) Vi sono state nell'intervento non certo disinteressato del senatore Lombardi- per quanto egli si sia ammantato dell'intento di perseguire fini di giustizia con una mossa che, a suo dire, "... non è contro i giudici ma a favore dei giudici..."- affermazioni che meritano di essere contraddette perché costituenti il tentativo neppure nascosto, ma non troppo esplicito, di giustificare la illegalità diffusa assurta a costume nella amministrazione della cosa pubblica. Premesso che quello di "giustizia" non è termine riferibile solo alla attività giudiziaria, bensì anche a qualsiasi attività che regola i pubblici poteri i quali gestiscono immense risorse, non pare accettabile che la violazione sistematica delle leggi per favorire taluno a danni di altri, grazie all'intervento di un nume tutelare, possa essere fatto passare, con risibile operazione terminologica, per "clientopoli" e non per "tangentopoli" per usare il lessico del senatore Lombardi. Come se la "Clientopoli" rappresenti rispetto al sistema legale anche penale, qualcosa di indifferente o al più una mera trascurabile "irregolarità". Va rammentato che vanificare una gara di appalto per favorire taluno, oppure rilasciare provvedimenti autorizzativi nella consapevolezza della loro illegittimità palese per favorire i "clientes" o, ancora, distribuire posti di lavoro alterando o istigando ad alterare le procedure concorsuali etc, sono tutte situazioni che violano innanzitutto le regole morali, poi le leggi amministrative ed hanno altrettanti riferimenti nella legge penale con la denominazione di "turbativa d'asta", "abuso in atti di ufficio", "falso in atto pubblico" e così via. Cioè reati contro la pubblica amministrazione e contro la pubblica fede quest'ultimi ad es. puniti con pena della reclusione sino a dieci anni. Ciò per l'ovvia ragione che chi rappresenta i pubblici poteri ha il dovere, non amministrando egli ciò che è suo bensì la cosa di tutti, di assumere posizioni imparziali, improntate al perseguimento della trasparenza e del buon andamento amministrativo nel rispetto rigoroso delle leggi da cui nessuno può ritenersi sciolto in uno stato di diritto troppe volte invocato ed altrettante volte vilipeso. Si tratta di principi tanto fondamentali da dover essere ritenuti scontati, eppure proprio perché dimenticati da chi ha l'obbligo di osservarli, è qui necessario ribadirli. Porre in discussione tali principi, punto di riferimento in ogni approccio di esame delle vicende in termini di giustizia, significa minare in radice le fondamenta di ogni democrazia degna di questo nome. È allora fuor di luogo, ove si dimentichino tali fondamentali principi, porsi quali predicatori a tutori di giustizia con iniziative rumorose e certamente strumentali. (...)

Occorre qui precisare, per il cittadino che legge, che i provvedimenti di custodia cautelare sono soggetti a verifiche plurime di legittimità da parte di vari organi giurisdizionali collegiali compresa la Cassazione. Nel caso riferibile, ad esempio, alla nota vicenda dei "Pop" che ha visto coinvolta la Giunta regionale, tutti i mezzi di controllo sono stati esperiti ed i provvedimenti hanno trovato sempre piena conferma anche presso diverse sezioni della Corte di Cassazione. (...) Né può essere trascurato che quello della custodia cautelare è istituto sempre facoltativo seppure ancorato a rigidi presupposti sicché non è vero che nei casi milanesi l'uso sarebbe obbligatorio mentre nei casi abruzzesi, che peraltro non mancano di numerosi fatti integranti le ipotesi della corruzione e della concussione, sarebbe discrezionale ed abusato. Ciò che appare di maggiore gravità nella realtà che emerge, è che in talune importanti sedi politico-amministrative in cui pure doveva essere applicata la legge, non esistendo nel nostro ordinamento costituzionale zone franche, sia invalso il convincimento, troppe volte attuato, che la norma anziché essere regola vivente di comportamento, fosse invece una regola del tutto teorica la cui osservanza è rimessa al libero arbitrio dell'operatore. Questa distorta concezione, inconciliabile del tutto con lo stato di diritto, cozza con l'intero sistema ordinamentale ponendosi al di fuori di esso. (...)

In conclusione va debitamente evidenziato che è fin troppo facile, a chi può averne interesse, fornire versioni alle quali chi è a conoscenza dei fatti non può replicare essendo legato ad inderogabili doveri di riservatezza deontologici è funzionali.

La dialettica processuale, debitamente garantita dal nostro codice ha la sua sede propria nelle aule giudiziarie e non nelle piazze. (10)

Il sottosegretario alla giustizia, Vincenzo Binetti, chiude la partita anche in Senato: (...) Tutte le obiezioni sollevate da Lombardi- scrive Giancarlo De Risio- che mettono in gioco la credibilità dell'azione della magistratura inquirente, secondo Binetti, non sono fondate. Né appaiono plausibili, aggiunge, le doglianze circa le mancate cautele della Procura nelle inchieste citate e l'uso distorto della custodia cautelare. Quanto alla fuga di notizie, proprio la magistratura aquilana, dice Binetti, ha aperto un'inchiesta sugli episodi contestati. Quanto, inoltre, agli arresti dell'agosto scorso all'Aquila, gli ispettori mandati dal Ministero avrebbero accertato che non sono fondate le contestazioni "sulla presunta eccessiva spettacolarità dell'intervento della magistratura e su una presunta perquisizione clandestina del Municipio aquilano perché tutte le operazioni sono avvenute con la partecipazione costante del Pubblico ministero". Quanto all'incarico a Gigliozzi, non risulta a Binetti che gli sia stato affidato. Ma, dice ancora Binetti "al di là delle conclusioni dell'inchiesta ministeriale va riconosciuta l'esistenza del problema di un uso improprio della custodia cautelare, della spettacolarizzazione degli arresti e della violazione sistematica del segreto istruttorio. A questo proposito il Governo ha predisposto un disegno di legge per giungere ad una regolamentazione più garantista dell'istituto". (11)

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È in questo clima di scontro durissimo che Lombardi matura l'idea "folle".
La mattina del 14 febbraio 1994, il giorno di San Valentino, un lunedì, il senatore si incatena alla cancellata del Palazzo di giustizia dell'Aquila. In piedi, anche stavolta, ma in catene. Quella mattina dal freddo pungente, ero "di corta" (fuori dal gergo giornalistico: avevo il giorno libero). Passai, per caso, davanti al Palazzaccio con l'auto. Vidi una gran folla assiepata davanti all'ingresso lungo via XX settembre. Parcheggiai l'auto in tripla fila. Mi avvicinai. Mi bastò un secondo per capire. Ricordo ancora quello sguardo, perso nel vuoto, di "un senatore che s'era messo a fare il Rapagnà", sotto un colbacco e con le catene strette attorno ad un cappotto di montone lungo fino al polpaccio. Rimasi sconvolto, inebetito anch'io. Ripresi la macchina e scappai da lì. Realizzai subito che, di fronte a quella clamorosa iniziativa, in redazione poteva esserci bisogno di una mano ma decisi di non andare: avevo il giorno libero, o no? Non mi presi la briga nemmeno di telefonare in redazione (figurati se non lo sanno, mi dissi). Quella "notizia bomba" che io volevo a tutti i costi rimuovere dalla mia mente, così la raccontò Stefano Tamburini:

Eccolo il senatore incatenato. Risponde con un cenno a tutti quelli che lo salutano, a qualcuno stringe anche la mano, ma non risponde alle domande. C'è anche quel pizzico di mistero che non guasta mai, in questo show alla Pio Rapagnà che per una mattinata intera diventerà l'insolita attrattiva degli aquilani. C'è chi ci si trova per caso, ma c'è anche chi si affretta a chiedere qualche ora di permesso in ufficio per mettersi lì davanti a gustarsi lo spettacolo. Le scene che si susseguono andrebbero benissimo per un "blob" televisivo. Esce dal Palazzo, Alberto Panepucci, un missino che ce l'ha con Lombardi per una discarica provvisoria che ormai sta da più di dieci anni vicino a casa sua, e grida: "Ben ti sta, ci dovevi pensare prima...". Poco più in là si ferma un'anziana signora con le borse della spesa. Chiede: "Poveraccio, quello là, ma che è uno che è rimasto senza lavoro? Uno che chiede aiuto?". Quando le dicono che è il senatore Lombardi, comincia a gridare di tutto, e non più per commiserazione. Arrivano anche alcuni studenti che avevano marinato la scuola e che hanno trovato in quel cancellone un insperato diversivo. Uno di loro tira fuori dallo zainetto una macchinetta fotografica e invita i compagni a farsi riprendere accanto al senatore. L'occhiataccia di Lombardi sconsiglia qualsiasi altra mossa. Ma le foto, ormai, le stanno facendo in tanti, non solo i fotografi che lavorano per i giornali. I più audaci, fra i cacciatori di souvenir, si avvicinano a pochi metri. Altri hanno conquistato postazioni di favore nei palazzi di fronte. Arrivano anche le troupe di radio e tv, e una televisione aquilana, TvUno, riesce anche ad attrezzare una diretta. Hanno anche fortuna, perché aprono la trasmissione proprio mentre Lombardi si libera dalle catene. Lo spettacolo tira, anche se molti di quelli che sono lì, sono i compagni di scuderia Lombardi. C'è l'ex sindaco Giuseppe Placidi, arrestato per una storiaccia di abusi che si affretta a dichiarare: "Il gesto del senatore dimostra che forse non viviamo più in un paese civile, se per ottenere giustizia bisogna giungere a tanto". Arriva Celso Cioni, l'altro fido scudiero politico di Lombardi, anche lui finito sotto inchiesta: "Sono venuto nonostante non mi senta bene per esprimere solidarietà a Lombardi". E c'è Ennio Molina, della Lega, feroce avversario del senatore Lombardi: "C'è gente che non sopporta una rapida decadenza e finisce per fare cose di questo genere". Il segretario aquilano del Partito repubblicano, Franco Marulli, è ancora più duro: "Credo che questo caso non possa essere approfondito in sede politica, qui siamo di fronte a un caso clinico". Ma poi arriva un alleato a sorpresa, il missino Alberto Piccinini: "Qui stanno facendo strage del diritto, giusta la lotta del senatore". Altri uomini della corte lombardiana sono ancor più arrabbiati: "Ogni volta che il senatore si muove, arriva un nuovo avviso di garanzia. Domenica ha fatto la convention e due giorni dopo lo hanno colpito di nuovo". Poi, comincia la sfilata degli inquisiti che vanno lì per stringergli la mano e baciarlo. Arrivano l'ex assessore socialista Romano Fantasia, l'ex consigliere del Centro turistico, Carlo Frutti, poi Sabatino Pupi, ex consigliere comunale un po' per conto del Psdi e un po' per conto della Democrazia cristiana. Lo spettacolo lo fanno anche, uno alla volta, tre colleghi della Tv che provano a intervistare il senatore senza avere risposte. Proprio come in un vero e proprio spettacolo di cabaret. (12)

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Nella stessa, convulsa, giornata arriva un comunicato:

La segreteria del sen. Lombardi, in relazione alla iniziativa di questa mattina nonché alla luce delle notizie in proposito diffuse dagli organi di informazione, ritiene inevitabile comunicare come la questione della eventuale candidatura alle imminenti elezioni è del tutto estranea al gesto compiuto; auspica che la rilevanza di tale gesto e le sue ragioni ispiratrici vengano percepite in relazione alle anomalie di funzionamento della giustizia in un momento particolarmente delicato per il Paese. Chiarisce, da ultimo, che l'interruzione dell'iniziativa è stata determinata dall'attenzione che le autorità istituzionalmente competenti hanno ritenuto necessario riservare all'episodio. (13)

E alle elezioni (anticipate) politiche del marzo 1994, "scaricato" dal Partito popolare (la prima delle costole filiate dalla Dc schiantata da Tangentopoli) Lombardi si candida, correndo con una propria lista, contro Ferdinando Di Orio (Progressisti) e Marco Conti (Popolari). La sua fu una campagna elettorale davvero atipica per "una battaglia che merita di essere combattuta -dichiara il parlamentare in un'intervista a Vittorio Perfetto- perché il nostro territorio rischia di rimanere sguarnito e preda delle meteoriti, come Di Orio, che non hanno agganci, connessioni con il territorio (...) I cittadini devono sapere che all'Aquila esisteva l'egemonia di alcune "famiglie" che avevano in mano tutto il territorio. Se si mettevano d'accordo, una cosa si faceva, se non si mettevano d'accordo, non si muoveva paglia. Si mediava tutto e la città è rimasta per anni indietro. Io ho avuto la forza di rompere questo equilibrio, questo trasversalismo, questi cointeressi che sono sempre stati interessi di pochi che portavano benefici a pochi, a quelli della stessa appartenenza politica. Ora non ci stanno a non poter comandare più e usano tutti i mezzi per non soccombere. È anche comprensibile". (14)

La sua campagna elettorale fu così atipica che, attraverso un volantinaggio, il senatore uscente fa diffondere un articolo dal titolo "Lombardi che tipo è?", con questo sottotitolo: "Un autorevole giornalista ha scritto un articolo che non è stato pubblicato e che merita di essere conosciuto. Il nome dell'autore, depositato presso il notaio Antonello Faraone dell'Aquila, sarà reso noto a campagna elettorale conclusa". Ecco il testo di quell'articolo:

Enzo Lombardi è un tipo spinoso, che ti squadra sempre con occhi sospettosi. Secondo molti, non è simpatico a prima vista. La sua battaglia con alcuni giornalisti fa parte della storia della città. Più lui polemizzava e puntava il dito accusatore, più alcuni giornali lo bersagliavano, aspettando ansiosi la prossima richiesta di autorizzazione a procedere per fatti di quando era sindaco dell'Aquila. Di questo passo, si è creato un clima di contrasto, di conflittualità permanente, con momenti roventi. Alcuni giornali si sono divertiti a pubblicare, a corredo dei loro servizi, delle foto "scelte", in cui Lombardi mostra un'espressione astiosa e severa. Autentiche baruffe con quello che in altri Paesi è il "quinto potere" e in Italia, forse, molto meno: la stampa. Il risultato non è apparso favorevole a Lombardi, fin da quando era ancora sindaco dell'Aquila. Poi ci sono state le vicende giudiziarie, le battaglie del senatore per i diritti dei cittadini. "Non lo faccio per me, almeno non solo per me, ma per tutti i cittadini", ha sempre predicato Lombardi nelle conferenze stampa. Fino all'episodio più eclatante: le catene al Palazzo di giustizia. Catene allusive, amare, che hanno davvero lasciato a bocca aperta la città e la regione. Un gesto coraggioso, per alcuni. Troppo eclatante, per altri. Comunque, fortemente polemico, incisivo, senza precedenti in Abruzzo. Un senatore incatenato al tribunale non capita tutti i giorni. Quel gesto ha conquistato simpatie a Lombardi? Difficile dirlo. La gente non ama le "esibizioni" eclatanti. Non ne è capace di solito, quindi non le ama. Come non ama tutte le manifestazioni di diversità. Però, molti, in cuor loro, hanno pensato: "Quest'uomo dev'essere proprio disperato, esasperato, per arrivare a tanto...". Lombardi, quando non era né sindaco né altro, era in buoni rapporti con i giornalisti. Si ricorda un'epica sua cena, in un paesino della Valle dell'Aterno, a base di "micischia", un antico e quasi dimenticato piatto pastorale. Il senatore ama cucinare e far vedere che sa farlo. Sa andare giù duro, testardo, tenace, in molte cose. Proclama che combatterà le "famiglie" che dominano la città, e certamente lo farà. Le "famiglie" gli hanno giurato di togliergli voti, e lo faranno. Ma c'è la gente, quella che le "famiglie" non riescono a controllare, e quella deciderà nel segreto dell'urna. Su un punto sono tutti d'accordo, anche gli avversari, magari a denti stretti: fu un buon sindaco, attivo, aggressivo, con in tasca sempre il bigliettino delle cose che non andavano. Non ha fatto in tempo ad essere anche un buon senatore, o meglio ad esserlo tanto quanto avrebbe voluto: la burrasca politica italiana ha provocato lo scioglimento delle Camere. Eppure, diverse cose buone le aveva già avviate, anche a livello nazionale. Ora ci riprova, da solo, cocciuto com'è suo costume, sicuro soltanto di un pugno di amici fedelissimi. I Partiti, anche il suo (la ex Dc), lo vedono come il fumo negli occhi. Certo, dà fastidio a tutti i suoi avversari e concorrenti. Sta spianando l'Aquilano e la Marsica con metodi matematici, zona per zona: vuol farsi conoscere, vuole che la gente giudichi sentendo la sua voce e non il racconto degli altri, sempre influenzato, sempre distorto. Come certi articoli, direbbe subito Lombardi; e certe verità manipolate. Qualche volta somiglia molto ad un rivoluzionario vagamente anarchico, vagamente donchisciottesco, che infilza mulini a vento uno dopo l'altro, senza preoccuparsi delle pale rotanti e affilate. Don Chisciotte è un simbolo, un pilastro dell'immaginario. Enzo Lombardi impugna la lancia e parte per la "sua" campagna elettorale. Una cosa è certa: la politica abruzzese non lo cancellerà facilmente dal ricordo. Non è un tipo che passa inosservato, questo è sicuro. Tra tanti campioni di grigiore, ecco uno che ha personalità e, diciamolo pure, gli "attributi". Nel bene e nel male, nel giusto e nell'ingiusto, nell'azzeccato e nello sbagliato. Sarà anche per questo che "famiglie", poteri occulti e meno occulti, big ed ex big vorrebbero che non ci fosse. Sai che buoni affari per tutti, se questa nostra terra vivesse ancora vent'anni di inerzia e bisogno! Un brodo di coltura per affarismo, raccomandazioni, clientele e dipendenze. Meglio Lombardi, piuttosto che le mezze figure dominanti fino ad oggi, dice qualcuno. Che fa, se è spigoloso e un po' arrogante? Almeno, qualche cosa per la gente l'ha fatta! (15)

Nemmeno questo articolo, del quale almeno io non ho mai saputo l'autore, gli porterà fortuna: otterrà poco più di 9 mila voti contro i quasi 49 mila di Di Orio.

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"Quelle catene le avevo acquistate un anno prima- racconterà Lombardi a Luigi Di Fonzo nel primo anniversario delle clamorosa protesta- e precisamente il 19 agosto 1993, il giorno dopo l'arresto del sindaco Placidi. Quella volta non mi incatenai davanti al Tribunale solo perché stavano cominciando i festeggiamenti della Perdonanza. (...) Forse un'iniziativa irrazionale, forse no, comunque credo giustificata, originata dagli arresti avvenuti nell'agosto del 1993 del sindaco dell'Aquila e che io, come ex sindaco, ho vissuto drammaticamente, come una profanazione del Comune. Il metodo usato, con tutta quella messinscena "feroce", sconvolse la città. Senza entrare nel merito della vicenda, ritenni che quell'azione si poteva fare diversamente. Differente quanto è accaduto il 14 febbraio dello scorso anno. Due giorni prima, guarda caso, mentre stanno per scadere i termini per le candidature, mi arriva un avviso di garanzia per un fatto (la vicenda Coas) i cui atti erano stati acquisiti due anni prima e nel quale io non ho alcuna parte in causa. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: nel 1990, a 15 giorni dalla presentazione delle liste per il Comune dell'Aquila, esce fuori l'inchiesta sui 500 milioni per la scuola elementare di Pile, l'unico appalto che non ho potuto fare con il massimo ribasso perché mi proveniva dall'amministrazione precedente. La stessa storia si è ripetuta nel 1991 e nel 1992. Io non voglio buttare la croce addosso a nessuno, forse saranno solo coincidenze, ammetto senz'altro la possibilità che abbia potuto fare degli errori, ma assolutamente non illeciti o per fare del male a qualcuno". (16)

Ancora più a freddo, tre anni dopo, nel giorno in cui la Corte d'Appello lo scagionerà (undicesima assoluzione, poi annullata in Cassazione e quindi confermata ancora in Appello ma per sopraggiunta prescrizione) dalle accuse per il caso di "Strinella 88", Lombardi mi dichiara in un'intervista a cuore aperto:

"Mettere una pietra sopra il passato? Nient'affatto. Credo che vada avviata una riflessione su quello che è accaduto. Certo, con pacatezza e serenità, ma non possiamo far finta che non è accaduto nulla. Non possiamo far finta di ignorare che la città si trova di fronte a delle macerie. E se sulle macerie si butta del fuoco, anche la pietra si sgretola. Io non sono stato con la testa bassa a prendere colpi sulla nuca. Quando mi incatenai, qualcuno pensava che fossi impazzito. I fatti stanno dimostrando che, al contrario, sapevo bene cosa facevo. Mi si attaccava come un arrogante ed uno fuori di sé. Né per arroganza né per pazzia ho chiuso quel lucchetto".

Domanda: Che vuol dire riflessione?
Risposta: Vuol dire che si dovrebbe riflettere sulle responsabilità, che sono anche della politica in generale, non solo dei diretti protagonisti di quel periodo. Ma io continuo a sostenere che i cittadini non sono stupidi. Io spero che, alla luce dei fatti, abbiano capito e che non sia necessario spiegare loro cosa è realmente accaduto. E soprattutto spero che i cittadini possano finalmente vedere oltre le cortine. (17)

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Per uno di quegli strani giochi del destino, nel 1990, proprio il "crociato" della guerra alla magistratura, proprio lui, Enzo Lombardi, venne accusato di contiguità con i giudici per la vicenda legata all'appalto per la costruzione della scuola elementare del quartiere di Pile. Un caso che anticiperà, di alcuni anni, temi, problematiche e polemiche che esploderanno di lì a poco nel periodo di "Mani pulite". Un caso nel quale alcuni, a ragione col senno di poi, hanno visto un passaggio epocale della storia cittadina aquilana. Storia che sembra intrecciarsi con quanto avviene (o non avviene) nei corridoi del palazzo di giustizia.

La vicenda giudiziaria legata a quell'appalto esplode sui giornali alla fine del 1987 anche se l'esposto della ditta esclusa, quella dell'imprenditore Angelo Ciccarella, ai danni della vincente, quella di Aldo Del Beato, è del giugno del 1986. Lo scoop, stavolta, lo faccio io. E non per una fuga di notizie bensì per una "furbata", eufemismo che sta per scorrettezza. Durante il solito "giro" di giudiziaria al Palazzaccio, nel parlare con un impiegato, mi accorsi che, aperto sul tavolo, c'era uno di quei registri enormi che si usavano per iscrivere i vari fascicoli processuali. Il registro era coperto da una pila di fascicoli ma spuntava, seppure scritto al contrario rispetto al mio angolo di lettura, nella casella degli imputati un numero 1 con parentesi: Lombardi Enzo, 06-07-1942, Castel di Ieri. Era lui il sindaco, senza dubbio. Con una mano, senza farmene accorgere, spostai di un po' la pila di fascicoli. Quel tanto che bastò per vedere che subito dopo il numero 1 c'erano altri nomi. Intuii che si trattava dei componenti della Giunta comunale: mi appuntai i nomi mentalmente. Ci misi oltre dieci giorni di fitte indagini per riunire le informazioni che andavo raccattando e dare loro un senso. Feci verifiche ai massimi livelli possibili (non potrei né voglio fare nomi) accorgendomi che nessuno voleva che quella faccenda venisse fuori. Altro che fughe di notizie! Non potevo sapere di quei contrasti tra magistrati che di lì a poco sarebbero emersi e così mi trovavo di fronte ad un muro, quasi che ad evitare guai certi se la cosa fosse emersa, tutti (giudici compresi) ne cercassero addirittura di negare l'esistenza. Ma le mie fonti non potevano sapere che io avevo la certezza assoluta, per averlo visto con i miei occhi, di quell'inchiesta. Fu un parto difficilissimo, ma ci riuscii. Alla fine scoprii che il Giudice istruttore (era un fascicolo istruito col vecchio rito), Augusto Pace, aveva rigettato l'archiviazione proposta dall'allora sostituto procuratore Gianlorenzo Piccioli e si apprestava a firmare, come atto dovuto, nove comunicazioni giudiziarie per l'ipotesi di interesse privato. Feci il pezzo che il Messaggero pubblica l'11 dicembre 1987, pur senza fare i nomi degli assessori, dal titolo "Sotto inchiesta la Giunta Lombardi". Non sono ancora i tempi di "Mani pulite": l'articolo, peraltro di per sé molto prudente, non è quello d'apertura (cioè il più importante) della cronaca dell'Aquila ma è collocato a centro pagina, sotto il caso della chiusura del residence "Le Cannelle" per diventare, si legge nel titolo, "un centro a disposizione del ministero degli Interni per ospitarvi immigrati polacchi".

Scoppia ugualmente un putiferio visto anche che, nei giorni successivi, escono "per induzione" anche gli altri nomi "eccellenti" sotto inchiesta:

Trattandosi di delibere della Giunta, è probabile - scrive Stefano Vespa - che le comunicazioni giudiziarie raggiungeranno anche gli otto assessori Giampaolo Arduini, Pasquale Corrieri, Romano Ferrauto, Francesco Giugno, Giovanni Giuliani, Carlo Iannini, Franco Mucciante e Mariano Volpe. (18)

Lombardi s'appronta per la sua crociata e reagisce. Tanto che Guido Polidoro prima scrive l'articolo dal titolo rimasto famoso "I... Lombardi alle crociate" contestando toni e merito di un comunicato dell'Ufficio stampa del Comune, quindi contrattacca il "Rambo-Lombardi" con un durissimo corsivo dal titolo "Ma don Tullio- che stile!- si dimise per molto meno":

Anni fa (ma non sono tanti...) Tullio De Rubeis, sindaco dell'Aquila, fu oggetto di una denuncia alla Pretura per aver concesso ad un luna-park l'autorizzazione a sostare per un breve periodo di tempo nell'area vicina alla Croce Rossa, ai margini della statale 17 bis. C'era una lite tra giostrai e don Tullio capitò improvvisamente nella "tagliola". Fu aperta un'inchiesta, dalla Pretura, adombrando nei confronti del sindaco l'accusa di abuso di potere. De Rubeis si dimise e con lui si dimise l'intera Giunta comunale. Oggi accade che l'intera Giunta (non solo il sindaco Lombardi) è sotto inchiesta; che nei confronti della Giunta viene adombrato il sospetto di interesse privato (e non di abuso di potere); che il primo esponente di questa amministrazione in carica si permette di far la voce grossa e di menar scandalo perché si "parla" del fatto (guardandosi bene dal dimettersi). Incredibile!

Attendiamo con fiducia l'esito dell'inchiesta promossa dal sindaco Lombardi presso la Procura generale della Repubblica. Per aiutare il magistrato, Raffaele Vessichelli, nell'ingrato compito di districarsi negli avvenimenti, è appena il caso di ricordare: a) che Il Messaggero ha dato la notizia, l'11 dicembre, della formalizzazione di un'inchiesta per l'appalto della scuola di Pile a carico della Giunta comunale; b) che il giorno successivo la notizia è stata ripresa da altri organi di stampa in questi termini; c) che domenica 13 dicembre il sindaco Lombardi ha diffuso un comunicato in cui, per la prima volta, si parlava di "comunicazioni giudiziarie" che il Giudice istruttore si apprestava a notificare ai membri della Giunta, come atto dovuto. Chi ha dato diffusione alle comunicazioni giudiziarie, formalmente è stato il sindaco Lombardi.

Questo, sulla forma. Peccato però che il sindaco abbia tralasciato l'occasione della conferenza stampa per fornire alla città i chiarimenti su una gestione forse legalmente corretta ma certo non trasparente di un pubblico appalto: vorrà il Consiglio comunale chiederne conto? (20)

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Spentasi la prima fiammata, l'inchiesta sulla scuola di Pile torna "in sonno". Fino all'ottobre del 1989, quando il Procuratore Capo Mario Ratiglia chiede il rinvio a giudizio per Lombardi e gli altri otto componenti della sua Giunta per abuso d'ufficio (l'interesse privato, nel frattempo, è sparito dal codice). Ma il giudice istruttore Romolo Como proscioglie tutti con sentenza istruttoria. Ratiglia non ci sta e presenta appello. La "sezione istruttoria" della Corte d'Appello proscioglie 7 assessori ma rinvia a giudizio il sindaco e l'assessore Mucciante. È il 22 marzo del 1990, ovvero nell'immediata vigilia delle elezioni comunali e soprattutto della presentazione delle liste. E Lombardi, a questo punto (così come il suo compagno di partito Mucciante), non può candidarsi perché il regolamento interno della Dc (il morigerato articolo 8, paragrafo c) impedisce di presentare candidati raggiunti da provvedimenti di rinvio a giudizio "per delitti con rilevanza sociale, politica, amministrativa ed in particolare contro la pubblica amministrazione". Perciò gli avvocati (Francesco Chiofalo per Lombardi e Pasquale Bafile per Mucciante), il 26 marzo, chiedono l'immediata fissazione del processo. Il fascicolo "vola" il giorno stesso dalla Corte d'Appello in Pretura che fissa l'udienza nove giorni dopo, al 5 aprile successivo.

Apriti cielo! "Un processo squillo" protesta Marco Pannella che ricorre al Csm:

"Se, come pare- dichiara il leader Radicale a Gisfrido Venzo- un pretore è così sensibile all'influenza di un partito, di una associazione, o magari solamente di un paio di avvocati, da rischiare di dover rinviare a nuovo ruolo un processo che attende da anni, per poterne celebrare, con una sorta di rito direttissimo anomalo, un altro e lo fa per considerazioni manifestamente attinenti a vicende politico-elettorali,il dubbio che l'esito del processo sia già scontato diviene lecito". (21)

Diciassette deputati di vari gruppi (Calderisi, Vesce, Faccio, Mellini, Zevi, D'Amato, Stanzani, Modugno, Azzolina, Teodori, Rutelli, Negri, Ronchi, Mattioli, Scalia, Andreis, Salvoldi) presentano un'interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, Giuliano Vassalli. Venti avvocati aquilani presentano un esposto per denunciare gravi vizi nella procedura:

"Volutamente non abbiamo dichiarato i nostri nomi, certo non per paura - mi dichiara un portavoce del gruppo - quanto perché la nostra iniziativa non deve apparire strumentale ma vuol essere un'asettica presa di posizione, squisitamente giuridica, a difesa dei diritti di tutti i cittadini". (22)

Feroci sono le polemiche all'interno della classe forense cittadina. L'avvocato Tullio Buzzelli, della segreteria della Federavvocati (il sindacato forense maggiormente rappresentativo), diffonde una nota al vetriolo:

La Federavvocati dell'Aquila, avendo avuto notizia della fissazione del dibattimento nel processo a carico del sindaco Lombardi e dell'assessore Mucciante per il giorno 5 aprile 1990, e cioè a poche ore dalla scadenza fissata dalla legge elettorale per la presentazione delle liste dei candidati, non può non far altro che esprimere la soddisfazione di aver visto finalmente realizzata l'antica aspirazione ad una giustizia rapida ed efficiente che tuteli da un lato l'interesse dello Stato ad una applicazione immediata della pena al reo e dall'altro l'integrità del cittadino innocente a vedersi immediatamente scagionato da una ingiusta accusa. Tale soddisfazione si tramuta però in sconcerto allorché il discorso valga non per tutti i comuni cittadini, che a volte debbono aspettare anni per vedersi riconoscere un'innocenza sempre conclamata, ma solo per alcuni imputati eccellenti nei confronti dei quali le inchieste istruttorie si sono inspiegabilmente prolungate per anni, mentre la fissazione di questo dibattimento è stata decisa ad horas. L'accadere di tali fatti, a giudizio della Federavvocati, non potrà non contribuire ad incrementare il senso di sfiducia dei cittadini nei confronti delle situazioni democratiche ivi compresa la Magistratura. La Federavvocati ritiene indispensabile che i dirigenti degli Uffici giudiziari dell'Aquila fughino ogni sospetto di aver voluto in qualsiasi modo favorire chicchessia chiarendo le reali motivazioni della condotta, di cui alle notizie su cennate, di per sè si ripete apprezzabile e condivisibile in via di principio, auspicando che tale solerzia valga per tutti gli imputati, nel pieno rispetto dell'articolo 3 della Costituzione italiana. (23)

A Buzzelli replicano nove legali del foro aquilano (avvocati Massimo Rampini, Amedeo Cervelli, Giovanni Lely, Giampiero Berti De Marinis, Angelo Cora, Mario Marinucci, Angelo Colagrande, Vittorio Isidori e Ernesto Venta):

La protesta pubblicata dalla stampa locale il 28.3.1990 sotto la sigla "Federazione Avvocati" e relativa alla fissazione del processo al sindaco per il 5 Aprile 1990, riflette solo le opinioni del segretario della Federavvocati, avv. Tullio Buzzelli, e non anche quella di tutti gli iscritti. Nel riprovare un tale personale atteggiamento, che nuoce anche all'immagine del sindacato, apolitico ed al di sopra delle parti, i sottoscritti avvocati, pure aderenti alla Federavvocati, rilevano che, la fissazione della udienza di dibattimento è conseguenza di apposita istanza di parte, così come espressamente previsto dalla legge, nell'interesse dei diritti del cittadino ad essere giudicato; in casi analoghi, riguardanti anche cittadini "non eccellenti", il Pretore dell'Aquila ha accolto la istanza di sollecita fissazione del dibattimento, ricorrendone i motivi di urgenza, debitamente valutati. (24)

E controcorrente va l'allora direttore del Centro, Andrea Barberi, che scrive un fondo in prima pagina di una sconvolgente attualità:

Venerdì 23 marzo, meno di una settimana fa, i giudici dell'Aquila hanno chiuso l'istruttoria contro Enzo Lombardi rinviandolo al giudizio del pretore con l'accusa di abuso in atti d'ufficio. Ieri, martedì 27, la pretura dell'Aquila ha fissato il processo al sindaco per giovedì 5 aprile. Due settimane dopo il rinvio a giudizio, Lombardi potrà spiegare perché assegnò, o meglio tentò di assegnare, a una ditta piuttosto che a un'altra l'appalto per i lavori di una scuola (questa, in concreto, è l'accusa). A chiedere un processo a tempo di record è stato lo stesso sindaco Lombardi, apertamente spalleggiato dal partito al quale appartiene. E i motivi di tanta fretta sono noti: la Dc, per quanto può, cerca di non presentare alle elezioni candidati che siano sotto la minaccia di una sentenza penale; alla candidatura di Lombardi (che dovrebbe essere il capolista e che è accreditato di diverse migliaia di voti personali) la stessa Dc non vorrebbe però rinunciare. Un processo che si concludesse con una assoluzione sarebbe, allora, per Lombardi e la Dc, il modo migliore per uscire dalla difficile situazione. La decisione del pretore di celebrare subito il processo ha provocato reazioni comprensibili. Ve lo immaginate un imputato qualsiasi che chiede un processo immediato, magari perché deve dare un concorso vietato a chi ha i cosiddetti carichi pendenti? Potrebbe aspettare anni. Così la magistratura, che fin nella più alta espressione, il Consiglio superiore, è nel mirino perfino del presidente della Repubblica e del ministro della Giustizia, è ora bersaglio di altre frecciate. In modo particolare in Abruzzo. I comunisti, per esempio, non hanno gradito l'assoluzione (a Chieti) del presidente della Provincia, Arduino Roccioletti, democristiano come l'aquilano Lombardi. "Proprio mentre prende il via la campagna elettorale!", hanno protestato con toni molto accesi. E ai democristiani certo non è piaciuto il rinvio a giudizio, avvenuto sempre in questi giorni, di un uomo a loro molto vicino, il rettore dell'Università D'Annunzio, Uberto Crescenti. Molte ricerche lo hanno dimostrato: la magistratura ha perso credibilità. Altre ricerche provano che i politici non ne hanno mai avuta troppa. C'è da avere paura solo a pensare che cosa può sospettare la gente comune quando le vicende politiche si intersecano con quelle della magistratura: ne viene fuori una miscela che non può convincere. Allora? Forse è un'opinione controcorrente, ma, visto che qualche giudice ha pensato bene di rinviare a giudizio il sindaco dell'Aquila in campagna elettorale, benissimo ha fatto il pretore a fissare subito il processo. Anche se tutti sanno che, qualsiasi sentenza verrà emessa, questa non potrà essere convincente fino in fondo (Lombardi condannato, sembrerà una lezione alla Dc; Lombardi assolto, una benedizione allo stesso partito). E non è una considerazione piacevole: tutti vorrebbero una giustizia che non si infilasse in simili vicoli bui. Risolto il caso Lombardi, c'è da sperare che altre vicende del genere vengano però evitate. Elezioni all'ombra della toga e del tocco della giustizia non giovano a nessuno. E meno che mai alla magistratura. (25)

* * * *

Il processo si celebra. E, dopo due giorni di "maratona", arriva la sentenza. Il Pm Alberto Sgambati, catapultato in udienza all'ultimo momento dal Procuratore Capo Summa ma per nulla intimorito dal clima tesissimo, ha chiesto la condanna ad un mese di reclusione con tutti i benefici. Nell'aula affollata, ormai a sera, mentre il Pretore Bruno Costantini sta tenendo la camera di consiglio non nella saletta attigua, come è prassi, bensì nel suo ufficio nell'altra ala del Palazzaccio, dico ad un collega: "Li assolvono".

"Che ne sai?" mi fa lui.

"Vedi, sono arrivati tutti i big- rispondo- non sarebbero mai venuti a rischiare di prendere una condanna in faccia".

Li assolvono. Così inizio la mia cronaca di quella storica serata:

"In nome del popolo italiano, il pretore dell'Aquila assol...". Il dottor Costantini, ieri sera, non è riuscito a finire di leggere la sentenza. Nella piccola e gremitissima aula della Pretura è scoppiata un'ovazione. E davanti alle telecamere ed ai flash, molti amici di partito sono scoppiati in lacrime nell'abbracciare, al banco degli imputati, il sindaco Lombardi e l'ex assessore Mucciante. "È finita, è finita" ha detto, piangendo, l'onorevole Ricciuti. "Ce la pagheranno" ha detto qualcuno. (26)

Altro che finita! Le polemiche diventano incandescenti. Scrive, in una nota di commento, l'avvocato Francesco Carli (difensore della parte offesa):

Il "pasticcio" del processo al sindaco si è, dunque, consumato. È stata pronunciata una sentenza chiesta ed ottenuta. A bocce ferme credo si possano fare alcune serene riflessioni. Non è stato un gran bello spettacolo: la scena è stata dominata da sicumera, da spocchia, dall'iperattività di una corte dei miracoli (quella sì trasversale, trasversalissima!) babbea ed arrogante. C'è stata un po' di delusione per l'estrema timidezza del Pci (anzi de "La Cosa") e per l'imbarazzo del Psi. S'è visto, però anche qualcosa di confortante e, forse, di inatteso. Mi riferisco alla reazione di tutti quelli che non hanno voluto starci, che non hanno voluto subire in silenzio la sopraffazione, che hanno segnalato a voce piena la sperequazione. Mi riferisco ai ragazzi ed ai giovani avvocati che hanno ironizzato sulla tronfiaggine. E quindi, nonostante le consorterie dei nuovi ricchi e gli avvocati che insultano, nonostante le Perdonanze e le "Pallocche" in piazza, questa città ha mostrato qualche zona ancora assolata e verace. Speriamo bene. (27)

Scrive, anche lui in una nota di commento, Luciano Fabiani:
M'è capitato di ascoltare le parole di Ricciuti ad un'emittente locale, gonfie di minaccia verso colpevoli a lui noti e di leggere sul Messaggero frasi di vendetta ("Ce la pagheranno") espresse dai fan in attesa della sentenza ed aver sentito, in questi giorni, questa esplicita accusa di aver tentato di aggredire gli esponenti Dc per strumentalizzare i fatti a fini elettorali: credo sia capitato a molti. Credo sia invece necessario ristabilire i fatti: partendo dalla considerazione che la vicenda appena conclusa è solo una delle numerose inchieste aperte dalla magistratura aquilana a carico dell'amministrazione comunale. Un'inchiesta che, apparentemente chiusa, è stata riaperta dalla Corte di Appello con un rinvio a giudizio. Il problema del regolamento interno della Dc, che avrebbe impedito la presentazione dei due imputati non costituisce lesione dei diritti del cittadino (se non per accettazione degli iscritti a quel partito) e pertanto non avrebbe giustificato "oggettivamente" la fissazione ad horas dell'udienza (che ha fatto scalpitare tutti coloro che sono abituati a tempi della giustizia da misurare con gli anni, non con i giorni). E altrettanto incredibilmente rapidi sono stati tutti i passaggi ulteriori: convocazione della parte lesa, nomina del commissario ad acta, rinvii di udienze di 45 minuti, di 3 ore: tutto bello nell'interesse della giustizia e in quello della Dc. Quale strumentalizzazione, allora, da parte degli oppositori politici? I giudici della Corte, i Pretori, il Procuratore: nessuno è candidato con Convenzione democratica. Nessun esponente di questa formazione politica ha espresso verbo sulla vicenda, perfino l'avvocato della parte lesa è Psi, come Ferrauto e altri assessori, che hanno deliberato la non costituzione del Comune come parte civile. Pannella, quando nel corso della Convenzione Democratica dette la notizia del rinvio a giudizio, e aggiunse: "Guai a quella democrazia che, per vivere, ha bisogno dei procedimenti giudiziari!". Alla fine, la sensazione è diversa: che sia Ricciuti, oggi, a voler strumentalizzare, malamente, la vicenda, inventando calunniatori e persecutori che non ci sono. Quello che tutti, invece, abbiamo notato è stato lo sfoggio di potere oltraggioso che è stato messo in atto: in fondo è anche per questo che è nata Convenzione Democratica. (28)

Replica subito la Dc:
Il tentativo di allontanare dalla propria persona, dalla cosiddetta "Convenzione democratica" il "mostro generato" per impedire la celebrazione del processo a Lombardi, ricorrendo anche alla menzogna, é miserevole e si commenta da sé. La verità, purtroppo tragica, di una barbarie sconosciuta finora nella nostra civilissima città, che mirava come risultato finale, a impedire la candidatura di Lombardi a capolista della Dc per il Comune dell'Aquila, pilotata anche dal Rag. Fabiani (da dentro la Cassa di Risparmio?), dal Pci (con i suoi ripetuti documenti), da alcuni solerti avvocati di parte, dallo stesso (liberatore) Pannella (che ha persino inoltrato un esposto al Csm) dimostrano con chiarezza, ove fosse ancora necessario, che si sta tentando con la menzogna, ripetiamo, di allontanare da sé il mostro generato da tanta perfidia, da tanta calunnia. Il Rag. Fabiani, condannato dalla Magistratura aquilana, bollato dagli elettori, sapendo di non poter essere ricandidato nelle liste della Dc, e mirando a trasformarsi in console del nuovo Pci e del cosiddetto "partito degli onesti", tenta di far dimenticare con troppa fretta l'orrore di una macchinazione odiosa, la messa in scena di un "processo" per alterare la competizione elettorale democraticamente convocata, senza remore di sorta per i danni che si vanno ad infliggere all'immagine civica ed a tutta la città. Ciò che è avvenuto è sotto gli occhi di tutti e ripugna alla coscienza di ogni cittadino onesto che saprà giudicare con severità chi, alla strumentalizzazione, cerca di aggiungere la menzogna. (29)

Una campagna elettorale (che, in tal senso, traccerà purtroppo la strada a quelle successive) velenosa e senza esclusioni di colpi. Bassi. Bassissimi. Il settimanale "Corriere d'Abruzzo" ci va giù duro:

C'é anche un appartenente all'organizzazione terroristica di "Prima Linea" tra i candidati al Comune dell'Aquila della lista di "Convenzione democratica" capeggiata dal leader radicale Marco Pannella. Ne parla, nel numero in edicola da oggi, il settimanale "Corriere d'Abruzzo", precisando che si tratta dell'aquilano Giulio Petrilli il cui arresto nei cosiddetti "anni di piombo", in seguito alle rivelazioni di un pentito, scosse l'apparente tranquillità dell'Abruzzo rispetto ai fenomeni del terrorismo. Nell'ottobre del 1984, allora classificato tra gli "irriducibili", Giulio Petrilli fu condannato ad otto anni di reclusione per partecipazione a banda armata dalla terza Corte di Assise di Milano nel maxi-processo contro 206 appartenenti a "Prima Linea". La sua dissociazione dalla lotta armata gli ha poi consentito, con assoluzioni e riduzioni di pena, di saldare il suo conto con la giustizia. Il settimanale "Corriere d'Abruzzo" osserva che la presenza in lista di Pannella e di Petrilli richiama alla mente l'esperienza di qualche anno fa alle Politiche, poi fallita, dello stesso leader radicale che, per sollecitare una giustizia più rapida, candidò nelle proprie file il professor Toni Negri, ritenuto uno stratega del terrorismo e in attesa di giudizio per partecipazione a banda armata. Negri, dopo l'elezione, approfittando dell'immunità parlamentare, si rese latitante. (30)

Per questo articolo, il direttore del Corriere d'Abruzzo, Mario Narducci, si dimette con una lettera indirizzata al presidente dell'Ordine abruzzese del Giornalisti, Gianfranco Volpe, nella quale tra l'altro scrive:

Le due querele che mi sono piovute addosso negli ultimi giorni hanno solo accelerato la mia decisione perché mi hanno dimostrato nella maniera più eclatante l'animosità politica che ha finito con il contraddistinguere il settimanale che io, in ragione della mia correttezza professionale e del rispetto che ho sempre portato anche a chi non mi è vicino ideologicamente, energicamente rifiuto e respingo. Solo di passaggio le sottolineo che nessuno dei due articoli gravati di querela, è di mia fattura o di mia ispirazione. L'ultimo addirittura, quello su Giulio Petrilli, è stato pubblicato mentre mi trovavo a Francoforte per una conferenza stampa. Naturalmente ciò non mi sgrava dalle responsabilità attinenti la mia carica; tuttavia mi è di sollievo rimarcare la mia estraneità. Tanto le dovevo come Presidente dell'Ordine. (31)

Una campagna elettorale che, d'altra parte, s'era aperta già con i fuochi d'artificio dopo un clamoroso articolo di Giovanni Fasanella, a tutta pagina sul settimanale Panorama, dal titolo "Laboratorio L'Aquila". Un articolo che fece anche scattare un'inchiesta, senza esito, della Procura aquilana. Eccolo:

Il troncone comunista, una fetta della sinistra democristiana, laici delusi, esponenti del volontariato cattolico, alcuni dei più bei nomi della cultura cittadina. E in testa il radicale Marco Pannella. Manca ancor qualche ritocco, ma il più è fatto: L'Aquila sarà la prima città d'Italia in cui, nelle elezioni amministrative del maggio prossimo, si sperimenterà una lista "trasversale". L'obiettivo, dice Edoardo Caroccia, giovane segretario della Federazione comunista e motore dell'iniziativa, "è rompere l'egemonia soffocante di un vero e proprio comitato d'affari che si è costituito all'ombra del potere democristiano". Ma i dirigenti aquilani del Pci, orgogliosi di aver lanciato l'idea ancor prima che Achille Occhetto annunciasse la sua rivoluzione, non nascondono un'ambizione ancora più grande: realizzare un esperimento esportabile al di fuori dei confini abruzzesi. Una sorta di prova sul campo, insomma, della "Cosa", di quella nuova formazione non più comunista ma laica, democratica e di sinistra che Occhetto vuole promuovere. Per Caroccia non è stato facile convincere i compagni. Ha dovuto scontare l'opposizione di un'ala del partito abituata da anni alle pratiche consociative. Sì, perché all'Aquila il Pci è stato per tanto tempo la stampella su cui si è retto il dominio scudocrociato. Nel 1985 si astenne quando venne eletta la giunta di pentapartito. Un anno dopo ne approvò il programma e barattò posti di potere in cambio di un'opposizione all'acqua di rose. "Fu una scelta sciagurata- ammette oggi Caroccia- che ci alienò tante simpatie. Ma adesso si cambia registro". E la proposta di una lista "trasversale", capeggiata dal ciclone Pannella, in città ha avuto l'effetto di una bomba. "Uno choc che rimette tutto in discussione" dice Alessandro Clementi, docente di storia medioevale all'Università. Qualcuno è preoccupato, i missini che all'Aquila hanno un seguito abbastanza consistente perché si sono accreditati come la vera, unica opposizione hanno paura di perdere ruolo e consensi. Hanno in serbo la contromossa: la candidatura come capolista del loro segretario nazionale, Pino Rauti. Anche i partiti della maggioranza sembrano aver accusato il colpo. E reagiscono ironizzando sulle origini teramane di Pannella, "uno che qui non si è mai visto". Ma l'asso nella manica dei democristiani sarà "un'aquilana vorace" (così l'ha definita per un terribile refuso il Corriere d'Abruzzo, settimanale dello scudocrociato): è Marisa Baldoni, ex segretaria particolare di Lorenzo Natali, morto qualche mese fa. Natali da quelle parti è ancora un nome che pesa e i democristiani vogliono spenderlo. Perché loro sono i più preoccupati di tutti. La sinistra si è staccata dal partito e sarà in lista insieme con il Pci.

A guidare la pattuglia dei Dc dissidenti è un dirigente della locale Cassa di Risparmio, Luciano Fabiani, 59 anni, prima tessera scudocrociata nel 1946. Fabiani non è un personaggio secondario. Ha diretto per 5 anni il partito ed è stato per molto tempo vicepresidente della Regione e assessore. Ha lasciato la Dc con un gruppo di 10 amici perché ne ha viste tante, troppe. "In questa città si è creata una cupola che gestisce impunemente tutti gli affari- dice sconsolato a Panorama- A Palazzo di giustizia da anni sono aperte sette istruttorie nei confronti del sindaco e di alcuni assessori per abusi edilizi e appalti irregolari. Inchieste aperte da giudici coraggiosi e poi bloccate in qualche cassetto". "E certo- denunciano i comunisti in un loro documento- nel comitato di affari non ci sono solo esponenti dei partiti di maggioranza, ma anche imprenditori, funzionari pubblici e persino magistrati". Un superpotere tentacolare, che stringe la città in una ferrea morsa? L'Aquila è diventata una "città meridionale in tutti i sensi" si sfoga Paolo Scopano, repubblicano, per sette anni assessore all'Urbanistica, avvocato fra i più apprezzati in città. I promotori della lista trasversale lo stanno corteggiando, lui ci sta pensando su. Da qualche tempo è in rotta con il suo partito. Subì una cocente delusione nelle elezioni amministrative del 1985. Giovanni Spadolini in persona, allora segretario nazionale, volle che si candidasse come capolista. Lui accettò, ma alla condizione che Spadolini stesso lo appoggiasse apertamente presentandolo in un comizio. Scopano temeva che gli amici di partito gli giocassero qualche brutto scherzo. Ma a quel comizio elettorale Spadolini si presentò quando la sala era ormai vuota e le luci spente. Il capolista non venne eletto. I repubblicani tentarono di recuperarlo qualche tempo dopo, inserendolo nella commissione incaricata di studiare le varianti al piano regolatore. Per un po' di mesi tutto filò liscio. Ma "un giorno mi accorsi improvvisamente dell'andazzo: il piano regolatore si stava facendo al di fuori del Comune, negli studi privati". Si dimise. E oggi non nasconde tutto il suo disprezzo per gli amministratori della città: "Sono delle mezze calzette che si occupano di tutto, tranne che dei cittadini. Ben venga la nuova lista. C'è davvero bisogno di uno scossone salutare". (33)

* * * *

L'anno dopo, nel luglio del 1991, sul caso dell'appalto per la scuola di Pile, la Corte d'Appello dell'Aquila non confermerà l'assoluzione applicando a Lombardi e Mucciante l'amnistia sopraggiunta alla fine del 1990: "La procedura non fu legittima ma ci sono dubbi sul dolo" sintetizzerà, Patrizia Pennella in un dettagliato articolo, le motivazioni della sentenza. (33)



Note al testo


(1) Il Messaggero, Cronaca d'Abruzzo, 1 dicembre 1993 (torna al testo)
(2) Comunicato stampa, 1 dicembre 1993 (torna al testo)
(3) Il Messaggero, Cronaca d'Abruzzo, 3 dicembre 1993 (torna al testo)
(4) Denuncia-querela al Procuratore della Repubblica dell'Aquila, 25 gennaio 1993 (torna al testo)
(5) Il Centro, Cronaca dell'Aquila, 28 marzo 1993 (torna al testo)
(6) Servizio resoconti parlamentari, Lombardi VIL, 7/1, 29 aprile 1993 (torna al testo)
(7) Atti del procedimento 673/93 R.G.N.R., decreto di archiviazione, 30 giugno 1993 (torna al testo)
(8) Il Messaggero, Cronaca d'Abruzzo, 7 settembre 1993 (torna al testo)
(9) Atti parlamentari del Senato, 30 agosto 1993 (torna al testo)
(10) Comunicato stampa, Pescara, 9 settembre 1993 (torna al testo)
(11) Il Messaggero, Cronaca d'Abruzzo, 18 dicembre 1993 (torna al testo)
(12) Il Centro, Cronaca dell'Aquila, 15 febbraio 1994 (torna al testo)
(13) Comunicato stampa, segreteria senatore Lombardi, 14 febbraio 1994 (torna al testo)
(14) Il Centro, Cronaca dell'Aquila, 26 febbraio 1994 (torna al testo)
(15) Volantino elettorale, committente mandatario Maurizio Papale, marzo 1994 (torna al testo)
(16) Il Centro, Cronaca dell'Aquila, 14 febbraio 1995 (torna al testo)
(17) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 29 gennaio 1998 (torna al testo)
(18) Il Tempo, Cronaca d'Abruzzo, 13 dicembre 1987 (torna al testo)
(19) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 14 dicembre 1987 (torna al testo)
(20) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 16 dicembre 1987 (torna al testo)
(21) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 30 marzo 1990 (torna al testo)
(22) Ibidem (torna al testo)
(23) Comunicato stampa, Federavvocati, 27 marzo 1990 (torna al testo)
(24) Comunicato stampa, 30 marzo 1990 (torna al testo)
(25) Il Centro, Prima pagina, 28 marzo 1990 (torna al testo)
(26) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 7 aprile 1990 (torna al testo)
(27) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 8 aprile 1990 (torna al testo)
(28) Ibidem (Si tratta del testo integrale poiché per ragioni probabilmente tecniche legate allo spazio, alcuni passaggi non risultano pubblicati sul giornale) (torna al testo)
(29) Comunicato stampa, Comitato provinciale Dc, 9 aprile 1990 (torna al testo)
(30) Comunicato stampa di lancio del numero in edicola, 3 maggio 1990 (torna al testo)
(31) Stralcio dalla lettera inviata ai giornali, 5 maggio 1990 (torna al testo)
(32) Panorama, 11 marzo 1990 (torna al testo)
(33) Il Tempo, Cronaca dell'Aquila, 2 ottobre 1991 (torna al testo)