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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 80

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



80. MICHELE E MARIA, UNITI SOLO DALLA SOLITUDINE
13. 6. 1997



Diversi, tanto diversi che si stenta a credere che tra loro ci sia stato un lungo matrimonio dal quale sono nati tre figli.
Michele Perruzza e la moglie Maria Giuseppa Capoccitti, quarantasettenni entrambi, ieri mattina davanti al Tribunale di Sulmona, sono apparsi distanti anni luce tra loro. Diversi e distanti. Su tutto, tanto da non usare mai lui la parola «moglie», lei la parola «marito». Lui si è sempre riferito alla moglie chiamandola «Maria Giuseppa»; lei ha sempre chiamato il marito «Perruzza Michele». Come nei verbali dei carabinieri.
Diversi a cominciare dal modo di esporsi. Michele è rimasto al suo dialetto, a volte incomprensibile, ed alle sue poche classi di scuola elementare: «Basta, per favore non mi interrogate più» è sbottato alla fine dell’interrogatorio il muratore che ha fatto una fatica enorme non tanto a tenere testa alla domande, quando a rispondere in italiano, anche se infarcito di «ho andato e ho venuto».
Lei non sverba affatto. Anzi, in un elegante intercalare di impronta emiliana (la donna vive da anni a Sassuolo, in provincia di Modena), Maria Giuseppa è stata all’altezza dei forbiti linguaggi del Pm e della schiera di avvocati.
Diversi nello scegliere l’abbigliamento in un giorno così importante. Lui ha indossato la solita giacca invernale di lana, inadeguata all’afa presente nell’aula; lei, invece, con i capelli tinti e ben curati, s’è presentata con un vestitino nero: giacca, gonna a pois bianchi, sopra una paio di sandaletti anch’essi neri.
Anche sul loro figlio Mauro, i due hanno assunto un atteggiamento completamente diverso. Lui lo ha accusato; lei ha cercato disperatamente di proteggerlo pur cercando di scagionare il marito. Lui con freddezza, quasi con distacco, ha parlato di «Mauro»; lei, fino alla lacrime, ha difeso «quello che era e resta mio figlio».
Un solo elemento è parso, ieri, accomunare i due coniugi: la solitudine. Lui nella cella di un carcere, senza speranza; lei in un casa lontanissima, non solo per i chilometri, dalla sua terra. «Con mio marito- ha dovuto ammettere la donna- le cose non vanno bene specie perché lui non mi perdona di averlo accusato quella maledetta notte. Con la mia famiglia, i Capoccitti, non ho più rapporti perché loro non mi perdonano di aver cercato di difendere sia Michele che Mauro. Ce l’hanno tutti con me...».


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