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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 81

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



81. CASO PERRUZZA, PROCESSO ALLE INDAGINI
14. 6. 1997



La legge è uguale per tutti, anche per Michele Perruzza. Il muratore che per la Giustizia è il “mostro di Balsorano” visto che la sua condanna all'ergastolo (per omicidio a scopo di atti di libidine) è diventata definitiva dopo tre gradi di giudizio, sta finalmente subendo un processo giusto.
È questo il bilancio dopo le prime, intensissime, udienze davanti al Tribunale di Sulmona che, nella forma, sta celebrando un “processo satellite” rispetto a quello principale per l'omicidio ma, nella sostanza, sta “rivisitando” l'intera vicenda.
Proprio quello che sperava la difesa di Perruzza che gioca l'ultima carta per tentare la difficile strada della “revisione” del procedimento principale.
Un processo giusto. Sì, perché secondo quanto sta emergendo dalla “rivisitazione” nell'aula di Sulmona, Michele Perruzza non ha avuto finora processi giusti.
Per una serie di ragioni, a volte anche per colpa degli stessi Perruzza e di sua moglie in particolare. «In questa intricata vicenda processuale -ha sempre ripetuto Attilio Cecchini, uno degli avvocati di Perruzza-, siamo indietro di un grado di giudizio». Cecchini si riferisce al processo primo grado. Perruzza vi arrivò già “condannato” dalle indagini preliminari e, per giunta, non si difese visto che il suo legale (l'avvocato Leonardo Casciere, subentrato ai Maccallini) scelse di ipotizzare un'improponibile “terza via” (né il padre né il figlio).
Come vennero condotte le indagini e perché venne scelta quella linea difensiva, lo si è scoperto in questi giorni a Sulmona, ad oltre sei anni di distanza.
Quanto alle indagini è emerso: che è stranamente sparita la audiocassetta con la registrazione della prima autoaccusa di Mauro, il figlio allora tredicenne del muratore; che il ragazzo venne ascoltato dagli investigatori senza la presenza dei genitori come la procedura impone in caso di minori; che la moglie di Perruzza, Maria Giuseppa Capoccitti, firmò un verbale in cui accusava il marito perché minacciata.
Quanto alla difesa suicida (non esiste una terza via), la moglie del muratore ha ammesso, durante il drammatico interrogatorio dell'altro ieri, che impose all'avvocato Casciere di non accusare suo figlio e «quando quel legale si convinse- ha detto la donna- alla fine del processo, che era stato Mauro, gli ho revocato il mandato».
Così come la donna aveva già fatto con Carlo Maccallini che voleva sostenere l'ipotesi che fosse stato il ragazzo.
Ad un primo grado simile ad una farsa, è seguito un processo d'Appello ben diverso. Ormai convintosi della responsabilità di suo figlio («Dopo 16 mesi ho capito tutto: Mauro ha detto troppe bugie» ha spiegato il muratore durante l'interrogatorio dell'altro ieri) Perruzza cambia difesa. Gli avvocati Cecchini e Antonio De Vita smontano a “picconate” gran parte della costruzione accusatoria e recuperano il terreno perduto.
Addirittura scoprono che era rimasta imballata dal giorno del fattaccio in una scatola di cartone la famosa pietra, con la quale l'assassino avrebbe colpito per tre volte al capo la povera Cristina.
Tra lo stupore generale, in aula si scopre che quella pietra pesa almeno 13 chili e che un solo colpo avrebbe spappolato il cranio anche di un adulto: nessuno l'aveva mai visionata.
Ma a sorpresa, il figlio Mauro fornisce l'ennesima versione (la decima) ed accusa il padre sostenendo di averlo visto, da dietro un capanno, uccidere Cristina.
La difesa riesce ad ottenere che la Corte si rechi sul posto a constatare se da quel capanno si vede o meno la scena del delitto. Il 21 gennaio, di pomeriggio e mentre nevica, la Corte accerta che da lì si poteva vedere. Ma ora, nell'aula di Sulmona, è emerso che quella testimonianza di Mauro potrebbe essere stata pesantemente condizionata dal momento che all'assistente sociale che seguì il minore, il Tribunale ha disposto il sequestro (su istanza della difesa) di due fogli scritti a macchina sui quali c'è, pari pari, la versione poi fornita davanti ai giudici del ragazzo. Non solo. Davanti ai giudici sulmonesi, l'assistente si è avvalsa della facoltà di non rispondere.
Così come aveva fatto Mauro. Perché i due non hanno voluto testimoniare? Che cosa avevano da nascondere? Silenzi che sembrano rendere inevitabile l'accoglimento, da parte del Tribunale peligno dell'istanza avanzata dalla difesa di ripetere il sopralluogo ma stavolta nella stessa giorno (il 23 agosto), alla stessa ora (tra le 20,30 e 20,45).
Così come la difesa ha chiesto di chiarire di chi erano i famosi slip sequestrati in casa di Perruzza, sui quali fu trovata una macchiolina di sangue risultato di Cristina alla prova del Dna.
Solo che nessuno pensò di fare la prova del Dna anche sui liquidi organici pur presenti su quell'indumento intimo per stabilirne l'appartenenza visto che padre e figlio portavano la stessa misura.
Nuovo sopralluogo, nuovi interrogatori, nuove prove, nuovi misteri, nuove ipotesi. La Giustizia processa la giustizia.


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