Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 99
Un saggio di Angelo De Nicola
99. «PAPA’ TI HO VISTO UCCIDERE»
7. 3. 1998
La prova più dura Mauro Perruzza l’affronta quando, dopo tre ore di interrogatorio durissimo, l’avvocato Attilio Cecchini lo sfida ad accusare il padre guardandolo in faccia.
Per la prima volta, Mauro volge lo sguardo verso il padre, prende fiato, lo guarda negli occhi e spara: «Ti ho visto massacrare Cristina». Silenzio. Poi ancora, «Ora sarà contento, avvocato».
È senza dubbio questo il momento più drammatico di una giornata drammatica, partita con le clamorose rivelazioni sull'appartenenza dello slip macchiato del sangue della piccola Cristina e chiusa con il lungo interrogatorio di Mauro.
Ed è questa la riposta di Mauro ad un «Bugiardo!» che il padre Michele gli rivolge con un sibilo di voce carico di rabbia, quando il ragazzo inizia la sua deposizione.
Una giornata difficile, di quelle destinate a rimbombare per giorni nella mente di chi c’era. Mauro questo lo sapeva, ed è stato proprio per questo che ieri in aula è uscito il carattere di questo ragazzo. Che sa di essere il protagonista dell'intera vicenda, ben cosciente di recitare un ruolo che lui stesso dice di essersi cucito addosso «dopo che mi sono accorto che non potevo difendere più i miei genitori». Ma la difesa di Perruzza non lo molla e dice con forza «che quella di Mauro è una versione impastata di bugie».
Parte balbettando, Mauro. È innegabile che sente il peso di un clima obiettivamente difficile per lui, soprattutto dopo che il Tribunale ha sentito dai periti d'ufficio che il suo Dna è compatibile con quello delle mutande. L'inizio è in attacco, inteso quale migliore difesa: «Chiariamo subito: io non ho ucciso nessuno. Non ho mai detto che papà mi ha convinto ad autoaccusarmi, questo lo ha tentato più volte solo mia madre».
Il segnale, chiarissimo, Mauro lo lancia subito: confermo le accuse a mio padre sull'uccisione di Cristina e confermo che è stata mia madre a convincermi ad autoaccusarmi. Fin qui tutto normale o quasi, se non ci fossero nel suo lungo interrogatorio alcune evidenti contraddizioni e tantissimi "non ricordo", alla fine se ne conteranno 44.
Su alcune domande Mauro non risponde, su altre dice espressamente di aver mentito. «All'inizio ho detto bugie per cercare in tutti i modi di sviare le indagini per alleggerire la posizione di mio padre. Per questo ho dato tante versioni; poi ho deciso di abbandonare questa linea alla vigilia del processo d'appello all'Aquila e lì ho detto la verità. È quella la versione autentica, è quella la verità».
Dal padre Mauro passa ad accusare la madre, ma anche in questo caso i contorni dell'accusa sembrano modificarsi da domanda a domanda: «Mia madre mi diceva che ero minorenne e che dunque non mi sarebbe successo nulla. Me lo diceva prima che mio padre venisse arrestato, mi diceva che non facevo nulla per salvare il padre e che dunque ero il disonore della famiglia, che dovevo accusarmi perché ero minorenne e non potevano farmi nulla».
Queste le frasi che la madre gli avrebbe rivolto, anche se lo stesso Mauro non ha mai dato un'indicazione temporale precisa su quando le pressioni si sarebbero materializzate. «Avvocato non può farmi queste domande sul tempo e sulle date. Vuol dire che adesso le cose le ricordo così», ha ribattuto stizzito alle richieste della difesa.
Ma è su un punto nodale che è mancata la risposta di Mauro: «Che motivo c'era di autoaccusarsi quando ancora Michele non veniva accusato?», hanno chiesto i legali del muratore. «Non lo so, non lo so», ha risposto Mauro.
Alla fine il ragazzo, proprio con l'udienza di ieri, sancisce quella rottura con i suoi genitori. «Non li voglio più vedere e sentire. Per me non esistono più. Ho cercato di difenderli, ma alla fine mi sono accorto che erano indifendibili». Il passato è alle spalle, avrà pensato e sperato Mauro. Ma proprio da Sulmona questo passato è destinato a tornare presente.
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