LogoLogo

Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 100

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



100. «NON CHIAMATEMI PIU’ MOSTRO»
8. 3. 1998



«La tesi di Stato non poteva, non doveva naufragare». Nella sua arringa al processo- satellite di Sulmona, l’avvocato Attilio Cecchini, «nel giorno del trionfo della giustizia giusta», s’è tolto tutti i sassolini che da sette anni gli tormentavano i piedi attaccando apertamente «un sistema che non ha voluto ammettere un clamoroso errore giudiziario».
L’errore di aver condannato all’ergastolo Michele Perruzza. Che ieri, esausto dopo la lettura della sentenza che lo ha assolto insieme con la moglie dall’accusa di aver istigato il figlio Mauro ad autoaccusarsi del delitto, ha gridato ai microfoni delle Tv: «Non sono più il mostro di Balsorano».
«No, non è lui il mostro- aveva già detto Cecchini-. Il mostro è suo figlio Mauro, questo automa, questo rinnegato, questo sinistro individuo che l'altro giorno s’è tolto la maschera mostrando il suo vero volto da piccolo assassino».
Con la sentenza di assoluzione ormai in tasca viste le prove raccolte durante un intenso processo durato nove mesi e dopo che lo stesso Pm Aura Scarsella ha sollecitato di mandare assolti i coniugi Perruzza, nella sua arringa (che ha tenuto incollati gli abruzzesi davanti ai teleschermi grazie alla diretta completa fornita dall’emittente ”Rete8”), l’avvocato Cecchini ha scelto la strada di tirare le somme dell’intera vicenda. Ricostruendola dall’inizio, da quella notte del 26 agosto 1990, quando il ragazzo, all’epoca tredicenne, si autoaccusò fornendo una prima versione che, ha detto l’avvocato, alla luce di quanto è emerso finora, è forse la verità: un ”gioco” tra bambini finito male, un incidente, Cristina scappa con la tutina abbassata, cade, batte la testa, ed alla vista del sangue Mauro invece di salvarla, per paura, la strangola.
Ma perché, quella notte, Mauro reo confesso fu scagionato e suo padre divenne il mostro? Cecchini ha spiegato questo passaggio, «lo snodo di tutta la vicenda». Tutto nacque da un errore, quello di un inquirente che disse al ragazzo che « doveva parlare, anche se l’autore del delitto fosse stato tuo padre».
Una scappatoia, un’àncora di salvezza per il ragazzino minacciato dagli inquirenti di finire in riformatorio. «Per carità- ha detto Cecchini- in buona fede qualcuno sbagliò.
Ma da quel momento, da quando Mauro accusò il padre, fu strutturata la “tesi di Stato”. Fu creato il “mostro di Balsorano” e si diede notizia all’Italia ed al mondo che il caso era risolto. Qui comincia il calvario di questo povero Cristo». Un complotto, secondo Cecchini, o meglio una sorta di paura dell’”effetto domino”: se cadeva un tassello, crollava a catena tutto «l’edificio di carte» costruito contro Michele. Un complotto con varie fasi e personaggi e parecchie vittime.

Le fasi. Innanzitutto quella notte del 26 agosto, quando Mauro fu ritenuto inattendibile sulla base di deduzioni. Qualcuno gli chiese a sorpresa di prendere una sedia e lui la afferrò con la mano sinistra. Deduzione: se il ragazzino era mancino non poteva essere l’assassino che aveva agito con la mano destra.
«Perciò fu abortita la pista alternativa. Si decise maldestramente- ha ricostruito Cecchini- di non indagare più su Mauro, ma solo sul padre. Perché chiudere quell’indagine alternativa?». E sempre in quella notte, fu registrata l’audiocassetta con la ”metamorfosi” di Mauro: «Nastro- ha gridato Cecchini- che esiste, ormai è certo, ma che a tutt’oggi non abbiamo potuto ascoltare. La verità è registrata lì sopra: perché non esce quel nastro?».
Ma una fase importante, a giudizio dell’avvocato, è stata anche quella del periodo in cui Mauro è stato affidato ad un assistente sociale, alla Silvia Bianchi duramente attaccata nella requisitoria anche dal Pm Scarsella: «Aveva l'obbligo di venire a testimoniare in questo processo così delicato ma non lo ha fatto. Lei ha avuto un ruolo poco chiaro, interferendo sul ragazzo». Cecchini ha parlato di un “canovaccio” preparato dalla Bianchi a Mauro per affrontare la testimonianza in Corte d'Assise d'Appello, quella della versione del capanno che è stata fondamentale per far condannare Michele all'ergastolo.
Tanto fondamentale che l'avvocato ha citato un episodio emerso dal diario tenuto dalla Bianchi ed acquisito agli atti: cinque giorni dopo la sentenza d’appello, si tenne un colloquio all’interno dell’istituto ”don Orione” di Avezzano dove Mauro era ospitato quando fu tolto alla madre.
Oltre alla Bianchi ed al prete don Alfarano, a quel colloquio partecipò anche un giudice popolare della Corte che aveva appena condannato Michele Perruzza. Quel giudice, secondo il racconto della Bianchi, disse che c’erano stati molti dubbi ma « alla fine la testimonianza di Mauro era stata fondamentale». Agghiacciante.
Infine, il legale ha parlato della terza fase, quella più recente, «quando per ben due volte si è voluto “ghigliottinare” questo processo con sentenze pre-dibattimentali, cioè senza volervi entrare nel merito.
Una sciagurata impostazione, prima del Tribunale di Avezzano e poi dell’Aquila, che la Cassazione ha per fortuna respinto. Solo per questo siamo qui davanti a voi, giudici di Sulmona, che grazie al vostro coraggio, scriverete il vostro nome nella storia giudiziaria italiana».

Le vittime. Michele, innanzitutto, «un innocente crocefisso con i chiodi delle menzogne piantatigli nelle mani da suo figlio». Ma anche chi, come il giornalista Gennaro De Stefano, s’è fatto 57 giorni di carcere perché, ha ricordato Cecchini, «qualcuno gli mise della cocaina nella sua auto guarda caso proprio all’indomani di quel primo sopralluogo a Balsorano che dimostrò che nell’ora indicata da Mauro, dal capanno non si vedeva la scena del delitto perché era buio. E come De Stefano, ha pagato di persona anche l’ex dirigente del Commissariato di Avezzano (« un covo di vipere»), Rosanna Fortuna».
Le “grandi porte” della revisione potrebbero aprirsi per Michele Perruzza. Lui, rientrando ieri nella piccola porta del “cellulare” che lo riporterà in carcere, ha detto: «A mia madre, a mia moglie, ai miei figli, dico “Ciao”».


[Versione in pdf]
Capitolo precedente⇦ Indice CapitoliCapitolo successivo

Segui Angelo De Nicola su Facebook