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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 98

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



98. UNA PERIZIA-BOOMERANG INCHIODA MAURO
7. 3. 1998



La spietatezza di Mauro, gladiatore lasciato solo a combattere nella fossa dei leoni, la sua rocciosa resistenza alla raffica di domande sempre più ficcanti e rabbiose, la sua ribadita accusa al padre con l’ammissione di aver detto solo bugie fino all’ultimo memoriale, avrebbero potuto travolgere Michele Perruzza.
Un figlio così determinato ad accusare il padre (del delitto) e la madre (dell’istigazione all’autocalunnia), un ragazzo che ha tagliato tutti i ponti con la sua famiglia e col passato (parla in dialetto umbro, sverba poco e veste alla moda), avrebbe potuto essere uno scoglio difficile da superare per Michele, visto anche che la difesa del muratore, salvo qualche piccolo punto, ha perduto il confronto con Mauro non riuscendo a stanarlo come forse sperava.
Avrebbe. Perché il drammatico interrogatorio di Mauro, durato quasi quattro ore e sotto i riflettori di almeno una decina di troupe televisive ed addirittura trasmesso in diretta dall'emittente “Rete 8”, ai fini processuali è stato spazzato via dal clamoroso autogol della perizia di parte sul Dna.
La difesa di Michele (avvocati Cecchini, De Vita e Maccallini) aveva l’asso nella manica. Perciò, in apertura di udienza, i legali hanno chiesto al Tribunale di risolvere prima la questione del Dna e poi di interrogare il ragazzo.
Il Tribunale (Bonavitacola presidente, Conti e Mancini giudici) ha accolto questa impostazione. È stato perciò ascoltato il professor Bruno Dallapiccola, l’esperto di fama mondiale di genetica al quale i difensori di Mauro (gli avvocati Ferdinando Paone e Stefano Rossi) si erano rivolti per comparare il Dna del ragazzo con l'esito della perizia sul Dna sul famoso paio di mutande sicuramente indossate dall’assassino perché da una perizia sul Dna (che fece, all'epoca, proprio lo stesso Dallapiccola) è risultata macchiata del sangue di Cristina.
Il professore ha spiegato che il Dna estratto dai residui di liquido organico presente sugli slip (che la perizia d’ufficio ha escluso appartenesse a Michele) non sono compatibili con il Dna estratto dal sangue di Mauro. Le mutande non sarebbero nemmeno di Mauro, sostiene in sostanza l’esperto, a dimostrazione che quell’indumento intimo è stato “contaminato” da troppe mani e da troppi fattori esterni per essere prova attendibile.
Il colpo di scena arriva quando vengono ascoltati i due periti d’ufficio (i professori Carla Vecchiotti e Renato Mariani Costantini). Dopo aver valutato la controperizia di Dallapiccola, i due concludono: «La sequenza del Dna di Mauro è perfettamente compatibile con la quella del Dna estratto dai residui di liquidi organici».
Incredibile. Nemmeno il presidente Bonavitacola voleva credere alle sue orecchie. Ma come, un autogol simile? Come è possibile? La spiegazione data, in sostanza, è stata questa: per poter fare la comparazione col Dna di Mauro, a Dallapiccola è stata fatta recapitare (via fax) soltanto una tabella della ben più corposa perizia d'ufficio. Dallapiccola, quindi, non conosceva le premesse né gli allegati di quella perizia che “sviluppavano” la sequenza del Dna estratto dai residui.
Ebbene, lo “sviluppo” del Dna contenuto nei residui è risultato «perfettamente sovrapponibile» a quello sviluppato da Dallapiccola. Il quale, preso atto del clamoroso schiaffo in faccia, ha balbettato qualche spiegazione ma poi ha dovuto ammettere: «A me è stata consegnata una documentazione parziale. Su quella ho fatto il confronto. Prendo atto di quanto mi stanno contestando i periti d’ufficio».
Un autogol, appunto. La cui portata è stata poi amplificata dall’iniziale strategia della difesa di Michele di ascoltare Mauro soltanto dopo l’esame dei periti. «Perché avrei dovuto sottopormi volontariamente al test del Dna - dirà poi il ragazzo - se l’assassino fossi io? La perizia di Dallapiccola ha dimostrato che il Dna sullo slip non è il mio».
Troppo tardi. La perizia Dallapiccola era già stata spazzata via. Così come erano stati spazzati via tutti i residui dubbi sulla attendibilità di Mauro come testimone-chiave contro il padre.
Una perizia d’ufficio, in questo processo-satellite di Sulmona, aveva già dimostrato che dal famoso capanno il ragazzo non poteva vedere la scena del delitto perché all’ora da lui stesso indicata era buio: su questo punto Mauro non ha risposto alle pressanti domande venute anche dal presidente Bonavitacola.
Un’altra perizia d’ufficio ha dimostrato ieri che le mutande dell'assassino non furono certamente indossate da Michele Perruzza ma con ogni probabilità appartenevano proprio allo stesso ragazzo: ed anche su questo punto ieri Mauro non ha dato riposte.
E spazzata via l’attendibilità di Mauro, viene a cadere non solo l’accusa (l’istigazione all’autocalunnia) che è l’oggetto di questo processo-satellite, ma anche i cardini (la testimonianza di Mauro con la versione del capanno e l’appartenenza a Michele delle mutande) sui quali si è basata la condanna all'ergastolo del muratore.
Dunque, la sentenza di questo processo-satellite è già scritta. Oggi ci sarà la requisitoria del Pubblico ministero Aura Scarsella (chiederà l’assoluzione?) e poi le arringhe dei difensori. In serata la sentenza.
Per Michele Perruzza sarà assoluzione, di certo. Assoluzione che, per come è maturata, apre la strada al processo di revisione della condanna all’ergastolo e ad «una richiesta di immediata scarcerazione- ha precisato la difesa- di un uomo innocente, ingiustamente detenuto in carcere da sette anni e mezzo».


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