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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 82

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



82. «STATE DIFENDENDO UN PEDOFILO»
28. 6. 1997



Nell'ormai caso riaperto del delitto di Balsorano, scende in campo, con una clamorosa iniziativa, il padre della povera vittima.
Giuseppe Capoccitti, il padre della piccola Cristina, ha scritto una lettera (che pubblichiamo integralmente) per tornare ad accusare del delitto suo cognato, Michele Perruzza. Non solo. Capoccitti chiede di avere “voce” nel processo- satellite davanti al Tribunale di Sulmona.
Un processo che, di fatto, ha riaperto il caso visto che lo sta rivisitando da capo come aveva richiesto la difesa (avvocati Attilio Cecchini, Antonio De Vita e Carlo Maccallini) che mira ad una sentenza assolutoria nel merito dei due coniugi dall'accusa di aver istigato il figlio Mauro ad autoaccusarsi e sperare così nella revisione del processo principale.
Ricostruendo punto per punto i cardini dell'accusa contro Perruzza, Capoccitti chiede al presidente del Tribunale di Sulmona, Oreste Bonavitacola, che la sua lettera venga letta in aula alla ripresa del processo ed inserita agli atti.
Un'iniziativa che cade in un momento delicatissimo del processo-satellite visto che, martedì prossimo, sfileranno davanti al Tribunale testimoni “eccellenti” e decisivi, tra i quali alcuni poliziotti che condussero le indagini e che nel frattempo sono finiti sotto inchiesta per la scomparsa della famosa audiocassetta che conteneva la registrazione della prima confessione fatta dal figlio di Perruzza, Mauro.
Un'iniziativa a cui ha replicato ieri stesso l'avvocato di Perruzza, Cecchini. «Se gli struggenti appelli di Giuseppe Capoccitti serviranno a scuotere la coscienza di Mauro, ben vengano- si legge in una nota del legale-. Per ora è certo che il giovane si è sottratto al dovere di raccontare come andarono le cose la sera del 23 agosto 1990. Il Tribunale di Sulmona lo attendeva alla prova, il padre Michele lo ha sfidato ad un confronto in aula.
È ancora in tempo per dimostrare che dal capanno vide il padre stringere la gola di Cristina o per confermare che fu lui ad attirarla nel boschetto con il pretesto di cercare lucciole e la finì perché tentò di resistere all'insidia».
Ecco il testo della lettera che Giuseppe Capoccitti ha inviato al presidente del Tribunale di Sulmona, e per conoscenza al presidente della Repubblica, al ministro di Grazia e Giustizia, al presidente della Corte di Cassazione, al Procuratore generale dell’Aquila ed al presidente della Corte d’Appello dell’Aquila:
«Signor presidente del Tribunale di Sulmona, sto assistendo col cuore colmo di amarezza allo svolgimento del processo in corso a Sulmona nei confronti di Michele Perruzza. Pensavo che a distanza di sette anni dal giorno in cui morì mia figlia, quel tragico episodio potesse rimanere nel cuore mio e delle persone che provarono sulla propria pelle quell'immane tragedia con la speranza che il tempo rimarginasse lo straziante dolore.
Purtroppo non è stato così e anzi, mi tocca assistere impotente, udienza dopo udienza, alla beatificazione dell'assassino di Cristina: è un coro assordante, diretto senza scrupoli da personaggi che per i loro interessi sbandierano a livello giornalistico e cosa ben più grave a livello istituzionale la loro verità a senso unico per salvare dall'ergastolo un uomo che, credo, neppure lui abbia ben compreso per quale strana ragione sia stato elevato ad angelo paladino delle virtù ed emblema della cattiva amministrazione della giustizia nel nostro paese.
Mi sono a lungo interrogato e tormentato nel corso di questi anni sul fatto se il Perruzza fosse veramente l'assassino di Cristina, e sapesse con quanta voglia di scoprire dentro di me che così non era, che magari si trattò veramente solo di una tragica fatalità: di un gioco di bambini. La mia pena in questo caso sarebbe stata minore e tutto sommato me ne sarei fatto una ragione. Ed invece quel convincimento che Michele Perruzza fosse lui proprio lui, e nessun altro, il mostro libidinoso che uccise mia figlia in un impeto di perversa bramosia sessuale si è fatto sempre più solido in me. Poche battute, signor presidente, solo poche, per ricordare che Michele Perruzza è un pedofilo conclamato: agli atti del processo principale vi sono due specifiche dichiarazioni di bambine che a undici e a dodici anni sono state oggetto di attenzioni sessuali da parte di costui con carezze nelle zone intime e offerte di denaro “per fare qualcosa”. Mi chiedo come mai nessuno ha voluto ricordare questo particolare? Forse perché avrebbe intralciato la strada per ridare la libertà a questo squallido personaggio? Forse perché a livello di opinione pubblica, in un momento nel quale la lotta alla pedofilia viene penalmente perseguita come primaria, il fatto di ricordare una cosa simile sarebbe apparsa stonata?
Che sulla canottiera del Perruzza, sono stati ritrovati otto capelli strappati di mia figlia che lui dice che ci sarebbero finiti casualmente. C'è chi sostiene che quei capelli ce li avrebbe messi la polizia. Mi chiedo, signor presidente, e perché? Sì, e perché a parte che tutte le sentenze hanno stabilito che quella perquisizione si svolse regolarmente, qualcuno dovrebbe spiegarmi senza giri di parole, per quale ragione la polizia (che operò con i carabinieri) sarebbe dovuto arrivare a tanto. Se ammesso per assurdo che si voleva dare un colpevole in pasto all'opinione pubblica, quel colpevole già c'era e rispondeva al nome di Mauro Perruzza. Forse che il Michele era un personaggio che so io politico, del mondo della finanza o delle istituzioni che si doveva incastrare ad ogni costo “per interessi superiori”?
La testimone Rosa Perruzza ha dichiarato di aver sentito Michele rientrare in casa dicendo che Cristina era morta (e questo concorda con la dichiarazione di Maria Giuseppa, moglie del Perruzza). Avrà pur valore quella deposizione: oppure, signor presidente quelle affermazioni devono impunemente essere messe da parte per privilegiare quelle di testimoni dell'ultima ora. Non le suona un po' strana questa corsa alla deposizione dopo sette anni?
Che ne pensa, signor presidente, di questo attacco violento contro l'assistente sociale che ebbe in affidamento Mauro dopo che la stessa è stata assolta in un regolare processo da ogni accusa? Perché di quella sentenza nessuno parla?
Perché, signor presidente, nessuno reagisce davanti all'attacco contro i poliziotti che avrebbero pestato a sangue e torturato figlio e padre (a quest'ultimo addirittura rompendogli i denti) e minacciato la moglie di Perruzza? Mi sarei aspettato che di fronte ad accuse simili tirate fuori dopo tanto tempo (non mi risulta che Perruzza abbia mai denunciato botte e soprusi e tanto meno tirato fuori referti medici in proposito e tanto meno Mauro ha mai parlato di violenze) qualcuno avesse proceduto contro di loro per tali gravi reati. Perché nessuno interviene mandando in galera quei poliziotti se le accuse sono vere, oppure se sono false, cosa che io credo, non si arresta chi getta fango su costoro che tra l'altro non operarono da soli ma insieme ai carabinieri?
Che necessità c'è, signor presidente, se è vero che si vuole rifare il sopralluogo a Casa Castella, che si vuole andare a visitare quel tragico luogo, quando la Corte d'Appello ha già accertato che dal posto indicato da Mauro si poteva vedere il posto dell'omicidio e quando nessuno, dico nessuno, ha mai testimoniato in ordine all'ora esatta in cui fu uccisa Cristina (nel giro di pochi minuti le condizioni di visibilità cambiano rapidamente!).
Alle tante persone oneste che seguono la storia del delitto di Cristina, alle associazioni per la protezione dell'infanzia e a tutte le strutture che hanno qualche competenza in merito, voglio chiedere di essermi vicine non solo idealmente ma mobilitandosi assieme a me in questa dura battaglia. Sappiano che ieri è toccato a me di perdere una bambina per mano di un pedofilo ma che purtroppo, nel lassismo generale, domani Dio non voglia, potrebbe toccare a loro e proprio per mano magari di qualcuno liberato sull'onda emotiva dell'opinione pubblica. Facciamo in modo che la storia non si ripeta: fatti come quelli del Belgio o di casa nostra, con persone malvagie scarcerate tra l'indifferenza o addirittura compiacimento, non hanno insegnato nulla?
Chiedo che questo mio scritto venga inserito negli atti del processo. Chiedo inoltre che lo stesso venga letto in aula alla ripresa del processo».


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