Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 78
Un saggio di Angelo De Nicola
78. «E’ STATO MIO NIPOTE AD UCCIDERE CRISTINA; E’ ORA CHE CONFESSI»
12. 6. 1997
Va in scena, in un’afosa aula di Tribunale, una famiglia dilaniata.
Michele Perruzza, in manette, seduto in un cantuccio tra due secondini; la moglie a due metri dal marito ma separata da un nugolo di avvocati e da un divorzio; il figlio Mauro che passa davanti ai due genitori senza nemmeno degnarli di uno sguardo; madre e padre adottivi del ragazzo che, apprensivi e protettivi come chiocce intorno al proprio “pulcino”, cercano di tenerlo il più possibile appartato, e non solo dagli insistenti giornalisti che vorrebbero intervistarlo.
Padri e figli. Ieri, nell’aula del Tribunale di Sulmona, c’era pure un altro genitore.
Il padre di Michele, Pasquale Perruzza: il padre del “mostro di Balsorano”, il nonno di Mauro, il “capofamiglia”, il più anziano del suo clan in quel borgo che è Case Castella. Faccia bruciata da una vita sui campi, mani forti e rugose come una raspa, mentre passeggia nervosamente da un lato all’altro dell’aula, Pasquale Perruzza accetta di parlare con il cronista.
Signor Perruzza, è andato a trovare in carcere suo figlio Michele?
«Sì, certo che ci sono andato. Mi è sembrato che stesse un po’ meglio».
Che ne pensa di tutti questi intrecci processuali e procedurali, di tutti questi processi e controprocessi?
«E che ne so io! Io sono ignorante. Loro lo sanno. Spero soltanto che si arrivi alla verità».
E’ quale è la verità?
«Che è stato Mauro ad ammazzare Cristina».
Come fa lei ad esserne così sicuro?
«Certo, non l’ho mica visto con i miei occhi. Però io a mio figlio Michele ci credo e lui mi ha sempre detto di non essere stato, di non aver ucciso quella povera bambina. Eppoi c’è di mezzo pure una grossa bugia».
Una grossa bugia? Quale?
«Mi hanno detto che c’è una cassetta registrata con la confessione di Mauro che oggi non si trova più. Eccola la bugia. E le bugie non nascondono mai cose buone».
Ha mai incontrato Mauro in questi sette anni da quella notte del 23 agosto 1990?
«No, mai. Lui non mi ha mai voluto parlare. Anche questo fatto mi ha sempre insospettito negativamente: io sono suo nonno».
Come sono i rapporti con la famiglia di Cristina?
«Con i vecchi della famiglia ci salutiamo e ci parliamo. Certo, non è più come prima visto che abbiano il morto in casa sia loro che noi. Con il padre e la madre di Cristina, invece, da quel giorno non ci ho più parlato, nemmeno un parola».
Lei, in tutti questi anni, ha mai portato un fiore sulla tomba della piccola Cristina?
«Io personalmente no, ma le donne della mia famiglia lo fanno spesso. A quella bambina volevamo tutti bene».
Pasquale Perruzza torna a fare su e giù per l’aula in attesa che il Tribunale si pronunci su cose che lui non riesce a capire.
A pochi passi da lui, seduta in mezzo ai due avvocati (Giancarlo Bonanni e Lando Sciuba), Maria Giuseppa Capoccitti, la moglie di Michele Perruzza si dispera: «Fatemi vedere mio figlio, fatemi parlare con il mio ragazzo» dice la donna che da anni vive a Modena soltanto con il figlio più piccolo Francesco (coetaneo di Cristina, e quindi, oggi, quattordicenne), ovviamente lontana dall’ex marito (che sta scontando la pena nel carcere milanese di Opera), ma anche dal figlio Mauro (che è stato adottato da una famiglia umbra) e perfino dal primogenito, Daniele (che è in Germania, emigrato per cercare fortuna così come fece, venti anni fa, il padre Michele che andò a fare il manovale in Australia).
La famiglia Perruzza, ormai, non esiste più. E ad ogni nuova puntata, si dilania sempre di più.
Mentre i giudici sulmonesi sono riuniti in un lunga camera di consiglio, nella famiglia Perruzza si consuma un altro dramma.
La madre vorrebbe vedere il figlio. I suoi avvocati si adoperano e parte un’operazione “diplomatica” lunga e laboriosa. I legali del ragazzo non hanno nulla in contrario: Mauro ha già detto ai giudici che non parlerà in questo processo e, dunque, non c’è alcun “pericolo”. Anche i genitori adottivi del ragazzo non si oppongono.
Ma da Mauro arriva un secco no: «No, lei prima non mi ha nemmeno guardato in faccia» avrebbe detto il giovane, affidando l’ambasciata ai suoi legali. Un no col quale Mauro ha tagliato, forse definitivamente, i ponti con il suo passato che ha cercato di buttarsi alle spalle già qualche anno fa quando fece sapere di voler cambiare il cognome Perruzza, ormai diventato sinonimo di “mostro”. Lui, ormai, ha un nuova vita a Gubbio, adottato da un pensionato e da una signora proprietaria di alcune farmacie.
Fra qualche giorno sosterrà gli esami di maturità per diventare perito industriale.
Ha il motorino, e l’agiatezza della sua nuova famiglia gli consente persino di poter contare tutti i giorni su ripetizioni private per non avere sorprese agli esami di Stato.
Con Case Castella, con suo padre come con sua madre, con suo nonno come con tutta la sua famiglia, Mauro non ha più alcun legame. Restano solo i legacci dei processi.
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