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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 67

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



67. ASSOLTO, ERGASTOLO CONFERMATO
28. 1. 1994



Per Michele Perruzza, l’assoluzione è suonata come il sibilo della lama di una ghigliottina. Paradossalmente, l’assoluzione decisa ieri dal Tribunale di Avezzano per un procedimento-satellite potrebbe mozzare le già poche speranze per il muratore di ottenere la revisione del processo principale.
Manco a dirlo, il caso del delitto di Balsorano ha fatto registrare l’ennesimo colpo di scena.
Il processo di ieri, nel quale il muratore e la moglie Maria Giuseppa Capoccitti erano accusati di aver minacciato il figlio minore Mauro ad autocalunniarsi, cioè ad accusarsi del delitto per salvare il padre, s’era caricato di una decisiva importanza. Per la sostanza dei fatti ed ai fini della revisione preannunciata dagli avvocati del muratore (Attilio Cecchini ed Antonio De Vita).
Infatti, seppure dopo tre condanne all’ergastolo e dopo aver a lungo solo giocato con le allusioni (« Io ero a casa, mio figlio non c’era), Perruzza «ha trovato il coraggio di accusare» esplicitamente il figlio, oggi diciassettenne. Nell’interrogatorio davanti al Gip in questo procedimento-satellite, il muratore ha detto che dopo 16 mesi s’era convinto della colpevolezza del figlio, sulla quale anch’egli dubitava, poiché Mauro nelle decisive dichiarazioni davanti ai giudici di secondo grado (da cui, tra l’altro, è nato il processo di ieri) aveva rivelato un particolare della sera del delitto: il passaggio di un’auto che Michele ha ricordato di aver visto da casa sua.
Fondamentale, quindi, l’importanza di un processo nel quale si sarebbe dovuto accertare se i genitori costrinsero il figlio ad autoccusarsi. Fondamentale capire il perché di quell’iniziale autoaccusa, il principale fattore che a tutt’oggi mantiene vivo il maledetto interrogativo: il padre o il figlio? «Avremmo potuto finalmente ottenere una perizia psichiatrica su un ragazzo che dice bugie» ha poi commentato Cecchini.
Ci si aspettava battaglia sull’ammissione dei testimoni ”eccellenti” (tra cui il Pm che seguì le indagini sul delitto, Mario Pinelli). Ci si aspettava la ”rissa” tra Accusa (anche quella privata rappresentata dal legale di Mauro, Franco Colucci, costituitosi parte civile contro i genitori).
Ed invece, il Pm Brizio Montinaro (giudice a latere della Corte di secondo grado che condannò Perruzza) ha giocato d’anticipo.
Come eccezione preliminare, ha detto che il capo d’imputazione era errato. Le minacce per commettere il reato (autocalunnia) non si configurano perché dovevano essere fisiche e non morali «come invece, per un lapsus, ha contestato il mio collega» ha detto il Pm riferendosi all’ex Procuratore, Gianlorenzo Piccioli. Montinaro ha proseguito: pur correggendo il capo d’imputazione e cambiando il reato in autocalunnia, esso è stato commesso da un minore che come tale non è imputabile. Dunque, se è vero che il ”concorso” nel reato agisce contro ma anche a favore, i due coniugi vanno assolti perché ”concorrenti” di un soggetto non punibile.
Un ragionamento che il Tribunale (Ferraiolo presidente, Picaro e La Malfa giudici) ha accolto in un’ora sola di camera di consiglio: “Il fatto non costituisce reato”.
La mossa del Pm ha lasciato quasi di stucco la difesa. Che s’è trovata nell’imbarazzante situazione di doversi opporre ad una richiesta di assoluzione fatta dal Pm.
Cecchini ha lodato lo «scrupolo garantistico del Pm» ma ha affermato che però «così si ghigliottina un processo che Perruzza deve subire, come possibile cassa di risonanza per le sacrosante ragioni di un ergastolano innocente». La difesa ha implorato i giudici di consentire l’esame nel merito della vicenda (legata a filo triplo col processo principale) e non di limitarsi alla forma.
Nulla da fare: il Tribunale ha scelto l’assoluzione predibattimentale. Niente processo. Ha vinto il diritto, forse hanno perso tutti. «Non si deve strumentalizzare la norma -ha commentato Montinaro-. Non si può dire che il processo sia stato ghigliottinato». «Se voi state qui allora vuol dire che posso sperare» ha detto Perruzza ai sui legali. I quali non si arrendono.


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