Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 66
Un saggio di Angelo De Nicola
66. COSTRINSERO IL FIGLIO AD ACCUSARSI DELL'OMICIDIO
27. 1. 1994
Lui, Michele Perruzza, ha già sulle spalle 1.245 giorni di duro carcere senza speranza con “fine pena: mai”; lei, la moglie Maria Giuseppa Capoccitti, pur rinunciando a chiedere il divorzio, s'è ormai rifatta una nuova vita a Sassuolo(Modena); l'altro, il figlio Mauro, quasi alla soglia della maggiore età, non è più il «cuginetto tredicenne» e frequenta l'istituto tecnico industriale in una città del Nord, ospite di un collegio di suore.
A tre anni e mezzo dall'alba del 24 agosto 1990 quando, in un boschetto di rovi a Case Castella di Balsorano, venne trovato il corpicino nudo e martoriato della piccola Cristina, ad un anno e mezzo dall'ultimo processo in Cassazione che ha confermato l'ergastolo per il quarantatreenne muratore, sono cambiate molte cose.
Ma l'atmosfera che si respira da qualche giorno attorno al caso del “delitto di Balsorano” in vista del processo-satellite di oggi, è tornata quella carica di tensione che ha accompagnato l'inchiesta ed i suoi passaggi processuali. Segno che è ancora vivissima l'emozione per una vicenda che, a tutt'oggi, continua a spaccare in due l'opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti. Segno che la condanna all'ergastolo confermata sia in Appello (dopo un processo rifatto in pratica da capo) che in Cassazione, non è riuscita a fugare tutti i dubbi generali dal maledetto interrogativo: «L'assassino è il padre o il figlio?».
Forse, questo processo-satellite celebrato a freddo, potrebbe essere l'occasione per far piena luce su quella che, purtroppo, resta l'unica verità: l'assassinio di una bimba di 7 anni.
Gira gira, il caso del “delitto di Balsorano” ruota attorno a Mauro.
Ruota attorno al ragazzo anche il processo-satellite che la difesa di Michele cercherà di far diventare l'”elemento nuovo” necessario per tentare la difficilissima strada della “revisione” del procedimento principale, chiuso dalla definitiva sentenza (ergastolo!) della Corte di Cassazione.
Un attesissimo processo a Michele e sua moglie (rinviati a giudizio per aver costretto Mauro, costituitosi parte civile, ad autoaccusarsi dell'assassinio di Cristina) che comincia stamani davanti al Tribunale di Avezzano e che si preannuncia carico di colpi a sorpresa. Non tanto perché, già per oggi, è stata programmata una conferenza stampa della difesa del muratore (avvocati Attilio Cecchini ed Antonio De Vita) con la quale si sancirà l'ufficiale inizio della scalata alla revisione; non tanto perché sono stati citati, dalla Pubblica accusa (il Pm Sergio Colaiocco) e dalla difesa (che comprende anche il legale della donna, l'avvocato Giancarlo Bonanni) testimoni “eccellenti” tra i quali anche il Pubblico ministero che si occupò delle indagini (Mario Pinelli, oggi sostituto presso la Procura dell'Aquila), i poliziotti (tra cui l'ispettore Pietro Di Giamberardino) che indagarono, gli psicologi che hanno seguito il ragazzo, i giornalisti (tra cui Gennaro De Stefano) che si occuparono del caso; quanto perché tra le “carte” che gli avvocati di Perruzza vogliono giocare c'è quella del “confronto”.
Ovvero del faccia a faccia in aula tra il padre (che finora ha solo alluso a possibili responsabilità del figlio nell'omicidio) ed il ragazzo (che prima s'è autoaccusato del delitto per poi accusare, sempre, il genitore fornendo però svariate, diverse, versioni).
Proprio dall'ultima versione raccontata dal ragazzo, quella fornita davanti ai giudici della Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila nella quale lui parlò del famoso capanno dal cui tetto avrebbe visto il padre colpire la cuginetta nuda, è nato il processo collaterale di oggi.
Mentre Mauro, a porte chiuse (in quanto minore) scavava con le sue dichiarazioni (che poi saranno il pilastro delle motivazioni della sentenza) la fossa dell'ergastolo al padre, il Pubblico ministero (il sostituto procuratore generale Antonio Palumbo) gli fece una domanda scontata: «Perché a principio ti sei autoaccusato?». Mauro giustificò quell'atteggiamento col fatto che la madre (ma alla presenza del padre) continuamente gli diceva che se avessero preso Michele, lui «si doveva accusare di tutto, in quanto minorenne e perciò non imputabile, al fine di salvare il buon nome della famiglia».
Il Pm Palumbo, d'ufficio, trasmise gli atti alla Procura di Avezzano che ha avviato un procedimento contro i coniugi Perruzza per minaccia continuata ed in concorso tra loro per costringere Mauro a commettere il reato di autocalunnia.
Si comprende, dunque, perché la difesa di Michele, giocherà il tutto per tutto per ottenere l'assoluzione. Un risultato che determinerebbe due conseguenze logiche.
Primo: che Mauro non venne istigato ad autoaccusarsi e che, di conseguenza, resta quantomeno un mistero il perché, senza alcuna sollecitazione, si addossò la colpa.
Secondo: Mauro non è credibile soprattutto quando, presunto testimone oculare del delitto, accusa il padre. Eccola la decisiva importanza della quale s'è venuto a caricare questo processo-satellite: secondo la difesa potrebbe rimettere in discussione alcune “verità” processuali del procedimento principale.
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