Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 68
Un saggio di Angelo De Nicola
68. I LEGALI INSISTONO: TRE ASSI PER LA REVISIONE
28. 1. 1994
«Un’altra battaglia è persa, ma non ci arrendiamo». Spiazzati dalla mossa a sorpresa del Pm Montinaro e paradossalmente insoddisfatti per l’assoluzione, gli avvocati di Michele Perruzza hanno preannunciato che quanto prima tenteranno ugualmente la strada della revisione del processo principale.
Uno strumento «eccezionale ma non impossibile» per tentare il quale, cioè per chiedere alla Corte d’Appello di potere rifare il processo, occorrono «elementi nuovi».
Tre le “novità” già preannunciate, ieri pomeriggio, nel corso di una conferenza stampa, dalla difesa.
Primo: esiste una ripresa televisiva, realizzata nello stesso giorno del delitto (23 agosto, ma del '92) che smentisce le dichiarazioni che il figlio di Perruzza fornì alla Corte d’Assise d’Appello e che sono poi risultate il pilastro delle motivazioni della condanna all’ergastolo.
Il ragazzo, fornendo l’ennesima nuova versione, raccontò d’aver visto il padre assassinare Cristina dal tetto di un capanno tra le 20,30 e le 21. La ripresa dimostra che a quell’ora (fin dalle 20,30) è buio e dal capanno non si vede nulla.
Secondo: la famosa audiocassetta fantasma. Ossia quella (o quelle?) registrata dagli inquirenti in cui vi sarebbe impressa l’autoaccusa di Mauro e le successive accuse al padre. «Una metamorfosi che vogliamo capire anche dalla registrazione- ha detto l’avvocato Cecchini-. E quel nastro esiste».
La difesa, nel processo di secondo grado, presentò addirittura una denuncia per sapere dove fosse finito il nastro. L’inchiesta sul caso è stata archiviata. L’allora commissario di Avezzano, Giuseppe Bartoli, secondo quanto ha rivelato ieri Cecchini, interrogato dal magistrato, ha detto che poiché il nastro non serviva lo riutilizzò.
A sorpresa, Cecchini ha tirato fuori la fotocopia di un documento in cui risulterebbe che di cassette ne esistono addirittura tre: l’ispettore Di Giamberardino scrive a Bartoli per consegnargli tre cassette che diventerebbero, quindi, atti ufficiali non sopprimibili.
Terzo: esami del Dna. L’avvocato De Vita ha spiegato che, con l’avanzamento delle tecniche, oggi sarebbe possibile individuare, attraverso l’esame del Dna sui liquidi organici presenti, a chi appartenevano gli slip sui quali venne trovato il sangue della piccola Cristina. «Perché non s’è fatto prima?» avrebbe chiesto Perruzza ai suoi legali.
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