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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 60

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



60. «PERCHE' E' STATO MIO FIGLIO»
4. 9. 1992



«Quando mio figlio si autoaccusò del delitto io non volevo crederci. Oggi però sono arrivato alla conclusione che lui è responsabile dell'omicidio di Cristina».
Comincia così la seconda puntata del memoriale, oggi in edicola, in cui Michele Perruzza spiega «il ragionamento» attraverso il quale ha deciso di accusare suo figlio Mauro.
La direzione del settimanale “Visto” ha deciso di non “tagliare” il servizio nonostante lunedì scorso sia finito in carcere Gennaro De Stefano, il giornalista di Avezzano che ha raccolto ed elaborato lo sfogo di Perruzza « mettendo insieme in un italiano comprensibile le varie lettere che Michele ha scritto dal carcere» cedendolo poi in esclusiva, al periodico milanese.
Un'iniziativa che aveva subito sollevato parecchie perplessità dal momento che il muratore di Balsorano non aveva mai voluto parlare, nemmeno con i suoi avvocati, per raccontare cosa avvenne quella sera del 23 agosto 1990 ed aveva subito spaccato il fronte degli innocentisti: «I memoriali a pagamento non aiutano Michele Perruzza» commentò il segretario dell'Associazione vittime dell'ingiustizia, Giacomo Fassino.
Sostenendo che suo figlio Mauro è un bugiardo («Perché le sue bugie hanno trovato sempre giustificazione e le mie verità no?», si legge nel memoriale), Perruzza spiega che «per due motivi quella sera era Mauro con Cristina».
Primo: nei giorni immediatamente successivi al delitto, racconta il muratore, un maresciallo dei carabinieri gli disse che dovevano fare delle perquisizioni nelle abitazioni del paese. «Io mi offrii di iniziare da casa mia e lui mi rispose che avrebbero cominciato dagli estranei. Ad un certo punto Mauro si girò e mi chiese se per caso le perquisizioni le facevano i cani poliziotto. Io lo guardai e gli dissi: «Ma che hai paura che ti mordono?». E' chiaro che mio figlio temeva il ritrovamento delle mutande che lui aveva gettato sul tetto dal bagno di casa nostra». Viene da chiedersi: perché, dopo questa conversazione, Mauro non ha tolto quelle mutande? E forse Mauro sapeva che da quelle piccole macchie di sangue si sarebbe potuto rintracciare il Dna?
Secondo: l'episodio della famosa “Renault” che Mauro ha raccontato, al processo d'appello, di aver intravisto quando, nascosto sul capanno- porcilaia del nonno, assistè alla scena dell'omicidio. «Mauro tra tante bugie ha detto una verità... - si legge nel memoriale- Lui parla di una “Renault” bianca che passò sulla strada la sera del delitto e che lui vide dal capanno... E' vero, l'auto passò ed io la ricordo benissimo perché stavo fumando una sigaretta e mostravo a mia moglie il muretto in cemento armato della nostra nuova casa che avevo costruito nel pomeriggio. Ma la macchina viaggiava sul lato destro della strada e dal capanno è impossibile vederla dal posto dove è stata uccisa Cristina». Viene da chiedersi: come mai finora Perruzza ha sempre detto che all'ora del delitto si trovava in casa con sua moglie?
Il memoriale si conclude con altre accuse al figlio: «Lui dice che attende di essere adottato da qualche buona famiglia così come gli ha promesso il Tribunale dei Minori, ma forse non capisce che questo per lui rimarrà un miraggio e che la buona famiglia ce l'aveva se non l'avesse distrutta con il suo comportamento».


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