Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 59
Un saggio di Angelo De Nicola
59. «IL MOSTRO E' MIO FIGLIO»
28. 8. 1992
«Gnaje stat'je». A denti stretti e nel suo dialetto, Michele Perruzza aveva sempre detto di non essere il “mostro” di Balsorano. Di non essere stato lui ad uccidere la nipotina.
«Non sono stato io»: senza motivazioni, senza aggiungere altro. Un grido coerente e ossessivo che aveva spiazzato gli stessi avvocati difensori i quali, prima del processo d'Appello che nel gennaio ha confermato l'ergastolo, cercarono di far capire al quarantaduenne muratore che se non avesse detto nemmeno a loro la verità, difficilmente l'avrebbero potuto aiutare. «Non accuserò mai il sangue del mio sangue»: questo gli avvocati riuscirono a far dire ad un imputato che, pur sull'orlo del carcere senza speranza, è rimasto muto.
Un silenzio che se per alcuni pesa più di una prova, per altri ha finito con l'alimentare l'unica alternativa al muratore: il figlio tredicenne Mauro che, a principio, confessò il delitto per poi ritrattare ed accusare il genitore.
La «verità» che poliziotti, carabinieri, vari pubblici ministeri, due Corti d'Assise, gli stessi avvocati difensori (ben tre collegi), hanno cercato di “estorcere” al muratore di Balsorano per chiarire quei dubbi che ancora restano, Perruzza l'ha affidata, in esclusiva e alla vigilia del processo in Cassazione (28 settembre), ad un settimanale.
Una verità da valutare con cautela visti i tempi ed i modi con cui è emersa. «Ho generato un mostro, il vero mostro non si chiama Michele Perruzza, ma purtroppo per me, Mauro. E' lui l'assassino di Cristina».
Comincia così, col padre che per la prima volta parla e parla per accusare esplicitamente il figlio, il memoriale pubblicato oggi sul settimanale “Visto”. «Sono il padre di un ragazzo che non ha anima, non ha coscienza, ma la mia maledizione si abbatterà su di lui e lo accompagnerà per tutta la vita... Io sono tranquillo e sereno perché sono pulito ma mio figlio verrà rosicchiato piano piano dal rimorso, fino a quando scoppierà» si legge ancora in un lungo sfogo che avrà una seconda puntata. La prossima settimana verrà svelato il ragionamento che Perruzza ha fatto per puntare l'indice su suo figlio.
A “verbalizzare” la verità di Perruzza, in carcere dall'alba del 27 agosto 1990 ed attualmente nel penitenziario di Spoleto, è stato un pubblicista di Avezzano, Gennaro De Stefano, lo stesso che alla vigilia del processo d'appello ha pubblicato un libro innocentista.
Lo stesso che tre giorni dopo il processo di secondo grado, ha pubblicato su un altro settimanale (in esclusiva) un libro-diario attribuito a Mauro (ma sul cui utilizzo pendono due denunce, una dello stesso ragazzino) nel quale il figlio chiederebbe scusa al padre di averlo accusato. Lo stesso che su un settimanale ha pubblicato (in esclusiva) una testimonianza (su cui pende un'inchiesta) secondo cui le dichiarazioni accusatorie di Mauro davanti alla Corte d'Appello (risultate la “prova regina”) erano state prefabbricate.
Insomma, uno dei più impegnati « giudici» di quella sorta di Tribunale alternativo che, a colpi di presunti scoop, ha trasformato la vicenda in uno sceneggiato, una “Twin Peaks” a Balsorano, che ha disorientato l'opinione pubblica.
«Ho continuato ad avere rapporti epistolari con Perruzza - dice De Stefano che ha curato lo “scoop” per “Visto”- anche dopo la sentenza di secondo grado. Con le varie lettere che mi ha scritto ho elaborato un memoriale, nel senso che l'ho solo messo in un italiano comprensibile. Quindi ho inviato tale riassunto in carcere per la sua approvazione. Lui l'ha corretto e mi ha dato l'approvazione per la pubblicazione. A pagamento? Beh, io faccio il mio mestiere». E come mai Perruzza s'è deciso a parlare con lei? «Io non l'ho mai abbandonato - continua il free-lance-. Sono sempre stato convinto della sua innocenza. Michele mi ha fornito dei fatti che ho verificato, sul posto. Poi ho preso accordi con la difesa del muratore. Ci siamo cautelati, non siamo dei pazzi. Facciamo questo perché crediamo che Michele Perruzza abbia diritto ad un processo “vero”. Anche i memoriali a pagamento possono essere utili».
Ma l'ultimo “scoop” ha già spaccato il fronte degli innocentisti. Con l'iniziativa non è assolutamente d'accordo Giacomo Fassino, il segretario dell'Associazione vittime dell'ingiustizia (Avi) che recentemente ha costituito un “Comitato giustizia per Michele Perruzza” organizzando, sabato scorso, un sopralluogo, nel giorno del secondo anniversario del delitto, per dimostrare che dal posto descritto dalle dichiarazioni del figlio (una porcilaia) non si poteva vedere il boschetto dove avvenne l'omicidio perché all'ora indicata (ore 20:30) era già notte.
«A cosa serve un memoriale? A cosa serve ora?- si chiede Fassino-. Ha lo stesso sapore di quei diari di Mauro tirati fuori da De Stefano, ovviamente a pagamento, dopo il processo. Una squallida storia per la quale abbiamo presentato una denuncia. Non è così che aiutiamo Michele Perruzza».
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