Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 6
Un saggio di Angelo De Nicola
6. TESTIMONIANZE AL SETACCIO
1. 9. 1990
Balsorano, otto giorni dopo la tragedia. Alla messa della “riuscita” (è costume in queste zone che i congiunti stretti del defunto restino in casa sette giorni, per tornare alla vita normale dopo una settimana col rito commemorativo), al primo banco a sinistra della chiesa di Ridotti, c'era tutta la famigliola della povera Cristina.
Il padre Giuseppe Capoccitti, la madre Dina Valentini che non è più uscita di casa dal giorno dell'assassinio restando sempre distesa sul letto, e il tredicenne Samuele. L'altro pomeriggio la famiglia Capoccitti aveva chiesto riservatezza. Al parroco don Mario De Ciantis i due genitori, provatissimi dalla tragedia e da quanto sta accadendo hanno chiesto di non suonare nemmeno le campane: avrebbero avvisato soltanto pochi intimi.
La discrezione è stata compresa, ma la chiesa era comunque piena. C'era tutta Case Castella. Non curiosi o inquirenti come era avvenuto ai funerali.
E non c'era nessuno della famiglia Perruzza.
«Dobbiamo stare vicino ai genitori di Cristina - ha detto il parroco nell'omelia- e non dobbiamo provare odio. Occorre ritrovare, tutti, maggiore serenità perché anche qui a Case Castella la vita continua, purtroppo senza quella stella di Biancaneve». Odio contro i Perruzza. Poi, don Mario affronta il tema del “mostro”, del presunto mostro, di Michele Perruzza che il paese, da giorni ha “mollato”. In pochi sono disposti se non a difenderlo quantomeno a concedergli l'esame del processo. «Qui, la gente è inferocita - spiega ancora il parroco -, per come sono andate le cose. Se infatti, nell'immediatezza di un terribile atto non umano si fosse subito scoperto e isolato l'elemento “bacato”, tutto sarebbe certamente andato in maniera diversa. Invece, sempre che la magistratura accerti che Perruzza è il colpevole, cosa di cui qui sono ormai convinti, ha mandato tutti in bestia il fatto che questo “non uomo” sia stato coperto dai suoi familiari. Da sua moglie soprattutto».
«A Case Castella o sono Perruzza o sono Capoccitti - continua don Mario -. Bisogna perciò evitare che il paese si spacchi, che si formino due blocchi divisi. Sarebbe il preludio a grossi guai. Il nostro vescovo e io, per quanto possa fare, cercheremo di convincere tutti a ritrovare serenità. Perciò ho intenzione di farmi sentire vicino anche la famiglia Perruzza. Ora come ora non mi sembra il caso e l'ho evitato: nell'atmosfera creatasi, il mio passo potrebbe sembrare quasi un voler curiosare, indagare, su quella che è invece un'altra tragedia, terrificante forse quanto quella, immane, che ha colpito i familiari di Cristina. Perché prima di gettare Biancaneve nell'ortica, dietro quella maledetta siepe è stata gettata l'immagine dell'uomo...».
Avezzano, ottavo giorno di indagini. In attesa dei risultati delle indagini, quella di ieri è stata una giornata utile agli inquirenti per riflettere sul già fatto e quello da fare.
Accertamenti e raccolte di testimonianze sono proseguiti anche ieri a Balsorano.
Riflettendo a mente più fresca, senza quella pressione dell'opinione pubblica che magistrato, Carabinieri e Polizia hanno mostrato di sentire, forse oltre misura, e con colui che considerano il « bruto» assicurato al carcere, gli investigatori hanno tentato un esame globale e più dettagliato di tutti gli indizi finora raccolti. Tante testimonianze, come quelle che descrivevano la famiglia Perruzza subito dopo la scomparsa di Cristina in quella, afosa, maledetta serata di giovedì, sono state riguardate sotto un'altra luce.
Questo replay più sereno ha permesso di evidenziare le ombre che ci sono nel comportamento dei tre, del muratore, della moglie Maria Giuseppa e del figlio tredicenne Mauro. Ad esempio, la testimonianza che Michele Perruzza sia uscito a cercare la nipotina scomparsa quasi per ultimo, ben vestito e come se avesse fatto una doccia mentre molti si erano precipitati in strada in pigiama o in vestaglia.
Allo stesso modo sono state filtrate le dichiarazioni rese da Perruzza in carcere giovedì mattina nell'interrogatorio davanti al Gip. Confrontate sia con quanto il carpentiere aveva detto nella nottata dei colpi di scena sia con gli elementi nuovi che sono emersi, la sua ricostruzione è fragile. Né reggono certe sue spiegazioni. Per esempio, quella sul paio di mutande macchiate di sangue proprio nel punto dove si prende l'indumento per infilarselo (o per toglierselo) rinvenute nel sottotetto di casa sua durante la perquisizione di mercoledì. Ce le avrebbe portate il vento: ha spiegato il muratore.
E il sangue? Una ferita ad una mano sul lavoro. Un taglietto ad una mano dal quale però, secondo un medico che ha esaminato la ferita, non sarebbe potuta uscire che qualche goccia di sangue. Insomma, per l'accusa non sembra più essere determinante la ritrattazione, temutissima fino a qualche giorno fa, di moglie e figlio del muratore. Ha detto ieri il Sostituto procuratore Mario Pinelli. «Vi sono già elementi per formulare e sostenere l'accusa di omicidio aggravato legato ad atti di libidine ed occultamento di cadavere». Il processo è vicino.
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