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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 58

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



58. LAGGIU' LA VITA S'E' FERMATA
23. 8. 1992



A Case Castella è tempo di more. I cespugli spinosi stracolmi accerchiano quella piccola radura, poco scoscesa rispetto alla provinciale di Ridotti di Balsorano, dove fino a due anni fa, c'era un bel boschetto di more. I rovi sono stati da tempo abbattuti e all'ombra di alcuni alberi secolari è stata eretta una piccola “edicola”. Che in questi afosi giorni di fine agosto è meta di un continuo pellegrinaggio.
Sono passati due anni. Da quando il 24 agosto del 1990, tra i rovi, un cane della Guardia di Finanza trovò il corpicino, nudo e martoriato, della piccola Cristina.
La piccola era scomparsa dalla sera precedente, verso le 20:30, scappando di casa con un vasetto di yogurt come cena, per andare in piazza a giocare con gli amichetti.
Venne cercata per tutta la notte: era a due passi, meno di cento metri, da casa sua.
Massacrata a colpi di pietra dopo essere stata violentata, si disse sul momento.
Soffocata dopo alcuni atti di libidine, stabilirà poi il processo d'Appello nel gennaio scorso.
Un intensissimo processo di secondo grado che, dopo aver cancellato molte delle certezze del processo precedente, ha comunque ribadito la condanna all'ergastolo per Michele Perruzza.
Sono passati due anni. La vita dei poco più di ottanta abitanti della frazione Case Castella di Ridotti (a sua volta frazione di Balsorano) sembra essersi fermata.
Una manciata di case assiepate, in uno dei “gomiti” che la strada provinciale forma inerpicandosi dalla statale, fino a Ridotti, e divise da una scalinata che spartisce le abitazioni dei nuclei familiari dei Perruzza e dei Capoccitti.
E' tutto come due anni fa. La nuova casa in costruzione di Michele Perruzza è ferma a come è stata lasciata all'alba del 26 agosto quando il muratore venne portato con la moglie al Tribunale di Avezzano (dove c'era già il figlio) per essere interrogato.
La casa dove abitavano i Perruzza è in abbandono. Non ci vive più nessuno. Da tempo.
Vive in Emilia Romagna, col figlio più piccolo di 9 anni, Maria Giuseppa Capoccitti, moglie del muratore, sorella del padre di Cristina e per molti unica depositaria della verità del delitto di Balsorano. Il figlio maggiore, Daniele, s'è rifatto una vita a Roma. Il figlio Mauro è stato tolto alla madre ed affidato ad una famiglia.
Perruzza è nel carcere di Spoleto in attesa dell'ultima speranza: il processo in Cassazione che si terrà tra un mese, il 29 settembre. I suoi avvocati hanno già chiesto l'annullamento dei precedenti dibattimenti.
Serrande abbassate e nessun segno di vita nella villetta dei Capoccitti: il padre e la madre di Cristina, l'infermiere Giuseppe e la signora Dina Valentini, subito dopo la tragedia si sono trasferiti ad Avezzano dove a novembre è nato Alessandro, speranza di una vita nuova.
In abbandono anche il capanno dove fino a due anni fa il nonno di Cristina allevava i maiali: dal tetto di quella costruzione in cemento Mauro, come testimoniò in aula al processo d'Appello, ha detto di aver visto il padre sopra la sua cuginetta che la strozzava.
Su quel tetto del capanno s'è recata, il 21 gennaio scorso, l'intera Corte di secondo grado infangandosi fino ai capelli, per sincerarsi che si vedesse il luogo del delitto, posto più in alto. Si vedeva. E si vedeva anche ieri, nonostante l'erba sia cresciuta a dismisura e nonostante gli alberi siano esplosi di vegetazione.
Non si vede assolutamente nemmeno la sagoma dell'edicola, a causa della vegetazione, dal box Sip-Enel sulla strada. Da qui, fornendo una delle sue otto versioni sulla vicenda, Mauro disse di aver visto il padre uccidere Cristina.
Sono passati due anni. Lo dimostra un bambolotto di Babbo Natale che una mano pietosa ha messo nella bacheca dell'edicola accanto alla foto di Cristina che sorride senza un dentino.
Nessuna mano pietosa, invece, ha voluto cancellare le scritte che ancora campeggiano lungo i muri di contenimento che costeggiano la strada provinciale che, dalla statale 82 per Sora, s'inerpica a tornanti fino a Ridotti. Molte scritte sono state coperte con altra vernice. Ma non quella all'ingresso di Case Castella (“Maria assassina ci hai sporcato”) né quelle al fontanile: “!Maria putt..., non sporcare l'acqua con le tue mani piene di sangue”. Altre scritte volgari coprono la stessa targa che ricorda che nel 1969 un Perruzza (Rolando) edificò quel lavatoio. «Se sti' ragazzi non la smettono -commenta una donna venuta a lavare i panni -, quella targa non si leggerà più».
Ma forse non sono soltanto i ragazzi del paese, molti dei quali si chiamano Perruzza, ad aver condannato a vita Michele e ad aver sentenziato una specie di ergastolo anche per Maria Giuseppa. “Maria assassina ci hai sporcato”.


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