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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 55

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



55. PERRUZZA, L'ERGASTOLO, UN DIARIO SENZA FUTURO
31. 1. 1992



Niente applausi alla lettura della sentenza, niente fuochi d'artificio in paese per la condanna al carcere a vita di un uomo. Ieri sera sono rispuntati i diari e lettere segrete (in questo caso di Mauro che chiederebbe scusa al padre, ma la lettera è datata 12 aprile ‘91) offerti, ovviamente, in esclusiva compensata.
Rispetto allo scorso marzo, il clima attorno al delitto di Balsorano è cambiato e non soltanto perché è trascorso altro tempo da quella fine estate del 1990 che sconvolse Case Castella.
E' stato probabilmente l'intenso processo di secondo grado conclusosi con la conferma della condanna all'ergastolo per Michele Perruzza, a portare un'aria nuova su questa tristissima vicenda.
La Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila ha mostrato sia la disperata “voglia” di arrivare alla verità passando ai “raggi X” ogni cavillo del processo, sia il coraggio di prendere decisioni gravi. Come quella di smentire con un'ordinanza la Corte di primo grado e di gettare alle ortiche la prima sentenza, d'altra parte figlia di un processo che non c'è stato in particolare perché Perruzza non è stato difeso a dovere. Alla fine, il certosino lavoro della Corte è stato premiato: sono infatti emerse tre « prove» che dal punto di vista processuale costituiscono il nuovo “teorema” della colpevolezza di Perruzza.
Ossia: c'è un testimone del delitto (il figlio Mauro) che in aula ha fornito degli elementi compatibili sia con la (successiva) superperizia ordinata dalla Corte, sia col (successivo) sopralluogo a Case Castella degli stessi giudici.
Uno più uno più uno, fa tre. Ed alla somma, già decisiva, si aggiungono gli elementi di colpevolezza rimasti in piedi dopo le “picconate” della difesa alla sentenza di primo grado: in particolare le perizie sul Dna e la mancanza di alibi.
Un certosino lavoro andato a buon fine ma che ha finito con l'illuminare ancora di più le zone d'ombra della vicenda, sia storica che processuale. In sostanza s'è creata la paradossale situazione che ci sono più prove sulla colpevolezza di Perruzza, ma i dubbi sono aumentati. Ciò s'è verificato per “colpa” della difesa. Gli avvocati Attilio Cecchini e Antonio De Vita, approfittando delle falle lasciate aperte dalle indagini e da una sentenza di primo grado zoppicante, hanno praticamente recuperato tutto il terreno perduto in primo grado.
Anche loro hanno avuto coraggio. Di puntare senza mezzi termini o allusioni sull'unica vera alternativa al muratore, il figlio; di scegliere questa strada senza avere l'appoggio (che sarebbe potuto risultare decisivo) di Michele Perruzza; di proporre alcuni accertamenti ed approfondimenti col rischio che questi si ritorcessero contro la difesa.
E così è stato. I difensori hanno proposto di ascoltare Mauro che invece è venuto in aula ad accusare il padre; i difensori hanno proposto il sopralluogo che ha rafforzato l'attendibilità del ragazzo; i difensori hanno proposto una superperizia che ha supportato il racconto del minore.
Il coraggio è invece mancato a Michele Perruzza e non soltanto perché, come era accaduto in primo grado, non ha voluto assistere alla lettura della sentenza spiazzando perfino i suoi difensori. Perruzza è rimasto zitto. E' vero che è «un tipo strano» come definiscono in carcere questo detenuto modello che un giorno, poiché durante una traduzione i carabinieri non lo avevano ammanettato, ha chiesto che gli venissero messe le manette «perché così si fa». Ma è diventato davvero sospetto il fatto che il muratore non voglia accusare il figlio direttamente lasciandolo fare ai suoi avvocati.
Per Perruzza resta la speranza del terzo, ultimo e definitivo giudizio: in Cassazione. Molto dipenderà dalle motivazioni della sentenza di conferma dell'ergastolo alla luce anche dell'importante esclusione decisa dalla Corte d'Appello dell'aggravante delle sevizie.
Ma il processo proceduralmente appare pieno di “mine”.
C'è il problema dell'audiocassetta che comunque, pur intaccando eventualmente (e gravemente) i diritti della difesa, appare nella vicenda di secondo piano; c'è la questione dell'incompatibilità del difensore di primo grado poiché aveva già difeso il figlio; e c'è il delicato problema dell'incompatibilità dei giudici togati della Corte di primo grado che avevano già fatto parte del collegio del Tribunale della Libertà che esaminò (e rigettò) la richiesta di scarcerazione per il muratore. Per quest'ultima faccenda si sarebbe dovuto investire la Corte Costituzionale perché il nuovo codice non prevede espressamente tale incompatibilità che invece contrasta con la filosofia della normativa.
Gli avvocati di Perruzza, in primo grado, rinunciarono a presentare l'eccezione di incostituzionalità per non costringere il muratore ad attendere ulteriormente in carcere la risposta. Nel frattempo la questione è arrivata ugualmente alla Corte Costituzionale sollevato dalla Corte d'Appello di Milano.
Si è ancora in attesa della risposta.


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