Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 56
Un saggio di Angelo De Nicola
56. MA CASE CASTELLA DI BALSORANO NON E' TWIN PEAKS
15. 2. 1992
«La “verità” di Mauro era stata prefabbricata». E' l'ennesimo titolo-sentenza del tribunale alternativo sul caso Perruzza alla cui presidenza s'è messo un noto rotocalco nazionale che oggi pubblica in edicola le sue motivazioni. Al termine di una veloce istruttoria, il tribunale alternativo ha stabilito che il figlio minore di Michele Perruzza aveva la testimonianza in tasca quando il 29 novembre scorso fu ascoltato come teste davanti alla Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila.
I giudici del tribunale alternativo hanno stabilito che l'assistente sociale che seguiva il ragazzo, gli prefabbricò per filo e per segno tutto quello che doveva dire per incastrare definitivamente il padre. Anzi, per evitare eventuali scherzi dell'emozione, l'assistente sociale preparò un foglio dattiloscritto con le risposte da dare. L'assistente sociale aveva previsto tutto: anche il fuoco di domande col quale quei “mastini” degli avvocati della difesa avrebbero tempestato il ragazzo nel corso di una “cross examination” lunga (durata un'ora e mezzo) e fitta (trascrizione: oltre 150 fogli).
La sentenza del Tribunale alternativo ha basato la sua decisione su un superteste: il figlio ventiseienne di una donna a cui Mauro era stato dato in affidamento provvisorio, dopo che il Tribunale per i Minori ne aveva disposto l'allontanamento dalla madre. Il superteste, pur avendo visto e letto quel dattiloscritto, non ce l'ha fatta «ad uscire dalle catacombe della coscienza» né prima del decisivo interrogatorio, né subito dopo.
Né prima delle pronuncia della conferma della condanna all'ergastolo per Perruzza, né subito dopo.
Ha atteso che passassero due settimane dalla sentenza. Il superteste non ha affidato la clamorosa verità né alla magistratura a cui spetta indagare su queste cose, né ai giudici della Corte d'Assise d'Appello che pure avevano l'ingrato compito di decidere se condannare un uomo al carcere a vita, né agli avvocati difensori di Perruzza che ne avrebbero sicuramente fatto un ariete della loro battaglia. No, il superteste ha affidato la verità “in esclusiva” ad un giornalista di un rotocalco.
E' vero che le troppe lacune, i troppi errori, le troppo modeste professionalità, l'atavica voglia (anche dei mass media) di creare il “mostro” hanno lasciato sul campo tanti dubbi su come realmente andarono le cose quella sera del 23 agosto del 90.
Ma questa caccia ai tribunali alternativi per legittimare i diari segreti, le lettere, i supertestimoni in ritardo, le interviste, si addicono al caso (televisivo) di Laura Palmer a Twin Peaks e non a quello (vero) di una bambina di sette anni a Case Castella di Balsorano. Tutti questi presunti “scoop” giornalistici (a pagamento?) stanno disorientando l'opinione pubblica. La gente vuole fatti. Se si è di fronte «ad un nuovo caso Ustica», la gente vuole che chi sa qualcosa, chi sa “verità” importanti, parli subito e soprattutto nelle sedi opportune.
Si continua a “giocare” agli scoop sulla pelle di un ragazzo che non può difendersi dal sospetto di essere il «mostriciattolo». Eppure ci sarebbe il modo di fare uno scoop utile: far parlare, magari anche “in esclusiva”, Michele Perruzza facendogli raccontare tutto quello che sa e che non ha mai voluto dire. Questo scoop finora non è riuscito a nessuno. Nemmeno al tribunale alternativo.
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