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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 53

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



53. HA UCCISO CRISTINA PER MOTIVI ABIETTI
30. 1. 1992



Ergastolo. Senza speranze. Senza applausi. Come in primo grado, lui, non c'era ad ascoltare la sentenza. Un cattivo presentimento deve aver trattenuto Michele Perruzza in carcere.
Così il muratore di Balsorano s'è negato pure quel soffio di speranza che ha colto i suoi difensori nell'ascoltare dopo un'estenuante attesa durata quasi sette ore, il presidente della Corte Bruno Tarquini avviare la lettura del dispositivo con la frase «in parziale riforma della sentenza... ».
C'è stata sì una riforma, ma soltanto per escludere l'aggravante dell'aver agito con crudeltà. Le altre aggravanti che comportano il carcere a vita (omicidio dopo atti di libidine violenti) restano anche se la drammatica parola «ergastolo», ieri sera era scomparsa dalla sentenza assorbita nella formula «conferma nel resto».
L'udienza di ieri era cominciata male per Perruzza e la sua difesa. Il pignolo presidente della Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila voleva iniziare puntuale alle 9, ma a quell'ora l'imputato, stranamente, non era ancora stato tradotto in carcere.
«Cominciamo male» ha commentato il presidente. Poi è arrivata la comunicazione che Perruzza rinunciava a comparire in aula: nell'udienza dell'ultima speranza il muratore ha di nuovo spiazzato la sua difesa.
«Mi duole che oggi Perruzza non sia presente» ha ammesso durante il suo intervento l'avvocato Attilio Cecchini la cui immagine dell'imputato mutuata dalla stampa («Un uomo il cui volto sembra scolpito nel granito») non ha così potuto ottenere lo stesso effetto soprattutto sui giurati popolari.
Nella sua arringa finale, l'ultima spiaggia, ancor più del suo collega Antonio De Vita che si è soffermato sugli aspetti tecnici delle perizie sul Dna, l'avvocato Cecchini ha cercato di sintetizzare tutto il lavoro di nove udienze del processo d'appello.
Rispetto alla discussione che nel novembre scorso provocò l'ordinanza con la quale la Corte aveva clamorosamente riaperto il processo cancellando le sentenze di primo grado, “don Attilio” è stato molto più esplicito nell'accusare il figlio di Perruzza. Non più allusioni: «Mauro ha ucciso Cristina» ha detto.
L'avvocato nel tentativo di smontare la credibilità del teste, ha cercato negli atti tutte le contraddizioni: negli orari, nelle mezze parole, nelle interpretazioni dei vari episodi chiave, definendo il ragazzino «piccolo assassino», «piccolo Machiavelli», «un disturbato che se è il motore di questo processo va verificato».
Era Mauro, ha detto Cecchini, che quella sera aveva un appuntamento per andare a fare «un giochino erotico» nel boschetto con la cuginetta con la quale s'era trattenuto fino a poco prima di cena, a ripararle la bicicletta; «ed infatti la bambina disse al padre uscendo dopo aver mangiato appena uno yogurt: «non “ci” cercate, lo so io quando devo tornare a casa». E' stato Mauro «a sfilare senza violenza come si fa tra bambini, le scarpine e la tutina a Cristina». E' stato Mauro «a confessare il delitto spontaneamente, senza essere istigato dalla madre come invece ha sostenuto l'Accusa, ma quando si è reso conto della gravità di quello che aveva fatto, ha ritrattato accusando il padre. Questo passaggio cruciale noi non lo conosciamo: la Procura della Repubblica di Avezzano e la Procura generale dell’Aquila ci hanno sottratto il documento fondamentale, la famigerata audiocassetta che è scomparsa».
Un piccolo Machiavelli, ha sostenuto Cecchini, che però ha commesso un errore quando disse alla madre, che poi lo riferì al fratello (il padre di Cristina) nella notte in cui si cercava la bambina scomparsa, d'aver visto la cuginetta la quale gli disse che stava andando a casa dell'amichetta Sara. Ma Sara quel giorno non c'era perché era tornata a casa sua, a Sora: «Ecco la prima di un cumulo di menzogne».
Insomma Cecchini ha ritentato il salto mortale riuscitogli quando ha fatto riaprire il processo. La difesa ha dimostrato che tutti gli elementi cardine del teorema dell'Accusa possono essere guardati dalla prospettiva opposta e risultare ugualmente logici e verosimili.
C'è insomma una “verità” ma c'è anche una “controverità” sia nella storia della vicenda sia anche negli atti processuali. Un secondo salto mortale che forse sarebbe riuscito se Michele Perruzza si fosse alla fine deciso a parlare, a dire tutto quello che sa.
Un silenzio che l'avvocato Cecchini ha tentato di spiegare con «quell'orgoglio della propria famiglia che ancora persiste nel nostro Abruzzo interno di non infamare i propri cari».
«Siamo di fronte ad uno scenario diverso, non lo potete negare» ha concluso Cecchini che, anche lui forse per un presentimento, ha suggerito ai giudici della Corte un compromesso: «Sospendiamo il giudizio. Ricominciamo da capo. Riaprite il processo, in modo da poter approfondire tutti i passaggi, tutti gli elementi... Di fronte alla condanna all'ergastolo di un uomo, non ci si può trincerare dietro gli atti processuali, ma bisogna cercare di arrivare anche alla verità storica. Se invece ritenete superflui tali approfondimenti, allora mandate assolto Perruzza per non aver commesso il fatto».



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