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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 37

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



37. NEPPURE IL PARROCO DON MARIO VUOLE PERDONARE
17. 11. 1991



Mancano tre giorni al processo d'appello a Michele Perruzza. L'atmosfera è già incandescente anche perché è stata surriscaldata da un'estate di polemiche avviate in particolare dalla pubblicazione di un libro-inchiesta sul delitto che ha innescato l'intervento dell'Avi (Associazione vittime dell'ingiustizia).
Tale associazione ha avanzato notevoli perplessità sull'operato della magistratura nel caso di Balsorano presentando anche una dettagliata interrogazione parlamentare al Ministro di Grazia e giustizia (rimasta senza risposta).
Anche ieri l'Avi è tornata a farsi sentire con l'ennesimo comunicato stampa in cui il suo segretario, Giacomo Fassino, lamentandosi anche per «l’arrogante e presuntuoso atteggiamento» del nuovo collegio difensivo che non ha voluto accettare l'aiuto di un avvocato del foro di Cagliari messo a disposizione dall'Associazione, si auspica un processo di secondo grado sereno.
Alla vigilia dell'appello, il cronista è andato a Case Castella, la frazione di Ridotti di Balsorano teatro della tragedia.
Si ha l'impressione di percorrere una specie di “via crucis” salendo la strada fatta di tornanti che va a morire alla piazzetta principale di Ridotti, proprio sotto la montagna confinante col territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo.
Si ha come l'impressione che i mille o poco meno abitanti di questa piccola frazione del Comune di Balsorano non riescano a dimenticare la tragedia che ha travolto i Capoccitti ed i Perruzza, i due cognomi che vanno per la maggiore in tutto il paese a scorrere l'elenco delle offerte sull'uscio della chiesa Santa Maria dei Sassi. Oltre a Perruzza e Capoccitti si leggono altri tre o quattro cognomi: solo cinque o sei ceppi di una zona che, per secoli, è rimasta chiusa in sè stessa.
Domenica scorsa, a Ridotti. Sono passati 14 mesi da quell'alba del 24 agosto quando il corpicino nudo di Cristina, 7 anni, venne trovato martoriato in un boschetto di more a pochi passi sa casa sua, nella contrada di Case Castella. E sono passati 7 mesi da quel 15 marzo scorso quando Michele Perruzza, zio della bambina, è stato condannato all'ergastolo con l'accusa di essere il “mostro “.
Eppure l'atmosfera che si respira, non appena si svolta a sinistra, dalla Statale 82 verso la provinciale che porta a Ridotti, sembra essere la stessa di quando la zona venne invasa dai carabinieri, agenti, giornalisti, fotografi e cineoperatori e di quando tutti i paesani, uno ad uno, cominciarono ad essere interrogati.
Le scritte in vernice nera e a caratteri cubitali sui muri al bivio per Ridotti ricordano al passante che questa è la terra del delitto di Balsorano. “Cristina rimane nel nostro cuore...”, “ Andate via assassini...”, “Maria.., vaff...”. Sono le prime “stazioni” della “via crucis”.
Le scritte sono state cancellate ma qualcuno deve averci scritto sopra: perciò si leggono benissimo.
Salendo i tornanti, ci sono altre sei “stazioni”. Subito dopo, oltrepassato il cartello « Case Castella», campeggia una lunga scritta stavolta non cancellata ed appena scalfita dalla pioggia: «Maria assassina ci hai sporcato».
Su tutte le scritte è stata passata una mano di vernice, meno che su quella contro la moglie di Perruzza. Come pure nessuno ha voluto cancellare le scritte al fontanile, uno dei luoghi cardine nella ricostruzione del delitto.
C'è scritto: “Michele, Maria assassini”... “Maria, non sporcare l'acqua con le tue mani piene di sangue”.
Non a caso quasi tutte le scritte sono contro Maria.
A parlare con la gente del paese, si ha la netta sensazione che Ridotti abbia “condannato” Michele ma soprattutto abbia dato l'ergastolo alla moglie. «Quella donna ha sbagliato tutto - dice il parroco Don Mario De Ciantis -. Ha voluto fare la primadonna, interviste a destra ed a manca, è stato mio marito è stato mio figlio. Ma insomma! E' la sorella del padre di Cristina. La gente qui è rimasta alla mentalità del vecchio Testamento: ci ha fatto del male, ora paghi. Sono poco cristiani? Senta, qui c'è ancora gente che mette le dieci lire nell'offerta. E' gente che ha vissuto per secoli nella povertà con le bestie, litigando per qualche centimetro di terra. Qui non c'è un avvocato, non c'è un ragioniere, non c'è un medico e, a forza, i ragazzi prendono la terza media. La mentalità è rimasta quella di una volta. Perciò non perdoneranno quella donna».
In piazzetta c'è un crocicchio di giovani davanti alla chiesa dal cui altoparlante si sente la messa domenicale di Don Mario. «Siete venuti per il processo d'appello?» chiede un ragazzo di fronte al bar che si chiama “Perruzza”. «E' uno stillicidio - aggiunge una ragazza ben truccata -. Non riusciremo mai a scrollarci di dosso questa triste storia. Pensi che un mio parente si chiama con lo stesso nome e cognome di quello...». «Ed io - racconta un altro ragazzo - ho lo stesso cognome e a Cassino dove lavoro, molti ancora oggi mi chiedono se sono parente di quello. Sono andato al processo di primo grado perdendo una giornata di lavoro ma ci sono stati troppi interrogatori a porte chiuse e non ci ho capito niente. Comunque per noi è lui. Al 99%».
Perciò avete fatto i fuochi d'artificio dopo la condanna all'ergastolo? «Quei fuochi, almeno noi giovani - s'inalbera il gruppetto - li abbiamo condannati. Non dovevamo fare una festa per la condanna a morte di un uomo. Però, da quello che sappiamo alcuni hanno reagito così perché Maria, nonostante il marito fosse in carcere e nonostante la tragedia, dette una festa per il compleanno di un figlio. E stato un gesto di ripicca contro di lei».
E' ancora Maria l'oggetto dell'odio dei paesani. I giovani, però, ce l'hanno pure con i giornalisti: «Ci hanno dipinto, perfino in un libro, come un paese in cui tutti i giorni avvengono cose turpi. Ma come si permettono? E' tutta colpa di questa storia e di chi l'ha strumentalizzata. Speriamo che confermino questa sentenza e non se ne parli più. Siamo stufi. Ci chiamiamo Perruzza ma non siamo criminali».
“Maria assassina ci hai sporcato”.
Dopo questa scritta (la fotografia di quanto diceva il parroco), c'è ancora qualche tornante per arrivare in piazza. Prima delle ultime curve c'è il boschetto di more. La siepe è stata rasata con cura.
Sul luogo dove venne ritrovata la piccola è stato eretto un tempietto, un’”edicola” bianca tra gli alberi di fichi ancora carichi nonostante sia novembre.
Dietro il vetro una foto in cornice di Cristina sorridente col dentino mancante, ed alcuni oggettini: ricordo di Loreto, delle cascate del Niagara. Un luogo tristissimo.
Una donna, col fazzoletto nero in testa e il rosario in mano prega come davanti all'undicesima “stazione”.


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