LogoLogo

Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 36

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



36. «QUEL PROCESSO E' NULLO»
21. 5. 1991



Se si vuol provare a cancellare i dubbi e gli scrupoli che il processo per l'omicidio di Balsorano non è riuscito a fugare, occorre ricominciare da capo.
O quantomeno occorre guardare la vicenda processuale da un'altra prospettiva, senza paraocchi di sorta, al fine di analizzare la sola alternativa possibile, quella del figlio tredicenne, a Michele Perruzza condannato all'ergastolo.
E' questa la sintesi delle 26 pagine dei “motivi d'appello” depositati ieri in cancelleria dai due nuovi avvocati di Perruzza (ad Antonio De Vita s'è aggiunto il penalista aquilano Attilio Cecchini).
I due legali sostengono l'innocenza cercando di smontare in dieci punti le «apparenti certezze prive di fondamenta» della sentenza della Corte, ma soprattutto avanzano la richiesta di annullamento del processo di primo grado per alcune «insanabili nullità» riguardante la posizione del figlio.
Torna quindi in ballo il figlio tredicenne. Una “sterzata” clamorosa che però appariva l'unica strada per tentare di arrivare alla verità. Una sterzata che riprende la tesi difensiva (la “linea Maccallini”) dei primi avvocati di Perruzza, appunto i legali Mario e Carlo Maccallini.
E questa scelta decisa da due penalisti assai stimati (De Vita, tra l'altro, ha difeso e fatto assolvere Pietrino Vanacore il portiere nel “giallo di Via Poma”) getta ancora di più ombre sui clamorosi cambi alla difesa di Perruzza. Cambi che vengono così ad assumere un ruolo fondamentale.
E proprio all'avvocato Leonardo Casciere (che aveva fatto assolvere il figlio del muratore, subentrando poi nella fase delle indagini preliminari ai Maccallini e a cui Perruzza subito dopo il processo ha revocato il mandato nominando De Vita), è legato uno dei due motivi principali su cui si basa la richiesta di nullità del processo di primo grado.
Poiché Casciere aveva assistito il figlio del muratore davanti al Pm del Tribunale dei Minori, sostengono nei motivi d' appello gli avvocati Cecchini e De Vita, non poteva assumere la difesa del padre sussistendo un'evidente incompatibilità che «andava rimossa subito dalla Corte» e che invece non è stata nemmeno sollevata.
Tanto più che «il Pm ha basato la sua accusa sulle dichiarazioni rilasciate contro di lui dal figlio minore.
E' evidente che è esistita una marcata interdipendenza di posizioni per cui nel processo un soggetto, il minore, ha avuto ed ha tuttora interesse a sostenere una tesi difensiva che non lo comprometta e che può, in ipotesi, anche riuscire di pregiudizio per Michele Perruzza, imputato per il medesimo reato per cui era stato indagato lui stesso».
Il secondo motivo di nullità è strettamente collegato al primo ed era già stato individuato nel corso delle indagini dai Maccallini: al figlio minore, quale “indagato” per lo stesso reato del padre, non poteva essere attribuita, né in sede di “informazione” da parte del Pm né tantomeno nella veste di testimone al dibattimento, la veste di denunciante.
Conclusione: l'interrogatorio del figlio, per altro fatto dal suo avvocato difensore che cumulava la difesa del padre, è nullo.
Aggiunti alla richiesta di annullamento del processo, nei “motivi” i due nuovi difensori tornano su argomenti non meno importanti ma prevedibili. E cioè: l'irrilevanza delle dichiarazioni della superteste (la donna che sentì Perruzza rientrare a casa quella notte dicendo «Cristina è morta»); le mutande macchiate di sangue non è provato che erano di Perruzza; le tendenze pedofile del muratore sono state attribuite con troppa leggerezza; non appare ancora certa la causa della morte della piccola Cristina; non è vero che l'alibi non regge; vanno rifatte le perizie sul Dna che non arrivano «a nessuna certezza».
Sono solo i primi motivi. Se ne possono presentare altri: chissà se Cecchini e De Vita hanno altri assi nella manica?


[Versione in pdf]
Capitolo precedente⇦ Indice CapitoliCapitolo successivo

Segui Angelo De Nicola su Facebook