Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 116
Un saggio di Angelo De Nicola
116. PERRUZZA, MAZZATA SULLE SPERANZE
20. 2. 2002
Inammissibile. Una sola parola rischia di essere una pietra tombale sulle residue speranze di Michele Perruzza. La Cassazione ha respinto, dichiarandolo “inammissibile”, il ricorso proposto contro il no della Corte d'Appello di Campobasso sull'istanza di revisione del processo conclusosi con la condanna al carcere a vita.
La Suprema Corte, dunque, ha “benedetto” le scelta fatta dalla Corte di Campobasso (competente in questi casi, sul Distretto abruzzese) che, in sostanza, aveva stabilito che i nuovi indizi emersi in un procedimento “satellite” (davanti al Tribunale di Sulmona) non hanno il crisma della prova e, anche se lo fossero, non bastano a neutralizzare gli elementi a carico dell'ergastolano.
Era stata bocciata, quindi, la tesi difensiva secondo la quale Mauro è l'autore del delitto. Il fatto, si leggeva nelle motivazioni, che «Mauro studiò con altri “a tavolino” le dichiarazioni che avrebbe reso in giudizio, che non poteva vedere nulla (secondo una perizia) dal luogo dove indicò di aver assistito al delitto e che indossava un paio di slip macchiati (all'esame del Dna) del sangue della vittima... anche ammesso e dimostrato tutto ciò, non seguirebbe tuttavia, il proscioglimento del condannato» a causa delle restanti prove carico.
Una mazzata per la difesa. Ma gli avvocati Cecchini, De Vita e Maccallini (che da anni assistono gratis Perruzza) non s'arrendono. In uno scarno comunicato si legge che «poiché questa negativa decisione non preclude processualmente in alcun modo la possibilità di formulare una nuova istanza, i difensori anticipano di aver già avviato iniziative per le presentazione di una secondo ricorso per la revisione».
Il codice, infatti, prevede che l'istanza possa essere riproposta sulla base di “elementi diversi”. Elementi che, comunque, dovranno rispondere ad almeno uno dei due requisiti indispensabili per tale istanza.
Da un lato “il contrasto tra giudicati” (sentenza che smentisce quella precedente) e, dall'altro, “prove nuove”. Nel ricorso bocciato, la difesa aveva fatto leva su entrambi i requisiti grazie alla sentenza del Tribunale di Sulmona ed alle nuove “prove” sopravvenute: elementi ora non riproponibili. Se i difensori non demordono, è evidente che ritengono di avere ulteriori “elementi” sui quali basare il nuovo ricorso.
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