LogoLogo

Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 115

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



115. LE NUOVE PROVE RITENUTE INSUFFICIENTI
4. 9. 2001



«Mauro Perruzza studiò con altri “a tavolino” le dichiarazioni che avrebbe reso in giudizio... Mauro non poteva vedere nulla dal luogo dove indicò di aver assistito al delitto... Mauro indossava un paio di slip macchiati del sangue della piccola Cristina».
Anche «ammettendo tutto questo», il delitto di Balsorano non merita un nuovo processo. A questa conclusione è arrivata la Corte d'Appello di Campobasso che, l'altro giorno in gran segreto, ha depositato l'ordinanza con la quale ha rigettato la richiesta di revisione del processo che dopo tre gradi di giudizio ha condannato Michele Perruzza all'ergastolo per l'omicidio di Cristina Capoccitti, avvenuto il 23 agosto di undici anni fa.
Una doccia ghiacciata sulle caldissime speranze della difesa di Perruzza (gli avvocati Cecchini, De Vita e Maccallini, al quale s'è aggiunto Gabriele Melogli del foro di Isernia).
Le diciotto pagine di motivazioni rischiano, infatti, di spazzare via anni di paziente lavoro (gli atti processuali occupano 17 faldoni) e di mettere una pietra tombale sulle speranze di ribaltare l'ergastolo. Speranze affidate, ormai, al ricorso per Cassazione.
Diciotto pagine, depositate in soli tre giorni dopo l'udienza in camera di consiglio, in cui la Corte molisana (Iapaolo presidente, Pansini e Pensa consiglieri) liquida la questione sulla base di tre ragionamenti.
Primo: il “contrasto tra giudicati” (una delle due condizioni indispensabili per ammettere la revisione) va fatto tra due sentenze passate, appunto, “in giudicato”, cioè definitive. Dunque, l'unico confronto possibile è tra la sentenza di condanna all'ergastolo e la sentenza del “processo- satellite” davanti alla Corte d'Appello dell'Aquila che ha di parecchio ridimensionato (dopo un ricorso tra mille polemiche della Procura generale dell'Aquila retta all'epoca dal Pg Tarquini che era stato il presidente della Corte che aveva condannato Michele al carcere a vita) quella dirompente del Tribunale di Sulmona che aveva, al contrario, riaperto il caso.
Secondo: i nuovi elementi che la difesa ha raccolto finora nel “processo satellite”, non sono «fatti ma mere valutazioni, sicchè quelle intervenute, in quanto appunto interpretazioni e non fatti anche se contrastanti, non appaiono idonee ai fini delle revisione ad inficiare le valutazioni precedenti». I giudici molisani, quindi, hanno ritenuto essere “valutazioni” le tre «nuove prove» su cui la difesa ha basato la richiesta di revisione, ovvero: la non credibilità di Mauro; la perizia secondo la quale dal famoso capanno Mauro non poteva vedere nulla perché era buio all'ora indicata del delitto e la perizia che ha accertato, dopo un esame del Dna, che gli slip trovati macchiati del sangue di Cristina non appartengono al padre ma al figlio.
«Del resto la sentenza della Corte d'Appello dell'Aquila afferma che le dichiarazioni accusatorie di Mauro sono “inattendibili” non che sono false»: così è stata valutata la decisiva questione della testimonianza di Mauro.
Terzo: «Anche ammesse e dimostrate le tre nuove prove, non seguirebbe tuttavia il proscioglimento del condannato». Ovvero, sostengono i giudici molisani, non si verificherebbe l'altra condizione indispensabile: che cioè «gli elementi in base ai quali si chiede la revisione, appaiano, in base ad un giudizio prognostico ed astratto, idonei a sostituire alla condanna una pronuncia di proscioglimento».
Le tre «nuove prove», in sostanza, sarebbero neutralizzate dalle prove a carico (tre, anche in questo caso) di Michele Perruzza e che, secondo la Corte molisana, «non risulta che si contestino con la richiesta di revisione». Tre prove che sono: i capelli di Cristina “strappati” trovati sulla canottiera di Michele; le ammissioni della moglie di Michele, Maria Giuseppa Capoccitti, la quale dichiarò a caldo al Pubblico ministero che suo marito, quella sera, era rientrato a casa piangendo raccontandole che poco prima era stato con Cristina dopo averla portata in un luogo isolato e che la bambina era morta», e le dichiarazioni di un testimone (Ermanno Tuzi) che nella notte in cui Mauro prima si autoaccusò e poi indicò nel padre l'autore del delitto, assistè al colloquio tra la moglie del muratore ed il figlio all'uscita della Procura, colloquio che venne valutato sospetto in quanto la donna si sarebbe mostrata sorpresa che il figlio avesse ritratto «come se ella si aspettasse la “confessione” di Mauro... quale impegno preciso e concordato per coprire il padre».


[Versione in pdf]
Capitolo precedente⇦ Indice CapitoliCapitolo successivo

Segui Angelo De Nicola su Facebook