Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 109
Un saggio di Angelo De Nicola
109. PERRUZZA, STRADA SBARRATA ALLA REVISIONE
26. 5. 1998
Quello che molti ritenevano impossibile, invece, è accaduto. La Procura generale presso la Corte d’Appello dell’Aquila ha presentato appello contro la sentenza con la quale il Tribunale di Sulmona aveva assolto Michele Perruzza e sua moglie in un processo-satellite a quello principale che ha riaperto clamorosamente il caso del delitto di Balsorano. Le motivazioni del ricorso sono corpose: 47 pagine, addirittura di più delle 41 pagine con le quali il presidente del Tribunale di Sulmona, Oreste Bonavitacola, aveva in sostanza aperto la strada alla revisione della condanna all’ergastolo per il muratore di Balsorano. Strada per la revisione che ora appare sbarrata dall’iniziativa della Procura generale.
Il passaggio procedurale è complicato e va spiegato. La dirompente sentenza-Bonavitacola nel processo-satellite, per essere utilizzata dalla difesa di Perruzza ai fini del processo di revisione del principale chiuso con la condanna all’ergastolo, deve essere un “giudicato” definitivo. Affinché la sentenza di Sulmona potesse diventare definitiva mancava soltanto il cosiddetto “visto” della Procura generale alla quale, come “superprocura” abruzzese, tocca vagliare tutte le sentenze ed eventualmente interporre appello. Cosa che la Procura generale ha fatto.
A firmare il ricorso è stato l’Avvocato generale (ovvero la seconda carica della Procura generale), Gaetano Dragotto e non Bruno Tarquini (il capo di quell’ufficio).
Anche questo è un passaggio importante. Contro la Procura generale aquilana, la difesa di Perruzza aveva presentato un’istanza in sostanza di ricusazione, in particolare del Pg Tarquini perché quest’ultimo era stato il presidente della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila che confermò, nel novembre ’91, la condanna all’ergastolo per il muratore.
Dunque, secondo i legali di Perruzza, quello di Tarquini sarebbe stato un nuovo “giudizio” dello stesso magistrato sulla stessa vicenda e, perciò, scontato. Perciò la difesa invocava nell’istanza, inviata anche alla Procura generale della Corte di Cassazione, che il Pg Tarquini si doveva astenere dall’esaminare e con lui anche tutto l’ufficio aquilano assegnando il caso ai colleghi di Perugia.
A tale istanza non c’è stata nessuna risposta. Anzi, in un’intervista il 7 maggio scorso al Tg3, il Pg Tarquini aveva in sostanza anticipato che ci sarebbe stato il ricorso.
«Il magistrato della Procura generale -aveva detto Tarquini- che appone il visto sulle sentenze di primo grado non sono io: è prescritto dalle tabelle chi deve essere. È lui che deciderà o meno se ricorrere in appello». Ed infatti, il ricorso è stato firmato dal giudice Dragotto competente per le sentenze che arrivano dalla zona di Sulmona.
Il ricorso, secondo quanto è trapelato, sarebbe durissimo contro la sentenza-Bonavitacola e contro tutto il processo-satellite di Sulmona che sarebbe partito, sostiene la Procura generale, dall’errato concetto che Michele Perruzza era innocente quando invece era stato condannato, con giudicato definitivo, all’ergastolo.
Non solo. La Procura generale chiede la rinnovazione parziale del dibattimento per ascoltare di nuovo il figlio di Perruzza, Mauro (che prima si avvalse della facoltà di non rispondere e poi si sottopose spontaneamente ad interrogatorio), e l’assistente sociale Silvia Bianchi che si occupò del ragazzo (la quale si avvalse della facoltà di non rispondere).
Di più. Esprimendo valutazioni destinate a far discutere parecchio, come quella, ad esempio, secondo la quale non vi è certezza che il fondamentale reperto del paio di slip non abbia subìto manipolazioni durante i vari spostamenti, la Procura generale sollecita chiarimenti sugli accertamenti tecnici d’ufficio fatti eseguire dal Tribunale peligno.
Questo ricorso della Procura generale dovrà essere valutato dalla Corte d’Appello dell’Aquila chiamata ora a confermare o a ribaltare completamente l’esito del Tribunale di Sulmona.
Di sicuro, per ora, si allungano i tempi per Michele Perruzza i cui legali, alla luce di quanto era emerso a Sulmona (in particolare che al momento del delitto il figlio Mauro non poteva vedere il padre uccidere la nipotina perché era buio e che le macchie di sangue sullo slip indossato dall’assassino, all'esame del Dna, appartengono al figlio e non al padre) avevano sollecitato «la immediata scarcerazione di un presunto innocente».
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