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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 108

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



108. UN DITO CONTRO IL FIGLIO
23. 4. 1998



«L’assassino è Mauro». Il presidente Bonavitacola non lo dice apertamente ma è questa la conclusione del suo ragionare nelle 41 pagine delle motivazioni della sentenza.
In particolare, il presidente ha “riletto” «le dichiarazioni autoccusatorie di Mauro che ad un’attenta analisi comparativa con le altre circostanze emerse, si rivelano, nei passaggi più salienti, coerenti, concordanti e credibili».
Bonavitacola ricostruisce quella maledetta sera del 23 agosto 1990. La nonna di Cristina a caldo disse a due giornalisti di aver visto la nipotina allontanarsi con Mauro.
«Ciò significa -si legge nelle motivazioni- che verso il bosco, Cristina potrebbe essersi incamminata con Mauro, piuttosto che con Michele. Del resto che la piccola avesse quella sera un tranquillo e piacevole appuntamento, piuttosto che un incontro pericoloso, si ricava dal fatto che, nell’uscire di casa, come riferito dai genitori in Corte d’Assise di primo grado, disse “Non ci chiamate perché so io quando devo tornare”. Il senso di quelle parole era chiaro».
Prosegue il presidente: «Coerente è l’affermazione autoaccusatoria nella parte in cui Mauro riferisce che Cristina cadde mentre stava correndo, da lui inseguita, battendo la testa contro una pietra, ferendosi, perdendo sangue e svenendo».
E ancora: «Mauro dice al Pm alle ore 1,25 del 27 agosto 1990 che tentò di violentare Cristina, quando giaceva svenuta (...) senza riuscirvi. Ebbene le risultanze dell’esame autoptico sono coerenti con tale affermazione (...) escludendo che si fosse trattato di una versione di fantasia per la ragione che in quel momento il ragazzo non potendo conoscere i risultati dell’esame autoptico, nemmeno poteva riferire circostanze da questo ricavabili». E ancora: «Mauro dice che gettò il corpo esanime di Cristina in un cespuglio e la circostanza è coerente con il fatto che esso fu rinvenuto proprio in un cespuglio». E ancora: «Le asserite abluzioni presso il fontanile pubblico alle mani e alle gambe, riferite anche in Corte d’Assise d’Appello, erano coerenti con la necessità di cancellare le tracce di sangue lasciate sulla sua persona dal contatto con il corpo della vittima durante l’aggressione ed oggi appaiono ancora più coerenti dopo che l’esame del suo Dna ha consentito di stabilire un preciso e forte legame tra lui e gli slip recanti il sangue di Cristina».
Conclude, su questo punto Bonavitacola: «Il suo (di Mauro, n. d. r.) legame con gli slip macchiati del sangue di Cristina, reso indissolubile dal marchio del suo Dna lasciato sull'indumento, ove fosse confermato con un più completo esame genetico molecolare in altra sede, gli assegnerebbe fatalmente un preciso ruolo nella morte di Cristina e gli darebbe un valido motivo per accusare il padre al fine di allontanare da sè lo spettro di una responsabilità che la tenuta della sua condanna (del padre) varrebbe a scongiurare».


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