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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 103

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



103. UN SUPERTESTIMONE ACCUSA MAURO
18. 3. 1998



«Mauro confessò ad un prete, mentre si trovava nell’istituto per minori “don Orione”, di aver ucciso Cristina. Io ho sentito quella confessione». Una voce riemerge a distanza di 7 anni e mezzo e su Mauro Perruzza piovono nuovi macigni. Se l’ultimo “scoop” di Gennaro De Stefano, il giornalista «punta di diamante del fronte degli innocentisti» a favore di Michele Perruzza, dovesse trovare conferme processuali, il muratore di Balsorano avrebbe una speranza in più di vedere “revisionata” la sua condanna all’ergastolo.
Una conferma, quest’ultima puntata della maledetta telenovela, che il caso del delitto di Balsorano vive due processi che spesso si intersecano e si intrecciano fino a confondersi: quello nelle aule di giustizia e quello sui mass media.
E in questo “processo” sui mass media, la trasmissione del Tg1 ”Primaditutto» di ieri pomeriggio, ha fatto persino quello che non è riuscito alla Giustizia: un confronto (virtuale) tra madre e figlio.
I fatti, almeno come De Stefano li ha ricostruiti per il settimanale “Oggi”. Roberto Ferraresi, oggi ventenne operaio, di Pratola Peligna, tra il 1990 e il ‘91 era ospite dell’istituto don Orione di Avezzano, lo stesso al quale venne affidato Mauro prima di essere definitivamente tolto alla madre.
Ferraresi dice, oggi, che non sapeva chi era quel ragazzo tredicenne del quale ascoltò una conversazione col direttore dell’istituto, don Alberto Alfarano: «In quella conversazione -ha raccontato Ferraresi-, Mauro disse al sacerdote che non ce la faceva più a reggere il peso del rimorso, perché era lui il responsabile della morte di Cristina».
Perché Ferraresi avrebbe atteso tanto? È un mitomane? «Ho taciuto per tanto tempo -ha spiegato Ferraresi- ma quando ho visto in Tv Mauro che al processo di Sulmona testimoniava contro il padre Michele dicendo: “Ti ho visto massacrare Cristina”, mi sono detto che non era giusto, che dovevo uscire allo scoperto e dire quel che avevo sentito con le mie orecchie».
Non solo. Il giovane supertestimone avrebbe spiegato che della vicenda del delitto di Balsorano non s’è mai interessato e, dunque, non aveva mai fatto collegamenti.
I collegamenti se li sarebbe fatti tutti quando, in Tv, ha visto l’interrogatorio di Mauro ed ha riconosciuto quel ragazzo nel compagno di istituto.
Per di più, De Stefano ha rintracciato anche don Alfarano. Il prete, che oggi vive e lavora a Reggio Calabria, ha risposto in sostanza che in ogni caso lui è vincolato al segreto del confessionale.
«È una nuova bufala, mi vogliono mettere i bastoni tra le ruote, mi vogliono far passare per un bugiardo; eppure dopo sette anni avrò anch'io il diritto a rifarmi una vita» ha commentato ieri sera Mauro dalla sua villetta di Gubbio, negando di aver mai confessato al sacerdote l'omicidio di Cristina. «È vero che il prete è legato al segreto della confessione- ha affermato il giovane- ma se viene a conoscenza di fatti tanto gravi può rivelarli ad un suo superiore. Ma si può credere davvero che un sacerdote possa far marcire in galera un innocente pur conoscendo il vero colpevole del delitto?».
«Con Roberto Ferraresi - ha affermato ancora il piccolo Perruzza - siamo stati insieme al collegio “don Orione”. Non mi ricordo bene di lui, ma in base al nome posso dire che era con me in quel periodo. Certamente, però, non può aver ascoltato nulla perché non ho mai confessato niente a nessuno. Probabilmente è solo una persona che vuole farsi pubblicità». «Dire in faccia a mio padre che aveva ucciso Cristina - ha concluso Mauro- mi è pesato tanto ed ora voglio chiudere con il passato. La mia vita è distrutta, ma avrò il diritto di provare a rifarmela?».
Intanto, la difesa di Michele Perruzza sta valutando il da farsi in attesa delle motivazioni della sentenza assolutoria del Tribunale di Sulmona.
Non è escluso che il collegio difensivo presenti subito una richiesta di “legittima suspicione”. In particolare, la difesa di Perruzza teme che il Procuratore generale Bruno Tarquini, che fu presidente della Corte d’Assise d’Appello che confermò l’ergastolo al muratore, non si astenga (come il magistrato ha lasciato intendere in alcune dichiarazioni alla stampa) dal valutare (cioè opporre un appello) la sentenza di Sulmona come è nei suoi poteri.


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