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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 17

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


L’orto era nel suo splendore primaverile. Per arrivarci, la Superiora aveva fatto passare i due ospiti tra i meandri del monastero mostrando loro, in particolare, gli affreschi più antichi e soprattutto quelli raffiguranti San Benedetto e San Basilio, un altro san Giovanni Battista e un San Michele Arcangelo (anche qui, pensarono il signor Giacomo e il sovrintendente, guardandosi negli occhi).
Abbacinati dal sole alto, i tre rientrarono nel convento e la Superiora li fece accomodare in una saletta che precedeva il refettorio. «Dico a suor Valeria di prepararvi il caffè. Torno subito» disse la Badessa scomparendo dietro la porta del refettorio.
Trascorse un lungo attimo di silenzio.
«Perché non mi ha detto nulla?» chiese, a voce bassa e guardandosi bene attorno, il signor Giacomo, dopo aver fatto finta di leggere un opuscolo (“Missione Oggi”) che era sul tavolo.
«Detto cosa?».
«Che la Superiora conosce lei benissimo».
«Che differenza fa?».
«A parte un minimo di correttezza con me, ma ha rischiato di farmi scoprire».
«La Superiora ha già capito tutto: conoscendone la perspicacia, che l’età non ha certo affievolito anzi, ho preferito non dire niente e tentare la sorte».
«Scelta suicida...».
«Sarebbe stato peggio il contrario. Quella donna ti scava dentro con lo sguardo. Quando, con la complicità di un mio amico poliziotto, riuscii ad entrare, unico giornalista, nel monastero per fotografare le Spoglie ritrovate, le bastò incrociare i miei occhi. “Lei è un giornalista, altro che poliziotto!” mi disse, fulminandomi. Confessai subito. Forse per questo non ebbi noie per quella bravata. La Superiora mi ha ricordato quell’ episodio di recente».
«Di recente?».
«Venne a trovarmi in ufficio, in Municipio. C’era stata già altre volte ma s’era fatta sempre precedere da una telefonata: le servivano piccole cortesie burocratiche e, ben sapendo che non potevo dirle di no, approfittava spesso di me. Quel giorno venne a sorpresa e, cosa che non aveva mai fatto, rivangò la storia del mio “travestimento”».
«Si ricorda in che periodo avvenne quella visita?».
«E come potrei... Perché le interessa?».
«Faccia mente locale, per favore. Si concentri!».
«Se proprio le interessa...».
«Si concentri. Basta un particolare...».
«Ricordo che parlammo della decisione del Papa di venire ad aprire la Porta Santa... Era come invasata».
«Dunque, la visita della Superiora avvenne dopo la fine del maggio di due anni fa. Si concentri: era subito dopo la notizia o più a ridosso della Perdonanza?».
«Era subito dopo la notizia. Saranno stati i primi di giugno».
«Venne da sola?».
«Ora che ricordo, con lei c’era una donna».
«Chi era?».
«Non so come si chiama: la conosco di vista...».
«Giovanotti! Ecco il caffè...».
Per la seconda volta i due furono colti di sorpresa dalla voce della Superiora. La quale, spalancando all’improvviso la porta del refettorio, era tornata accompagnata da suor Valeria che, con il grembiule di lavoro sopra la tonaca, reggeva sulle mani tremolanti il vassoio con il caffè e i biscotti fatti in casa.
«E’ buono come quello che assaggiai qui quasi venti anni fa?» domandò il sovrintendente.
«Ancora più buono: la caffettiera non l’abbiamo mai cambiata» rispose suor Valeria.
«Mi dica, giovanotto: che inchiesta sta facendo?» chiese a bruciapelo la Superiora al signor Giacomo.
«Grazie per il giovanotto... Inchiesta? Sì, inchiesta: sto indagando su chi ha rubato la maschera, con il cranio di Celestino e la Bolla della Perdonanza. E sono vicino alla soluzione del giallo».
Il sovrintendente sbuffò, con un colpo di tosse, spruzzando il caffè che stava bevendo sulla linda tovaglia bianca del tavolo dove s’erano accomodati.
«Un altro dei suoi bluff?- disse la Superiora guardando dritto negli occhi, con uno sguardo indagatore, il sovrintendente-. Stavolta ha mascherato da giornalista un poliziotto per farlo entrare qui con l’inganno?».
«E lei, Superiora, non ha ingannato il sovrintendente in quella sua visita in Municipio?» incalzò il signor Giacomo.
«Ma di cosa parla? Lei farnetica».
«Farnetico? Un istante fa ho capito tutto...»
«Signor Giacomo... ma che le prende?» balbettò il sovrintendente che era rimasto, basito, con la tazzina in una mano ed un biscotto mangiucchiato nell’altra.
«Mi prende che, un attimo fa, ho avuto una visione: Celestino V mi ha parlato».
«Lei è impazzito!» esclamò il sovrintendente.
«E cosa le ha detto, Celestino?», disse, con tono provocatorio, la Superiora.
«Mi ha detto che lei, a dispetto della tonaca che indossa, non la racconta giusta».
«Oh bella! E su cosa?».
«Non faccia finta di non capire. Ora le ripeto quello che mi ha appena detto il nostro Celestino. Allora... quando è arrivata la notizia che il Papa sarebbe venuto ad aprire la Porta Santa per la Perdonanza, qui in monastero vi siete dette che si sarebbe trattato dell’ultima spiaggia. Che cioè, qualcuno si sarebbe pur dovuto ricordare di quest’ultimo avamposto dei Celestini dimenticato da Dio e dagli uomini».
«Non sia blasfemo...».
«Non mi interrompa!».
«Moderi i toni, signor Giacomo- lo implorò il sovrintendente- siamo in un monastero!».
«Allora, dicevo... Nessuno, invece, s’è ricordato di voi e dei vostri problemi e soprattutto della vostra Missione in Africa dove avete grandi, grandissime difficoltà come ho letto in quest’opuscolo che era sul tavolo».
«Lì abbiamo difficoltà enormi, è vero. Ma le stiamo risolvendo soprattutto dopo che s’è saputo in giro dell’esistenza della Missione. Non vedo il nesso».
«C’entra, c’entra. A questo punto, avete elaborato un piano che non solo rilanciasse la questione celestiniana ma potesse anche alleviare i vostri problemi in Africa. Un piano con una mossa clamorosa: fingere un attentato, magari degli integralisti musulmani, facendo salire la tensione e poi lasciare tutti con un palmo di naso con uno ”scambio” su cui far riflettere tutti. Un attentato non al Papa che viene ad aprire la Porta Santa, ma a quel Papa nel cui nome è stata fondata una Missione in Africa di cui nessun vuol nemmeno sentire parlare».
«Lei è pazzo..» esclamò la Superiora.
«A proposito di pazzia.... Non potevate fare tutto da sole, voi suorine. Vi siete fatte aiutare. Sicuramente dalla mezza matta che accompagnò lei, Badessa, dal sovrintendente in Municipio. Distraendo, e non è difficile, il mio amico, gli avete fotocopiato gran parte del suo archivio per poter usare le sue sudate carte al fine di elaborare una strategia di un possibile attentato al Papa che veniva ad aprire la Porta Santa. E che strategia! Un gioco dell’oca perfetto. Tutti abbiamo creduto ai musulmani. Devo dire che ci avete fregato. Eccome se ci avete fregato!».
«Ma sì, la ”mezza matta”! La incontravo sempre nei vari convegni su Celestino e la Perdonanza! Mostrava sempre di sapere molto. Sì, quella donna potrebbe essere l’amica mia» disse, trasecolando, il sovrintendente.
«Ora è impazzito anche lei?» alzò la voce la Superiora, rossa in volto, rivolta al sovrintendente.
«No, sta cominciando a capire anche lui- riprese a parlare il signor Giacomo-. Non è stato difficile, per la nostra mezza matta e chi l’ha aiutata, elaborare il piano. Oltretutto, conoscendo in anticipo come avrebbe reagito il sovrintendente del quale avevate tutte le carte, vi siete presi gioco, di lui, di me, di noi, di un intero sistema di sicurezza, del mondo che ci guardava. Ci avete anche spiato e pedinato, come è capitato nella chiesa di San Pietro. Era l’ombra di una donna quella che io vidi con la coda dell’occhio. Qualcuno entrò nella chiesa ma, evidentemente, non s’aspettava che noi due fossimo già arrivati davanti all’affresco “coperto” di Celestino V. Qualcuno entrò e si ritrasse subito. Io l’ho vista: era una donna».
«Giovanotto, lei vaneggia!».
«Aspetti, aspetti... Ora arriva il bello. Senta che cos’altro mi ha raccontato Celestino! Quando andaste a trovare il sovrintendente in Municipio, oltre alla fotocopie, avete preso anche la Bolla».
«Noi suore? Un furto? Ma che dice!».
«Come è emerso successivamente, ma io non gli ho dato peso, il sovrintendente ha ricordato che proprio il giorno in cui avrebbe subito una ”visita” nel suo ufficio di solito sempre ben chiuso a doppia mandata, c’era stato un sopralluogo di alcuni studiosi dell’Istituto per il restauro dei libri antichi nella cappella dove è conservata la Bolla. Perciò, quel giorno, le quattro chiavi diverse che aprono le quattro serrature diverse della cripta, erano state momentaneamente poste sul suo tavolo in attesa di essere riconsegnate ai quattro diversi “custodi” che si occupano di conservarle separatamente».
«Solo l’amica sua poteva sapere che quelle chiavi erano della cripta...» disse a denti stretti il sovrintendente, sempre più frastornato.
«Voi due siete pazzi!».
«Il giorno dell’apertura della Porta Santa, vi siete superate. Non furono due persone vestite da fraticelli, col cappuccio alzato, a violare il mausoleo e la teca di vetro a Collemaggio approfittando della generale attenzione verso il Papa. In una testimonianza che ho letto e riletto, due addetti alla sicurezza hanno raccontato di aver visto due persone, di spalle, che indossavano una tonaca, andar via con una evidente fretta. Ho rintracciato, qualche giorno fa, quei due testimoni. E ho chiesto loro di ricordare di che colore era la tonaca. I due sono stati univoci nel dirmi un particolare sul quale nessuno poteva far caso: era una tonaca bianca, con un stola nera sopra. E’ il vostro saio. Una vostra esclusiva caratteristica come suore Celestine. Mi piacerebbe sapere chi vi ha aiutato a disinnescare, con grande anticipo per poter lavorare in tutta calma, l’allarme al Mausoleo di Celestino il cui timer, guarda caso, è stato trovato fermo alla data del primo giugno. Magari la mezza matta sapeva dov’era il quadro dei comandi».
«Cioè lei sta dicendo che noi suore abbiamo rubato la maschera decapitando le Spoglie del povero Celestino. Che abbiamo rubato la Bolla, persino. Che abbiamo architettato un piano per simulare un attentato... Ma lei è da manicomio!».
«Avete pensato a tutto, proprio a tutto. Anche ad inserire la profezia di Malachia, per studiare la quale ho perduto il mio sonno, in modo da poter confondere le acque. Un richiamo sopraffino ai due motti malachiani: il “De gloria olivae”, ovvero alla pace visto anche che il nuovo Pontefice, nello scegliere il nome, s’era voluto rifare indiscutibilmente ad un Papa della Pace contro la Guerra e il “Petrus Romanus”, ovvero da Pietro I a Pietro II, la profetizzata fine di quel tipo di Cristianesimo sorto dalle ceneri dell’Impero romano d’occidente quando al vertice della Chiesa non ci sarà più nessun pontefice in quanto lo Spirito Santo illuminerà tutti gli uomini e ci sarà come un paradiso sulla terra».
«Malachia? Profezie? La fine del Cristianesimo? Ma di che cosa parla?».
«Un piano ben congegnato fin nell’ultimo, geniale particolare: il fax con il numero di telefono del Vaticano. Sono andato a controllare quel foglio: è un clamoroso falso. Avete usato un fax da un’utenza anonima, dal quale cioè non esce in testa di pagina la stringa della provenienza, forse lo stesso fax dal quale è arrivato il primo anagramma. In testa al foglio da trasmettere avete appiccicato la stringa del fax ufficiale, quello realmente giunto dal Vaticano che comunicava la venuta del Papa e che voi avevate provveduto a fotocopiare durante il blitz nella stanza del sovrintendente. Tutti presi dal complotto internazionale con una possibile complicità in Vaticano, tutti “narcotizzati” dall’effetto sorpresa, non abbiamo dato peso al fatto che nella stringa del fax c’era il numero di telefono ma non la data: io stesso me ne sono accorto soltanto ieri, rivedendomi l’intero fascicolo. Che polli che siamo stati!».
«Pazzi, siete pazzi. Eppoi che scopo avremmo avuto noi suorine».
«Lo avete fatto a fin di bene, ne sono certo. Tutto questo lo avete fatto per l’evangelizzazione...».
«Qui non la seguo, signor Giacomo» lo interruppe il sovrintendente.
«Sì, per l’evangelizzazione. Perché, altrimenti, la nostra matta ci ha lanciato messaggi e messaggi sulle difficoltà dell’evangelizzazione? Il padre missionario cappuccino di Roio, il frate francescano missionario martire bruciato vivo dai cinesi, il verso di Dante sull’Africa...».
«Dunque, lei ipotizza che la maschera ed il cranio con il foro in testa di Celestino, nonchè la Bolla Celestiniana, si trovino nella Missione in Africa come una specie di totem per poter folgorare gli indigeni sulla via di Damasco?» chiese il sovrintendente al quale, ora, s’era aperta la mente.
«Per poter far loro toccare, quasi con mano, la potenza dell’icona. Dire loro: questo è Celestino V; questo è il suo messaggio di perdono e di pace. Potete toccarlo. E’ vero».
«Voi leggete troppi romanzi gialli. Via, uscite da questo monastero. Fuori! Accusare un nugolo di anziane suorine di un furto sacrilego. Vergognatevi! Uscite: per la seconda volta, sovrintendente, lei ha tradito la nostra fiducia. Via, andate via da qui».


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