La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 16
Un romanzo di Angelo De Nicola
Dal citofono una voce gracchiante, come di bambina, chiese: ”Chi è?”.
«Pellegrini» rispose il sovrintendente che si stava spazientendo dopo la terza, lunga, scampanellata davanti al grande portone.
«Pellegrini un corno!- sbottò il signor Giacomo solo dopo essersi assicurato, avvicinando l’orecchio verso il campanello, che la cornetta del citofono fosse stata riattaccata-. Se, come pare, siamo al dunque, dovremo pur trovare una scusa. Chi siamo noi due?».
«Faccia fare a me. Quando si tratta di improvvisare tiro fuori sempre il meglio di me... Ah, buongiorno Sorella! Possiamo parlare con la Madre Superiora? Si ricorda di me? Sono quel giornalista che, tanti anni fa, s’è occupato del rapimento delle spoglie di Celestino... Venni qui in convento quando furono recuperate le Sacre Spoglie... Lui è un mio collega».
La suora, anziana, leggermente claudicante, s’era fatto ripetere per tre volte la risposta. Non che avesse dei sospetti: era quasi sorda. Fece accomodare i due nel parlatoio, annunciando l’arrivo, di lì a poco, della Badessa.
«C’è ancora la ruota del monastero» disse il signor Giacomo dopo essersi guardato attorno.
«E’ un monastero di clausura».
«Ma ci hanno fatto entrare...».
«Le poche suorine rimaste hanno avuto, da tempo ormai, uno speciale permesso di uscire, se necessario, dal monastero e di ricevere gente, sempre che sia necessario. Per loro sarebbe difficile, oggi come oggi, sopravvivere da claustrali. Il monastero è quasi dimenticato. Se non fosse per qualche benefattore...».
«Mi chiedo cosa siamo venuti a fare qui, seguendo la traccia di una “mezza matta”... Quel dipinto chi raffigura?» chiese il signor Giacomo indicando il piccolo altare presente nella stanza accanto al parlatoio.
«Chi altri...».
«Il nostro?».
«Sì, è lui: Celestino V».
«Bello, però. Suggestivo».
«A mio giudizio, questo è tra i più bei dipinti che esistano del nostro Papa. Lui, vestito con l’umile saio è come in estasi nel guardare la croce, la “croce di penitenza”, mentre la tiara papale e l’inseparabile suo codice sono poggiati, vicino ad un rosario, su un tavolo spoglio. Saranno forse i colori, sarà la postura di Celestino, ma questo quadro da un senso di pace».
«La croce infuocata che appare sopra una finestra con le sbarre: è il momento della morte nella prigione di Fumone e del miracolo della “croce di penitenza”?».
«Esatto».
«Certo, qui dentro non lo vede nessuno».
«E’ il posto giusto, senta a me».
La Superiora si faceva attendere.
«Qui dietro cosa c’è?» chiese il signor Giacomo aprendo l’anta di una grande porta.
«La chiesa».
«Bella! E quella cancellata? Si riferisce alla clausura?».
«Esatto. Quando si dice messa, le suore sono all’interno dello spazio protetto dalla cancellata che testimonia, fisicamente, la clausura, mentre i fedeli si accomodano normalmente tra i banchi».
«E dietro quella porta?» chiese ancora il signor Giacomo.
«Prego, prego. Può entrare. Lì c’è il coro...»: la voce, gentile ma ferma, della Badessa, che nel frattempo era arrivata da chissà dove, aveva colto i due “pellegrini” di sorpresa.
«Mi scusi, Madre, non volevo essere indiscreto» cercò di scusarsi il signor Giacomo.
«Entri, entri pure. Qui non viene mai nessuno se non le solite facce note di chi si ostina a voler dare un mano ad un nugolo di suorine ostinate. Ben rivisto, sovrintendente».
«Questo coro è bellissimo» disse il signor Giacomo che, per dissimulare la sorpresa, fece finta di concentrarsi nel contare i posti a sedere, delimitati dai braccioli, della struttura in legno che seguiva l’intero perimetro del muro. Contò ventidue posti.
«E bellissimo è anche questo affresco» disse il sovrintendente indicando alcune delle figure, abbastanza ben conservate, al di sopra della cornice in legno del coro.
«Il nostro San Giovanni Battista brutalmente decollato» disse la Superiora.
«Anche lui!» non riuscì a trattenersi il signor Giacomo.
«Come ha detto?» chiese la Superiora.
«Volevo dire ”ancora lui”. Poco fa, in un’altra chiesa, abbiamo visto un altro San Giovanni decollato».
«Rispetto al precedente- intervenne il sovrintendente, cercando di far reggere la bugia- in questo caso non c’è la testa del Santo. Dov’è la testa?».
«Un’altra testa che non si trova» disse, stavolta sottovoce, il signor Giacomo.
«Come ha detto?» disse la Superiora che non doveva essere sorda come la sua consorella.
«No, no. Riflettevo ad alta voce».
«La testa c’era. Era sul vassoio, lì a sinistra, retto da Salomè che la sta consegnando a sua madre Erodiade quale trofeo per la sua conturbante esibizione davanti al Re Erode Antipa. Proprio dove c’era la testa ora vedete una macchia bianca d’intonaco. In quel punto esatto, infatti, passava la canna fumaria di una stufa. Non si sapeva dell’esistenza di tali magnifichi affreschi su questa parete. Quando vennero scoperti e riportati alla luce, il danno era già fatto. Nessun mistero, dunque: la scena della decapitazione del Battista è completa».
«Affreschi bellissimi. E lì, in quella che sembra una dispensa, cosa c’è?» chiese il signor Giacomo anche per cambiare discorso.
«Se si arrampica sulla sgabello ed apre le due ante, troverà la teca con il teschio e le ossa di San Germano che fu servo e fattore di questo monastero».
«Un altro teschio!» esclamò il signor Giacomo che era già sullo sgabello.
«Sì, ma questo, come vede, non ha la maschera...- rispose subito la Badessa- Se accende la luce, vede meglio la teca che è visibile anche dall’attigua chiesa, attraverso una piccola grata posta sotto il dipinto di San Germano che si guarda con il dipinto di Celestino V».
«In questa teca più piccola cosa c’è?».
«La brocca con la quale San Germano prendeva l’acqua benedetta dal pozzo, rito che ancora oggi celebriamo nella sua ricorrenza, ed un fazzoletto rosso contenente le piccole ossa di una bambina».
«Una bambina?».
«Racconta una pia leggenda che San Germano avesse grande familiarità con una bambina. I genitori la portavano spesso in convento. Il Santo faceva alla piccola sempre la stessa domanda: ”Vuoi venire in Paradiso?”. La bambina rispondeva sempre con un gioioso sì. Quando arrivò l’ora del gaudioso transito del Santo, la bambina che pure si trovava lontano, esclamò: ”Ecco, l’anima di Fra Germano se ne va in cielo”. La piccola fu colta da febbre altissima e, dopo ventiquattrore, segui l’amato frate in Paradiso. Perciò riposa con lui».
«Che storie!»
«Leggende...a cui noi crediamo. In cosa posso esservi utile?- chiese la Superiora rivolta al sovrintendente-. La portinaia, suor Maria Rita, mi ha detto che il suo amico è un giornalista. Giornalista come lei...».
«Quando ero giovane...».
«Ed anche un po’ sfacciatello: si spacciò per poliziotto pur di entrare qui in convento e fotografare le Spoglie appena ritrovate di Celestino. Non fu molto corretto...».
«Ero giovane... Comunque quell’esperienza mi ha segnato. Non dimenticherò mai quella piccola bara di legno chiaro. Era lì, ai piedi del coro. Voi suore intorno, estasiate. Un’atmosfera mistica...».
«Furono due giorni bellissimi».
«Bellissimi?».
«Oh sì, avemmo il privilegio di ospitare il nostro Santo. La notte ci portammo le Spoglie nelle nostre cellette ai piani di sopra: lì nessuno le avrebbe potuto rapire».
«Perché furono portate qui?» non poté fare a meno di domandare il signor Giacomo.
«Nella storia di Celestino V, sempre le sue Spoglie sono state ospitate, quando per motivi vari non erano nel mausoleo a Collemaggio, in questo nostro ultimo avamposto dei Celestini. Il Santo è ”nostro”. Ma lei non ha l’aria di un giornalista...».
«Sì, lui è un mio ex collega venuto da Roma- s’affrettò a rispondere il sovrintendente-. Vorrebbe fare un reportage sui misteri legati a Celestino V. Gli sto dando volentieri una mano».
«Sarà. Ma il suo amico non ha proprio l’aria di un giornalista...».
«In effetti lo faccio per hobby. Sono un impiegato dello Stato- rispose subito il signor Giacomo-. Piuttosto ho letto che questo è il più antico monastero cittadino. Si può visitare?».
«Compatibilmente con la clausura. Venite, vi faccio vedere l’orto e dove si trovano gli affreschi più antichi».
«Pellegrini» rispose il sovrintendente che si stava spazientendo dopo la terza, lunga, scampanellata davanti al grande portone.
«Pellegrini un corno!- sbottò il signor Giacomo solo dopo essersi assicurato, avvicinando l’orecchio verso il campanello, che la cornetta del citofono fosse stata riattaccata-. Se, come pare, siamo al dunque, dovremo pur trovare una scusa. Chi siamo noi due?».
«Faccia fare a me. Quando si tratta di improvvisare tiro fuori sempre il meglio di me... Ah, buongiorno Sorella! Possiamo parlare con la Madre Superiora? Si ricorda di me? Sono quel giornalista che, tanti anni fa, s’è occupato del rapimento delle spoglie di Celestino... Venni qui in convento quando furono recuperate le Sacre Spoglie... Lui è un mio collega».
La suora, anziana, leggermente claudicante, s’era fatto ripetere per tre volte la risposta. Non che avesse dei sospetti: era quasi sorda. Fece accomodare i due nel parlatoio, annunciando l’arrivo, di lì a poco, della Badessa.
«C’è ancora la ruota del monastero» disse il signor Giacomo dopo essersi guardato attorno.
«E’ un monastero di clausura».
«Ma ci hanno fatto entrare...».
«Le poche suorine rimaste hanno avuto, da tempo ormai, uno speciale permesso di uscire, se necessario, dal monastero e di ricevere gente, sempre che sia necessario. Per loro sarebbe difficile, oggi come oggi, sopravvivere da claustrali. Il monastero è quasi dimenticato. Se non fosse per qualche benefattore...».
«Mi chiedo cosa siamo venuti a fare qui, seguendo la traccia di una “mezza matta”... Quel dipinto chi raffigura?» chiese il signor Giacomo indicando il piccolo altare presente nella stanza accanto al parlatoio.
«Chi altri...».
«Il nostro?».
«Sì, è lui: Celestino V».
«Bello, però. Suggestivo».
«A mio giudizio, questo è tra i più bei dipinti che esistano del nostro Papa. Lui, vestito con l’umile saio è come in estasi nel guardare la croce, la “croce di penitenza”, mentre la tiara papale e l’inseparabile suo codice sono poggiati, vicino ad un rosario, su un tavolo spoglio. Saranno forse i colori, sarà la postura di Celestino, ma questo quadro da un senso di pace».
«La croce infuocata che appare sopra una finestra con le sbarre: è il momento della morte nella prigione di Fumone e del miracolo della “croce di penitenza”?».
«Esatto».
«Certo, qui dentro non lo vede nessuno».
«E’ il posto giusto, senta a me».
La Superiora si faceva attendere.
«Qui dietro cosa c’è?» chiese il signor Giacomo aprendo l’anta di una grande porta.
«La chiesa».
«Bella! E quella cancellata? Si riferisce alla clausura?».
«Esatto. Quando si dice messa, le suore sono all’interno dello spazio protetto dalla cancellata che testimonia, fisicamente, la clausura, mentre i fedeli si accomodano normalmente tra i banchi».
«E dietro quella porta?» chiese ancora il signor Giacomo.
«Prego, prego. Può entrare. Lì c’è il coro...»: la voce, gentile ma ferma, della Badessa, che nel frattempo era arrivata da chissà dove, aveva colto i due “pellegrini” di sorpresa.
«Mi scusi, Madre, non volevo essere indiscreto» cercò di scusarsi il signor Giacomo.
«Entri, entri pure. Qui non viene mai nessuno se non le solite facce note di chi si ostina a voler dare un mano ad un nugolo di suorine ostinate. Ben rivisto, sovrintendente».
«Questo coro è bellissimo» disse il signor Giacomo che, per dissimulare la sorpresa, fece finta di concentrarsi nel contare i posti a sedere, delimitati dai braccioli, della struttura in legno che seguiva l’intero perimetro del muro. Contò ventidue posti.
«E bellissimo è anche questo affresco» disse il sovrintendente indicando alcune delle figure, abbastanza ben conservate, al di sopra della cornice in legno del coro.
«Il nostro San Giovanni Battista brutalmente decollato» disse la Superiora.
«Anche lui!» non riuscì a trattenersi il signor Giacomo.
«Come ha detto?» chiese la Superiora.
«Volevo dire ”ancora lui”. Poco fa, in un’altra chiesa, abbiamo visto un altro San Giovanni decollato».
«Rispetto al precedente- intervenne il sovrintendente, cercando di far reggere la bugia- in questo caso non c’è la testa del Santo. Dov’è la testa?».
«Un’altra testa che non si trova» disse, stavolta sottovoce, il signor Giacomo.
«Come ha detto?» disse la Superiora che non doveva essere sorda come la sua consorella.
«No, no. Riflettevo ad alta voce».
«La testa c’era. Era sul vassoio, lì a sinistra, retto da Salomè che la sta consegnando a sua madre Erodiade quale trofeo per la sua conturbante esibizione davanti al Re Erode Antipa. Proprio dove c’era la testa ora vedete una macchia bianca d’intonaco. In quel punto esatto, infatti, passava la canna fumaria di una stufa. Non si sapeva dell’esistenza di tali magnifichi affreschi su questa parete. Quando vennero scoperti e riportati alla luce, il danno era già fatto. Nessun mistero, dunque: la scena della decapitazione del Battista è completa».
«Affreschi bellissimi. E lì, in quella che sembra una dispensa, cosa c’è?» chiese il signor Giacomo anche per cambiare discorso.
«Se si arrampica sulla sgabello ed apre le due ante, troverà la teca con il teschio e le ossa di San Germano che fu servo e fattore di questo monastero».
«Un altro teschio!» esclamò il signor Giacomo che era già sullo sgabello.
«Sì, ma questo, come vede, non ha la maschera...- rispose subito la Badessa- Se accende la luce, vede meglio la teca che è visibile anche dall’attigua chiesa, attraverso una piccola grata posta sotto il dipinto di San Germano che si guarda con il dipinto di Celestino V».
«In questa teca più piccola cosa c’è?».
«La brocca con la quale San Germano prendeva l’acqua benedetta dal pozzo, rito che ancora oggi celebriamo nella sua ricorrenza, ed un fazzoletto rosso contenente le piccole ossa di una bambina».
«Una bambina?».
«Racconta una pia leggenda che San Germano avesse grande familiarità con una bambina. I genitori la portavano spesso in convento. Il Santo faceva alla piccola sempre la stessa domanda: ”Vuoi venire in Paradiso?”. La bambina rispondeva sempre con un gioioso sì. Quando arrivò l’ora del gaudioso transito del Santo, la bambina che pure si trovava lontano, esclamò: ”Ecco, l’anima di Fra Germano se ne va in cielo”. La piccola fu colta da febbre altissima e, dopo ventiquattrore, segui l’amato frate in Paradiso. Perciò riposa con lui».
«Che storie!»
«Leggende...a cui noi crediamo. In cosa posso esservi utile?- chiese la Superiora rivolta al sovrintendente-. La portinaia, suor Maria Rita, mi ha detto che il suo amico è un giornalista. Giornalista come lei...».
«Quando ero giovane...».
«Ed anche un po’ sfacciatello: si spacciò per poliziotto pur di entrare qui in convento e fotografare le Spoglie appena ritrovate di Celestino. Non fu molto corretto...».
«Ero giovane... Comunque quell’esperienza mi ha segnato. Non dimenticherò mai quella piccola bara di legno chiaro. Era lì, ai piedi del coro. Voi suore intorno, estasiate. Un’atmosfera mistica...».
«Furono due giorni bellissimi».
«Bellissimi?».
«Oh sì, avemmo il privilegio di ospitare il nostro Santo. La notte ci portammo le Spoglie nelle nostre cellette ai piani di sopra: lì nessuno le avrebbe potuto rapire».
«Perché furono portate qui?» non poté fare a meno di domandare il signor Giacomo.
«Nella storia di Celestino V, sempre le sue Spoglie sono state ospitate, quando per motivi vari non erano nel mausoleo a Collemaggio, in questo nostro ultimo avamposto dei Celestini. Il Santo è ”nostro”. Ma lei non ha l’aria di un giornalista...».
«Sì, lui è un mio ex collega venuto da Roma- s’affrettò a rispondere il sovrintendente-. Vorrebbe fare un reportage sui misteri legati a Celestino V. Gli sto dando volentieri una mano».
«Sarà. Ma il suo amico non ha proprio l’aria di un giornalista...».
«In effetti lo faccio per hobby. Sono un impiegato dello Stato- rispose subito il signor Giacomo-. Piuttosto ho letto che questo è il più antico monastero cittadino. Si può visitare?».
«Compatibilmente con la clausura. Venite, vi faccio vedere l’orto e dove si trovano gli affreschi più antichi».
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