Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 76
Un saggio di Angelo De Nicola
76. PERRUZZA, UN LABIRINTO DI TRAPPOLE E BUGIE
10. 6. 1997
Un ragazzo che ha fatto l'eroe per salvare il padre? O un ragazzo dalla mente diabolica e deviata che ha tenuto e tiene in scacco tutti? Oppure, un bravo ragazzo travolto e distrutto da una tragedia immane?
In sette anni da quel 23 agosto 1990, si è detto e scritto a fiumi su Mauro Perruzza, figlio del ”mostro di Balsorano”, Michele. È il ragazzo il principale protagonista di questa triste storia chiusa dalla Giustizia ma ancora aperta nell'immaginario collettivo che continua a sospettare di quel ragazzino, all'epoca tredicenne.
Ragazzino (ora ventenne ed adottato da una «buona famiglia») che domani sarà ascoltato davanti al Tribunale di Sulmona nell'atteso interrogatorio nell'ambito di quel ”processo satellite” che rappresenta l'ultima speranza di Perruzza per tentare la strada della ”revisione” del procedimento principale, chiuso definitivamente con la condanna all'ergastolo dopo i tre gradi di giudizio.
Sedici versioni diverse. Si è detto e scritto molto su Mauro anche perché, a differenza di suo padre, lui ha “parlato” tanto. Si contano 16 versioni, una completamente diversa dall'altra e delle quali 10 ufficiali (cioè confluite in atti giudiziari), più memoriali, lettere e perfino una sorta di romanzo che Mauro avrebbe scritto e la cui storia sconclusionata ruota attorno ad una bambina di nome “Genoveffa”.
Un ginepraio di racconti nei quali non sarà facile orientarsi, domani, sia per la difesa di Perruzza che sta cercando disperatamente di «salvare un uomo condannato ingiustamente all'ergastolo», sia per lo stesso Pm, il sostituto procuratore di Sulmona, Aura Scarsella, che ha dichiarato di «andare a caccia della verità».
La bicicletta di Cristina. Le versioni ufficiali fornite da Mauro partono dalla mini-bici di Cristina, particolare ritenuto importantissimo perché è l'unico ad essere presente in tutte le sue testimonianze. Poche ore dopo il delitto, i sospetti degli investigatori si concentrano, chissà perché, su Mauro. Che, infatti, è tra i primi ad essere interrogato, tra l'altro alla presenza del padre Michele perché è minorenne. Gli agenti, così, scoprono che il ragazzino, dopo aver riparato la bici della cuginetta, è stato l'ultimo a vedere la bambina con la quale sarebbe stato fino alle 21,00 un particolare che insospettisce ancora di più la Polizia. L'autopsia aveva già stabilito che Cristina era morta intorno alle 20,30.
La notte dei misteri. Questo interrogatorio di Mauro è precedente di circa tre giorni dalla ormai famosa e misteriosa nottata che rappresenta la chiave del caso. Ovvero la notte tra il 26 ed il 27 agosto quando il ragazzino prima si autoaccusa del delitto cambiando due volte versione per poi cambiare totalmente idea ed accusare il padre Michele. Che dall'alba di quel lunedì di sette anni fa è in carcere. Cosa è accaduto quella notte? Perché ad un certo punto, addirittura dopo la conferenza stampa degli investigatori che annunciavano la risoluzione del caso grazie «alla piena confessione del minore», Mauro cambia idea?
Le carte processuali, invece che chiarire il mistero, aggrovigliano ancora di più la matassa. Oltretutto, su questo fondamentale passaggio, Mauro ha fornito varie versioni fino ad affermare tra le lacrime, davanti ai giudici della Corte d'Assise di secondo grado: «Volevo solo proteggere mio padre a cui voglio tanto bene».
La cassetta sparita. C'è un ulteriore mistero sulla notte dei misteri. Si tratta della audiocassetta sparita che, recentemente, ha dato origine ad un'inchiesta dalla Procura di Avezzano finita con l'incriminazione di due poliziotti, accusati di aver reso sulla questione false dichiarazioni al Pm. In quella cassetta, ha sempre sostenuto la difesa di Perruzza (avvocati Attilio Cecchini, Antonio De Vita e Carlo Maccallini), c'è sia la prima autoaccusa di Mauro, sia l'accusa al padre: «Dalla viva voce del ragazzo, si potrebbe tentare di capire i motivi della metamorfosi». Che quella cassetta esista, sostiene ancora la difesa, è certo perché lo ha detto non solo il muratore («Mi hanno fatto ascoltare le accuse di mio figlio contro di me») ma anche altri testimoni e, soprattutto, lo stesso ragazzo nell'interrogatorio davanti ai giudici di secondo grado.
Il capanno. L'ultima versione ufficiale fornita dal ragazzo è stata quella decisiva per far condannare il padre all'ergastolo. Davanti alla Corte d'Assise d'Appello, Mauro ha raccontato la “verità” di quella sera. Ha detto di aver visto, nascosto sopra il solaio di un capanno, il padre mentre infieriva sulla piccola Cristina.
I giudici, dopo un sopralluogo sul posto fatto in pieno inverno, hanno concluso che da quel capanno si vedeva la scena del delitto. La difesa del muratore, invece, sostiene che in estate e all'ora indicata dal ragazzo, da quel capanno non si vede la scena del delitto. Perciò i legali hanno chiesto al Tribunale di Sulmona di ripetere il sopralluogo lo stesso giorno del delitto, la sera del 23 agosto prossimo. Domani, di nuovo la parola a Mauro. Confermerà una delle sue versioni precedenti? O ne darà una nuova?
Ecco, in quattro chiavi di lettura, le varie versioni fornite da Mauro.
MAURO 1
Mauro Perruzza è stato il primissimo sospettato dell’omicidio della piccola Cristina. Quella che finora sembrava essere soltanto un’ipotesi giornalistica, risulta invece essere agli atti dell’inchiesta. La stessa mattina del ritrovamento del corpicino martoriato della bimba (cioè tre giorni prima che il minore si autoaccusasse), il ragazzo è stato tra i primi ad essere interrogato dalla polizia. Questo il verbale di quell’interrogatorio:
«Anno 1990, 24 agosto, alle 12,15, davanti a me sottoscritto Pasqualino Cerasoli, dirigente della Squadra mobile della Questura dell’Aquila, assistito dal sovrintendente Antonio Piras, è presente Mauro Perruzza il quale, alla presenza del genitore Michele Perruzza, spontaneamente dichiara quanto segue: “Sono il cugino di Cristina e ieri ho visto la stessa intorno alle ore 17 intenta a giocare con due sue amichette. Cristina mi ha chiamato e mi ha detto di portare la sua bicicletta davanti casa. Cristina mi ha seguito pregandomi di aggiustare la bici che era rotta. Dopo avere aggiustato la bici insieme a mia cugina siamo andati verso casa di mio padre. Siamo rimasti insieme sino a circa le ore 21, dopo di che, preciso che ci eravamo allontanati da casa mia verso la piazzetta, io sono andato verso casa e Cristina si è diretta verso casa dell’amichetta Sara”».
Dopo questo interrogatorio i sospetti si concentrano ancor di più su Mauro per un piccolo particolare: gli investigatori già sanno che la bambina è morta tra le 20,30 e le 20,45. Prima, dunque, dell’orario (le 21) indicato da Mauro. Il quale, da quel momento in poi, sarà sempre vago sugli orari degli episodi che raccontava.
MAURO 2
È la notte tra il 26 agosto e l’alba del 27 la chiave del delitto di Balsorano. Una lunga notte che comincia nella caserma dei carabinieri di Balsorano dove, alle 22,40, viene interrogato, come testimone, Mauro. E dove il ragazzo crolla: «Cristina mi ha chiesto- dice a verbale- se volevo giocare nel boschetto ed io ho accettato». Il ”gioco” si mette male: «Cristina si è scesa la tuta. Io mi sono molto arrabbiato e l’ho rimproverata. Lei si è spaventata e si è messa a correre. L’ho inseguita e lei, impacciata nel movimento dalla tutina scesa, è scivolata ed ha battuto la testa contro una pietra svenendo immediatamente. Alla vista del sangue ho perduto ogni controllo e non so perché ho cominciato a stringerle il collo».
Il verbale viene sospeso: Mauro, da testimone è diventato indagato e viene condotto ad Avezzano dove, alla 1,25 della notte viene interrogato dal Procuratore per i Minori, Duilio Villante. A principio Mauro prima ribadisce ciò che ha detto, poi cambia versione: «Sono stato io a convincere la bambina a venire nel boschetto con una scusa ma la mia vera intenzione era di possederla. L’ho spinta per adagiarla per terra ma lei è andata a battere con la testa contro un sasso... mi sono accorto che la bambina era svenuta ed al fine di evitare che potesse raccontare alla madre l’accaduto, l’ho strangolata stringendole il collo».
A questo punto, il giallo: «Dopo la chiusura del verbale -si legge agli atti-, l’imputato ritratta la confessione. Dichiara: ritengo che l’autore del fatto sia mio padre e ciò lo deduco dalla circostanza che alle 21,30 di quella sera vidi mio padre piangere a casa lamentando la scomparsa di Cristina della cui morte non poteva sapere perché l’allarme venne dato dopo le 22». È l’alba. Alle 4,20, Mauro viene di nuovo interrogato.
È l’interrogatorio del quale esisterebbe l’audiocassetta che non si trova più.
Stavolta il ragazzo accusa il padre: «Mentre stavo riparando la bici di Cristina, vidi mia cugina e mio padre che si allontanavano verso il boschetto, mi sono incuriosito e li ho seguiti... Vidi mio padre che cercava di toccare Cristina. Poi l’ha buttata per terra e mentre con la mano sinistra la teneva ferma ha preso con la mano destra una grossa pietra e l’ha colpita sulla testa tre volte». Perché ti sei accusato del delitto: «Per aiutare mio padre quando l’ho visto portato via dai carabinieri». Ma da dove Mauro ha visto la scena? Sul verbale non c’è scritto ma Mauro, davanti alla Corte di secondo grado, ha ammesso di aver parlato di una cabina dell’Enel-Sip (dalla quale, però, non si vede il luogo del delitto). Il particolare della cabina, sostiene la difesa, è contenuto nel nastro della cassetta sparita e, quindi, «non è assolutamente certo che il verbale corrisponda alle reali dichiarazioni del ragazzo».
MAURO 3
Per la prima volta, Mauro non risponde. È accaduto durante l’interrogatorio davanti alla Corte d’Assise di primo grado. Ad ogni domanda, il ragazzo risponde «no, non so», giustificando le contraddizioni con le precedenti dichiarazioni con una lunga serie di «ero confuso». L’interrogatorio si svolge a porte chiuse (perché il teste è minore e vista la scabrosità della vicenda) alla presenza dell’assistente sociale ma non della madre (perché secondo i giudici potrebbe influenzare il figlio).
Un mutismo ed una serie di reticenze che scontentarono sia la pubblica accusa (che ipotizzò un “addomesticamento” compiuto dalla madre) che la difesa del muratore (l’avvocato Leonardo Casciere che in quel processo tentò di percorrere la “terza via”, ovvero di sostenere che a commettere il delitto non era stato né il padre né il figlio).
MAURO 4
Delle dieci versioni ufficiali fornite da Mauro, la più importante è stata quella davanti alla Corte d’Assise di secondo grado che poi confermerà l’ergastolo per Michele Perruzza proprio sulla base di questa testimonianza. A porte chiuse, il ragazzo cambia completamente versione rispetto a quanto aveva raccontato e parla, per la prima volta, del capanno: «Ho visto mio padre e Cristina che si stavano allontanando», li ha seguiti facendo un altro percorso fino «ad un capanno dove mio nonno ci teneva il maiale, e dal solaio del capanno ho visto una scena un po’... Non è stata un bella scena... Ho visto mio padre che aveva le mani tra la bocca ed il collo della piccola». Mauro rivela un particolare: «Mentre stava succedendo questo, io ho visto una Renault bianca di S., chiedete a lui l’orario perché io non lo ricordo». Proprio questo particolare avrebbe convinto Michele (fino a quel giorno non aveva mai accusato il ragazzo trincerandosi sempre dietro un «non so nulla»), della colpevolezza del figlio.
Subito dopo quell’interrogatorio, parlando in carcere con i suoi legali, Perruzza si è ricordato di aver visto anche lui, quella sera, l’auto di quel paesano mentre fumava una sigaretta fuori casa sua. «Se Mauro ha visto l’auto che ho notato pure io- ha detto il muratore- allora mio figlio non poteva che stare nei pressi di quel maledetto boschetto».
I giudici hanno anche chiesto a Mauro perché si fosse autoaccusato del delitto. «Per proteggere mio padre», spiega il ragazzo. E perché, in primo grado, non ti ricordavi nulla? «Perché lo volevo sempre proteggere, io volevo far tornare la famiglia come era prima, una famiglia unita» ma «non è stato di mia iniziativa... perché mamma mi diceva che io non facevo niente per salvare mio padre». Da queste “pressioni” nasce il processo satellite che si sta tenendo a Sulmona. L’ultima speranza per Michele.
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