Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 48
Un saggio di Angelo De Nicola
48. PORTE CHIUSE, RICORDI AL SETACCIO
30. 11. 1991
Il rappresentante della Pubblica accusa, Palumbo: «Il ragazzo ha detto la verità accusando il padre». Il difensore di Perruzza, avvocato Cecchini: «Speravamo che dicesse la verità ed invece ha fornito l'ennesima versione». I legali di parte civile, Paris e Milo: «Ha confermato tutte le accuse al padre con una serenità straordinaria per un ragazzo di 14 anni». Il padre di Cristina, Giuseppe Capoccitti: «Ha confermato, anzi ha detto di più e s'è messo a piangere dopo aver spiegato che s'è autoaccusato perché voleva bene al padre». Il figlio maggiore dell'imputato, Daniele: «Mio fratello è un gran para... Ha mentito facendoci però capire che stava dicendo bugie perché è stato costretto a dire quelle cose contro papà: dal capanno che ha descritto non si vede il boschetto».
Uscendo dalle porte, stavolta davvero “chiuse”, dell'aula della Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila, ogni parte in causa ha raccontato la sua verità sull'interrogatorio di Mauro che nessuno ha visto perché è stato fatto entrare con largo anticipo nell'aula per lo stesso, buio, cunicolo riservato ai detenuti.
Ogni singola parte in causa, presa d'assalto da giornalisti e telecamere, ha scelto alcuni spezzoni di frasi dette dal ragazzo interpretando dalla sua visuale questo o quel passaggio, spesso dribblando le domande più ficcanti con un ridicolo «non possiamo dire di più, era a porte chiuse...».
Racimolati dal cronista i risultati della penosa “questua”, ciò che ha detto Mauro potrebbe essere riassunto così: il ragazzo vide il padre, nel boschetto, che era sopra Cristina nuda, e le teneva le due mani sulla bocca; lo vide da sopra un capanno distante una trentina di metri dopo essersi incuriosito avendo visto il padre che portava per mano la piccola lungo il viottolo; si autoaccusò per cercare di alleggerire il peso delle responsabilità del padre anche perché la madre gli aveva detto che a 13 anni non si è imputabili; inventò alcuni particolari per averli letti sui giornali.
Sempre secondo i racconti, pur sottoposto ad un mitragliamento di domande di un'ora e mezzo, il ragazzo non si è mai contraddetto nella ricostruzione della tragedia.
Una ricostruzione che rappresenta l'ottava versione dei fatti fornita dal ragazzo: la sera di domenica 26 agosto 1990, davanti al Pm Pinelli a Balsorano, si autoaccusa dicendo che Cristina è inciampata, è caduta ed ha sbattuto la testa con una pietra; il 7 settembre 1990 a Civitella Roveto, davanti a Pinelli, riaccusa e dice di aver visto, da dietro una siepe, il padre che con una mano sbatteva la testa di Cristina su un sasso e con l'altra le stringeva la gola; il 2 novembre 1990 riaccusa il padre davanti al Pm dei Minori, Cappa; il 6 marzo '91 al processo di primo grado dice di essersi inventato sia la confessione che le accuse al padre.
«All'inizio, quando s'è autoaccusato, il ragazzo era condizionato», dicono l'Accusa e la parte civile. Oggi, quando ha accusato il padre con una versione tutta nuova, il ragazzo era condizionato» dice la difesa.
E' allora attendibile il “testimone M. P.” dopo tutti i condizionamenti e le pressioni, che ha inevitabilmente subito? Secondo il gioco delle parti, la risposta è scontata.
Ma la difesa precisa che pur ammettendo l'attendibilità del figlio, alla luce della sua iniziale e precisa autoaccusa e delle successive sette diverse versioni, per poter motivare un ergastolo le sue dichiarazioni devono combaciare con elementi oggettivi.
Perciò ancor più decisiva per i difensori appare la superperizia che «noi abbiamo chiesto - ripeteva ieri Cecchini - a nostro rischio». Quella superperizia che deve chiarire i dubbi lasciati in piedi da un processo di primo grado che invece di colmare le lacune, ha finito con allargarle.
Per poter espletare questa superperizia, l'esperto nominato dalla Corte d'Assise d'Appello ieri ha chiesto un congruo termine. Perciò il presidente ha rinviato il processo al 14 gennaio del prossimo anno, giorno in cui il professor Silvio Merli dell'Istituto di Medicina legale dell'Università di Roma, porterà le sue conclusioni su tre aspetti, decisivi anche per verificare l'attendibilità delle testimonianze del figlio: la dinamica e la meccanica della morte di Cristina; quando e come sono state provocate le ferite al capo della bambina in relazione alla “scoperta” che non può essere stato il famoso sasso di 13 chili sotto sequestro e se sono compatibili con la mano di Perruzza i due segni digitali lasciati sul collo della piccola.
Perruzza insiste che la sua mano non ha ucciso Cristina, ma finora il muratore che non vuol parlare è sempre stato smentito. L'ultima volta, ieri: aveva detto che il figlio in sua presenza non lo avrebbe mai accusato.
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