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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 39

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



39. TRA L'ERGASTOLO E LA SPERANZA
20. 11. 1991



Da una parte la condanna all'ergastolo inflitta nel nome del popolo italiano: dall'altra una rinnovata agguerrita difesa che propone l' “azzeramento”: collaudo complesso per il processo d'Assise di secondo grado che è ancora “in rodaggio” perché sotto il vigore del nuovo codice sono stati celebrati finora pochissimi processi d'Appello.
Non solo.
Da una parte una famiglia distrutta nel tentativo di difendersi pur avendo certamente in casa l'omicida; dall'altra una famiglia distrutta per aver perduto una bambina di appena 7 anni che pretende giustizia; in mezzo feroci polemiche per gli errori, voluti e non, che hanno lasciato parecchie zone d'ombra. Un arduo compito attende i giudici della Corte d'Assise d'Appello chiamati a riesaminare il delitto di Balsorano.
La difesa. Un nuovo processo per riprendere la vecchia strada. A voler sintetizzare e questa la strategia della difesa di Michele Perruzza. La linea difensiva che emerge dai “motivi d'appello” punta decisamente a ritirare in ballo per i capelli il figlio tredicenne del muratore.
Si tratta proprio della strada difensiva sulla quale si erano incamminati i primi difensori di Perruzza, gli avvocati Mario e Carlo Maccallini dopo che, per la prima confessione del figlio e le successive accuse del minore e della moglie al muratore, si erano trovati di fronte alla “verità” che l'assassino era in casa Perruzza: o il padre, o il figlio.
Ma i Maccallini rimisero l'incarico per «una diversa visione del processo» con l'avvocato Casciere legale che la moglie, a sorpresa, prima aveva nominato per difendere il figlio nell'interrogatorio davanti al procuratore del Tribunale dei Minori e poi caldamente consigliato al marito come difensore.
La questione dell'incompatibilità. Non potendo l'avvocato Leonardo Casciere perlustrare l'unica strada alternativa, sostiene il nuovo collegio, non c'è stato un vero processo.
Non essendo stata sollevata da nessuno l'incompatibilità tecnica (e morale) di Casciere, il processo era già incardinato prima di cominciare.
Così non c'è stato un vero contro-interrogatorio del minore, ovvero delle figura chiave, in ogni caso, della vicenda. Tanto più che quando venne interrogato il ragazzino, era assente l'altro difensore (l'avvocato Domenico Buccini) che in qualche modo poteva sanare l'incompatibilità del collega. Soprattutto per questa “diminuita difesa” i nuovi avvocati chiedono l'annullamento del processo di primo grado. Azzerare tutto: l'ergastolo, il dibattimento e addirittura la parte delle indagini preliminari in cui è subentrato l'avvocato incompatibile.
Le altre eccezioni. E che sia meglio ricominciare da capo, sostiene ancora la difesa, lo consiglierebbero anche altre due «nullità» di natura generale, sulle quali aleggia sempre l'ombra del figlio.
La prima: non potevano entrare nel processo e tantomeno essere utilizzati per motivare la sentenza di primo grado, gli atti del Tribunale per i Minori riguardanti il procedimento contro il figlio tredicenne. In particolare, il decreto di archiviazione del Gip col quale venne scagionato il ragazzino non ha la necessaria “forza di giudicato” per poter essere utilizzato come prova a carico di Michele Perruzza.
La seconda: dopo aver sequestrato il paio di mutande che il muratore indossava in carcere, e dopo aver preso quelle del figlio tredicenne, venne fatta una comparazione in totale spregio dei diritti della difesa.
E quella comparazione, tesa a dimostrare che il paio di mutande trovate macchiate di sangue erano di Michele Perruzza e non del figlio, è una degli elementi decisivi delle motivazioni della sentenza di primo grado.
La difesa comunque non punta soltanto sulle eccezioni generali di nullità, ma pone alla Corte anche numerose altre richieste. In sintesi: acquisire il nastro con la registrazione delle accuse fatte dal figlio al padre, nastro che aleggia sul processo; ordinare nuove perizie soprattutto per stabilire con certezza le cause della morte della bambina e sondare le ipotesi di omicidio preterintenzionale (cioè non voluto) e colposo; scartare la testimonianza della “superteste” perché tardiva; annullare i numerosi interrogatori davanti al Pm della moglie e del figlio perché ai due non era stata fatta presente, reiteratamente, la possibilità di astenersi trattandosi di un parente; annullare il sequestro dei capelli e la successiva perizia per la presenza di troppe e strane irritualità presenti nel verbale di repertazione; disporre che la Corte effettui una ricognizione nei luoghi del delitto non potendo farsi un'idea attraverso le parole o i disegni.
Il compromesso. Di fronte a questo “bombardamento” di eccezioni e di fronte alla portata della questione relativa all'incompatibilità di un difensore (questione che era sotto gli occhi di tutti e che però nessuno ha sollevato) può darsi che la Corte (Tarquini presidente, Montinaro a latere, più sei giudici popolari) scelga la via del compromesso.
Né il clamoroso annullamento del processo col rinvio degli atti di nuovo alla Corte d'Assise dell'Aquila, né il rigetto di tutte le eccezioni, ma la “rinnovazione” totale o parziale del dibattimento, riascoltando tutti (o in parte) i testimoni.


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