Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 33
Un saggio di Angelo De Nicola
33. FESTA PER UN ERGASTOLO
18. 3. 1991
Se l'ergastolo sostituisce la pena di morte, la lama della ghigliottina sul collo di Michele Perruzza l'ha fatta scendere l'applauso che, venerdì mattina nell'aula della Corte d'Assise dell'Aquila, ha salutato la sua condanna.
Anzi, la leva della sedia elettrica è stata abbassata nella serata di venerdì a Case Castella, quando il borgo ha festeggiato con mortaretti e qualche fuoco d'artificio la condanna a morte del “mostro di Balsorano”.
Un'esplosione di felicità eccessiva forse spiegabile, non certo da comprendere, per una piccola comunità che ha vissuto come fosse un incubo questi sette mesi da quel 24 agosto.
Una reazione sconcertante che forse racchiude tutte le contraddizioni, le certezze e i dubbi di una tristissima vicenda in cui è difficile parlare di «vittoria», soppesando ed analizzando le certezze (tante) ed i dubbi (non pochi).
Le certezze. L'unica “verità” resta quella che l'assassino di Cristina è in casa Perruzza. La prima confessione del figlio tredicenne del muratore ha chiuso subito la strada alle altre ipotesi.
D'altra parte il paio di mutande con una macchia di sangue risultato poi di Cristina e la canottiera con intrappolati i capelli (strappati) della bambina sono in quella casa.
Inoltre, il muratore è stato inizialmente accusato anche dalla moglie e una messe di contraddizioni, emerse da numerose testimonianze, hanno smentito i Perruzza.
E poi, il muratore non ha un alibi nell'ora presumibile del delitto.
Infine, la sentenza è stata preceduta da importanti decisioni di vari organi giuirisdizionali: il Gip di Avezzano, il Tribunale della Libertà e la Corte di Cassazione che hanno « giudicato» sufficienti e gravi gli indizi per mantenere il muratore in carcere mentre il Tribunale dei Minori chiuse la possibile alternativa prosciogliendo il figlio tredicenne.
I dubbi. Perplessità ha suscitato l'impassibilità di Perruzza. Assente (come pure sua moglie Maria Giuseppa Capoccitti) durante la lettura della sentenza, è stato informato in carcere dai suoi legali.
Non ha battuto ciglio, come ha fatto fin da quando è stato ammanettato con l'infamante accusa di essere il “mostro”.
Perplessità ha suscitato un aspetto della ricostruzione dell'assassinio fatta dal Pm: nella requisitoria il dottor Pinelli s'è spesso sforzato di escludere che l'autore del delitto potesse essere stato il figlio tredicenne per poter così meglio dimostrare che era stato il padre.
E poi, proprio in presenza della drammatica alternativa tra padre e figlio (portata avanti seppur velatamente dai primi legali del muratore, gli avvocati Maccallini) non è ben chiaro perché all'improvviso la moglie di Perruzza abbia scelto come difensore di suo marito l'avvocato Casciere che aveva chiamato per difendere suo figlio. Il cambio, di fatto, ha chiuso il processo perché l'avvocato Casciere che aveva fatto assolvere il figlio non avrebbe potuto (e non lo ha fatto) adombrare l'unica alternativa. Infine, i giudizi dei vari organi giurisdizionali: il Tribunale dei Minori ha deciso di chiudere il caso sulla base dei soli atti e convinzioni del Pm Pinelli che dovevano ancora subire il vaglio del dibattimento, mentre i due giudici della Corte d'Assise (Villani e Como) avevano fatto parte del Tribunale della Libertà e, quindi, in caso di un'eventuale assoluzione, avrebbe in qualche modo smentito la loro precedente decisione. In una parola contro Michele Perruzza ci sono una lunghissima serie di indizi univoci ma non la “prova regina” che avrebbe fugato ogni dubbio.
Gli “inquinamenti”. Se si pretendeva di arrivare alla verità, gli inquinamenti precedenti e durante il processo potrebbero aver definitivamente compromesso l'accertamento di cosa accade. Ad ingarbugliare le acque hanno contribuito tutti.
Nessuno escluso. Compresa la stampa.
Ma soprattutto ci ha pensato Maria Giuseppa Capoccitti che ha detto tutto e il contrario di tutto. Lei, che sa tutta la verità e forse non l'ha detta a nessuno, ha accusato il marito. Ha ritrattato dicendo di essere stata costretta. Ha contribuito ad adombrare sospetti sul figlio. Ha testimoniato al processo che s'era sbagliata perché sotto choc. E Maria Giuseppa, ancora l'altro ieri sera, ha tentato di ingarbugliare ulteriormente le acque in una intervista al TG2 nella quale è stata capace di dire: «La colpa se il padre è in galera è tutta di mio figlio».
Almeno sette sono state le versioni di una donna definita «diabolica». «Il suo comportamento - diceva ieri Don Mario De Ciantis, parroco di Ridotti di Balsorano - ha disgustato l'opinione pubblica. Io glielo avevo detto: il silenzio, in questi casi drammatici, è l'unica via».
Gli sconfitti. Ne restano molti. I genitori di Cristina a cui nessuna condanna e nessun risarcimento danni potrà ridare la loro bambina e la serenità; il figlio tredicenne di Perruzza che non si riprenderà mai da questa vicenda; gli abitanti di Case Castella che ingenuamente credono di “liberarsi” del mostro prendendosela con la sua famiglia e con i suoi figli incolpevoli; chi ha pensato di interpretare con i propri occhi e con la propria cultura una vicenda che è invece figlia di un ambito sociale “particolare” che pochissimi si sono sforzati di analizzare e comprendere.
Ora si va in appello. I legali di Perruzza, dopo aver parlato di «sentenza annunciata», hanno già preannunciato l'appello: se ne riparlerà tra qualche mese.
Nel frattempo Perruzza è tornato nel carcere di Pesaro, mentre Maria Giuseppa Capoccitti e i tre figli hanno già detto che lasceranno Case Castella.
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