Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 2
Un saggio di Angelo De Nicola
2. IL CERCHIO SI STRINGE IN PAESE
26. 8. 1990
Biancaneve se ne è andata in una piccola bara bianca, candida come è nata. La piccola Cristina Capoccitti, la bambina trovata completamente nuda, uccisa in un fossato di Case Castella di Balsorano, non ha subito violenza carnale: lo ha accertato l'autopsia andata avanti per ore presso l'obitorio dell'ospedale di Avezzano e conclusa soltanto intorno all'una e mezzo della nottata tra venerdì e ieri dall'esperto giunto da Roma, professor Sacchetti. Non è stata violentata: un po' a sorpresa, ma con non nascosto sollievo, gli inquirenti hanno appreso il responso dell'esame autoptico su un assassinio che comunque, a loro giudizio, è «inequivocabilmente a sfondo sessuale, con un indubbio tentativo di violenza carnale».
Un tentativo, appunto. La piccola Biancaneve col suo assassino ci stava forse « giocando». Un giochetto innocente per una bambina, che però all'improvviso deve essersi trasformato in qualcosa che le ha messo paura. Ha cercato di fermare il suo amico minacciandolo di dire tutto. Ha tentato di gridare. Di chiamare aiuto. Di fermare il suo compagno di “giochi” che invece, con una forte stretta della mano alla gola, l'ha soffocata. Non l'ha fatta urlare, in un posto così vicino alla strada comunale e a due passi da casa Capoccitti. L'ha trascinata, forse scaraventandola contro una grossa pietra e poi l'ha nascosta nel fossato tra la fittissima boscaglia dove solo i cani la troveranno all'alba di venerdì.
Tutta questa ricostruzione, azzardata assemblando tanti piccoli tasselli, si basa su un fatto che gli inquirenti danno ormai per certo: la piccola conosceva bene il suo assassino. Era ragazzina troppo furba, più grande della sua età, paurosa anche del buio, matura e che non si sarebbe fidata di un estraneo: su questo genitori e paesani ci mettono la mano sul fuoco. Forse l'ha addirittura avvicinata un parente, anche se tra quelle venti famiglie di Case Castella in pochi non sono legati tra loro da qualche vincolo. Qualcuno col quale aveva « giocato» anche altre volte. Lo lascerebbe pensare il fatto che sul suo corpicino, esclusi i graffi alla schiena provocati dal contatto con la siepe e forse dal trascinamento, l'autopsia non ha evidenziato alcun segno «strano». A parte i vestiti rimasti intatti, se le mutandine fossero state strappate dal bruto, l'esame autoptico l'avrebbe evidenziato. Invece, il solo segno di violenza ha evidenziato l'autopsia è sulla boccuccia: la mano dell'assassino ha cercato di seppellire per sempre un segreto che forse stava per essere svelato.
Pista locale, anzi paesana. Il sostituto procuratore della Repubblica di Avezzano, dottor Mario Pinelli, che coordina i molti carabinieri al comando del maggior Annichiarico, altrettanti agenti del Commissariato di Avezzano del dottor Bartoli nonché la Squadra mobile dell'Aquila del dottor Cerasoli, appare convinto. Tanto da aver quasi scartato l'ipotesi del bruto forestiero. Scelta come quartiere generale l'abitazione di un carabiniere a Case Castella (proprio di fronte a casa Capoccitti), il magistrato ha cominciato a “torchiare” tutti. Tutto il paese praticamente. Ognuno viene ascoltato, casa per casa, o dal magistrato o da qualche inquirente. Poi a tavolino, si fanno i cosiddetti controlli “incrociati” tra le varie testimonianze e dichiarazioni.
Forse proprio per l'emergere di qualche contraddizione, il cerchio dei sospetti si è stretto sempre di più. Prima quattro persone. Quindi addirittura due. E cioè, un giovane, nemmeno venti anni, cugino della vittima abitante vicino casa Capoccitti e un pastore, sulla cinquantina. Entrambi forse hanno anche partecipato alle ricerche quando Biancaneve era scomparsa, per deviare i sospetti.
Entrambi, ieri pomeriggio, erano più o meno in evidenza ai funerali della piccola. Ieri, dentro e fuori la chiesa di S. Maria dei Sassi di Ridotti, c'era tanta gente sotto un sole spaccapietre, venuta da tutta la Valle Roveto. Amici, conoscenti, giornalisti, fotografi, cineoperatori, personalità, curiosi, inquirenti. Ma anche chi è venuto a Case Castella per spigolare sulle ultime novità delle indagini perché ha paura. Paura alimentata dall'orrenda fine di Cristina, dal fatto che ormai tutti pensino di camminare gomito a gomito col bruto e di dover temere per i propri figli, il ricordo ancora vivo dell'impunito delitto nella non lontana San Donato di Tagliacozzo, la voce di un « maniaco della Marsica» alimentano la paura.
Tutti sperano che l'incubo finisca presto. Tutti si mettono a disposizione per collaborare. Tutti vogliono il mostro. E gli inquirenti danno l'impressione di voler dare risposte subito, prima che l'assassino, freddo e calcolatore già negli attimi successivi al brutale soffocamento della piccola, acquisti sempre più coraggio, prima che il passare del tempo (come è avvenuto nel caso di San Donato), cancelli gli indizi, prima che qualcuno, in un clima che in paese si fa di ora in ora sempre più teso, faccia qualche fesseria.
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