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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 13

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



13. NUOVO “NO” PER LA DIFESA
13. 10. 1990



«Si stringe il cerchio: ora speriamo che finisca questa sceneggiata montata sul
brutale assassinio di una bimba di 7 anni gettata in un fosso che troppi stanno
dimenticando». L'avvocato Giancarlo Paris che è stato nominato (insieme con il
collega Antonio Milo) dalla famiglia della piccola Cristina quale “parte offesa”, ha
appena appreso la decisione del Tribunale della Libertà dell'Aquila che ha rigettato
l'istanza di scarcerazione di Michele Perruzza. «Anche per i giudici aquilani ci sono
gravi indizi - commenta il legale all'uscita del Palazzo di Giustizia aquilano nella
tarda mattinata di ieri - non vediamo, perciò, quale utilità possano avere certe mosse a
sorpresa, come la richiesta della difesa di ripetere l'autopsia».
Una notizia questa che ha gettato nello sconforto la famiglia di Cristina che
invece, dopo quanto è accaduto, chiede soltanto di essere lasciata in pace, guardando
con sgomento l'eventualità che possa essere addirittura riesumata la salma posta in
quella minuscola bara bianca».
Perruzza resta in carcere. La pubblica accusa e la “parte offesa” hanno tirato un
sospiro di sollievo dopo la decisione presa dal Tribunale aquilano (Villani presidente,
Como e Pace giudici) di rigettare l'appello proposto dalla difesa del muratore
(avvocati Carlo e Mario Maccallini e Roberto Marino) contro il precedente “no” del
Gip di Avezzano all'istanza di scarcerazione.
Al termine di un pur sommario “processo”, l'accusa ha avuto infatti la
conferma che gli indizi a carico di Perruzza sono, al momento, «sufficienti e gravi»
come la legge richiede per poter restringere la libertà di una persona: questa almeno è
stata la valutazione di un collegio di tre giudici estranei alle indagini e alle tensioni di
queste.
Nell'ordinanza, a quanto è trapelato, il Tribunale si è sostanzialmente attenuto
alle motivazioni del Gip di Avezzano. Ha quindi dato credito, in sintonia col Pubblico
ministero, da una parte alle accuse del figlio tredicenne e della moglie dell'indagato e,
dall'altra, alle risultanze della analisi della Criminalpol sugli indumenti sequestrati
nell'abitazione del muratore che hanno evidenziato la presenza, dopo l'esame del Dna,
di capelli di Cristina sulla canottiera e la presenza di sangue della vittima su un paio
di mutande rinvenute fuori la finestra del bagno di casa Perruzza. Poiché sussiste il
pericolo di inquinamento delle prove e vista la gravità del fatto e la presunta
pericolosità del soggetto, è stato ribadito che Perruzza non può ottenere nemmeno gli
arresti domiciliari.
Sotto questo aspetto si tratta di una decisione importante. Importante,
naturalmente, anche se non determinante come si sono affrettati a spiegare anche gli
avvocati difensori: «L'ordinanza del Tribunale della Libertà non ci ha sorpreso -
hanno commentato i Maccallini - anche perché è scaturita dopo l'esame di uno
spaccato, limitato, di quei pochi atti che il Pubblico ministero ha ritenuto di dover
presentare».
Ma per la difesa, quella davanti al Tribunale della Libertà ha, in ogni caso,
rappresentato un'occasione per far emergere certi dubbi, primo tra i quali la
convinzione che non reggerebbe la ricostruzione del delitto fatta dall'accusa sulla
base della testimonianza del figlio tredicenne di Perruzza.
Il ragazzino ha cambiato troppe volte versione per essere attendibile: prima si è
autoaccusato, poi ha raccontato di aver visto il padre recarsi nel boschetto con
Cristina dove l'ha colpita con una grossa pietra e strangolata; quindi, si è corretto
nuovamente dicendo che il padre aveva solo spinto sua cugina sulla pietra. Tutte
versioni che l'autopsia smentirebbe, su basi oggettive secondo la difesa, visto che
esclude il tentativo di violenza carnale e non stabilisce con certezza se la causa della
morte sia stato lo strangolamento, di cui peraltro non ci sarebbero evidenti segni sul
collo della bimba. Di qui la richiesta di ripetere l'autopsia. Ma dubbi vengono
sollevati anche sulle perizie e sui metodi di accertamento seguiti e sulle mutande
macchiate di sangue. Tutti dubbi da chiarire. Nel frattempo Perruzza resta in carcere.



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