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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 106

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



106. «SPOSTATE IL CASO PERRUZZA A PERUGIA»
8. 3. 1998



Un giudice che si è occupato di un processo deve astenersi dal valutare gli sviluppi di quello stesso processo. Detta così potrebbe sembrare una regola, tecnica e morale, scontata. Invece non è così. Tanto che i difensori di Michele Perruzza (avvocati Cecchini, De Vita e Maccallini) hanno dovuto presentare apposita richiesta.
Un’istanza di astensione nella quale si chiede al Procuratore generale (Pg) presso al Corte d’Appello dell’Aquila, Bruno Tarquini, di astenersi dal valutare la sentenza dell’ormai noto “processo-satellite” tenutosi davanti al Tribunale di Sulmona.
La questione è complicata. Tarquini fu il presidente della Corte d’Assise di secondo grado che, il 29 novembre ’91, confermò la condanna all'ergastolo contro Michele.
Nelle motivazioni di quella sentenza, il “relatore” Tarquini spiegò che Perruzza era colpevole perché lo inchiodavano le dichiarazioni del figlio Mauro. Il ragazzo, dopo essere stato giudicato «completamente inattendibile come teste» nel processo di primo grado, in Appello raccontò di aver visto il padre uccidere la cuginetta dal famoso capanno. In questo caso, la testimonianza del ragazzo venne ritenuta non solo attendibile ma fondamentale.
Ora, il processo di Sulmona ha dimostrato, attraverso due perizie d'ufficio, che Mauro è inattendibile perché dal capanno, all’ora del delitto, non si poteva vedere nulla perché era buio e perché il paio di slip (indossati dall’assassino poiché risultati macchiati del sangue di Cristina) all’esame del Dna sono stati ritenuti appartenenti al ragazzo e non al genitore.
In base a queste nuove prove, la difesa di Michele sta per intraprendere la strada della “revisione del processo” principale. Ma su questa strada c’è ancora Tarquini, nel frattempo diventato Pg.
Quale “super Pubblico ministero”, al Pg tocca “vistare” tutte le sentenze del Distretto abruzzese: in sostanza può interporre o meno appello. Non solo, al Pg tocca rappresentare la pubblica accusa davanti alla Corte d'Appello chiamata a valutare l'istanza di revisione.
Ebbene, per un caso unico in Italia, lo stesso giudice che fece condannare un imputato all'ergastolo ora si trova a deciderne ancora le sorti. Con quale serenità, si chiede la difesa di Michele? Tanto più, scrivono gli avvocati nell’istanza, che le dichiarazioni di Tarquini alla stampa («Aspetto gli atti -ha detto- prima di decidere») e «l’atteggiamento tenuto dal Pg durante e dopo il processo satellite ha suscitato e suscita le vive apprensioni della difesa».
Di qui l'istanza ad astenersi rivolta al Pg Tarquini ed a tutto l’ufficio della Procura generale abruzzese visto che la particolarissima situazione «in cui si è venuto giocoforza a trovare il capo dell'ufficio, non possono non coinvolgere anche i suoi immediati collaboratori indiscutibilmente condizionati dall’eguale comprensibile disagio spirituale e culturale».
Istanza di ricusazione rivolta anche al Pg presso la Cassazione (che sovrintende a tutte le Procure generali italiane) affinché accolga la dichiarazione di astensione di Tarquini e dei suoi sostituti e conseguentemente designi un altro Pm della Procura generale di Perugia. Decisione che, di fatto, sposterebbe tutto il caso Perruzza a Perugia.


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