La Missione di Celestino - Capitolo 22
Un romanzo di Angelo De Nicola
Il corteo storico uscì puntuale dal Municipio. Persino con qualche minuto di anticipo. Tutto filò liscio lungo le strade semideserte del centro. La città sembrò senza tempo, surreale, mistica.
Il signor Giacomo, con ricetrasmittente in una mano e telefonino nell’altra, seguì tutti i passaggi. Quello più delicato fu l’atterraggio dei due elicotteri. Tutto ok. I tempi, provati e riprovati, erano in quel momento perfettamente sincronizzati.
Un boato di un numero incalcolabile di persone, assiepate ovunque, accolse il Papa che, in piedi a bordo della “papamobile”, dopo aver ripetuto in tutte le direzioni il gesto della benedizione con la mano destra chiusa nelle sue ultime due dita, fece una genuflessione al cospetto della Bolla mandando in visibilio la folla. Quindi, l’auto blindata dotata di una cupola di vetri antiproiettile spessi quasi tre centimetri, si dispose dietro la Dama e il Giovin signore.
Cominciavano i duecentotrentasette passi più insidiosi della Storia della Chiesa moderna, sulla stessa traccia di quelli, a dorso di un asinello, compiuti oltre settecento anni prima da Celestino V. Il mini-corteo sfilava col Papa. E più sfilava, più nel signor Giacomo saliva alta la preoccupazione.
Stava andando tutto liscio. Troppo liscio. Se chi l’aveva tenuto in scacco per sei giorni, era proprio chi in cuor suo ipotizzava, l’azione clamorosa era certa.
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Cento passi (li aveva contati, uno ad uno, quasi all’unisono coi battiti del cuore che sentiva in gola) erano stati fatti. Niente accadeva (per fortuna).
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Mancavano venti passi al palco. Niente accadeva (per fortuna).
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Il Papa arrivò ai piedi del palco, blindato anche con una veranda di vetri speciali dietro i quali avrebbe tenuto l’attesissimo discorso. Si fece silenzio. Un silenzio irreale. La voce nel Papa rimbombò dagli altoparlanti:
“Carissimi fratelli e sorelle, è una gioia per me trovarmi con voi in questo scenario stupendo, dove la basilica di Collemaggio sembra essere stata costruita dalla mano dell’uomo per esprimere in una magnifica sintesi di arte e di preghiera ciò che la contemplazione delle vostre montagne suscita nel cuore: il senso dell’infinito, il verticalismo della vita, lo splendore di Dio, riflesso nel creato...”.
«Non so perché, ma ho la sensazione di aver già sentito queste parole» sussurrò il sovrintendente al signor Giacomo che gli si era avvicinato.
«Pensi a tenere gli occhi aperti. Ci siamo...»
“Nel 1294 – declamava il Papa – l’elezione a successore di Pietro dell’ormai canuto Pietro Angelerio da Isernia, monaco eremita del monte Morrone, veniva accolta con intensa emozione dalla cristianità, che vedeva ascendere alla guida spirituale dell’Occidente, un sant’uomo universalmente venerato quale continuatore della missione e del rinnovamento evangelico ispirato a San Francesco d’Assisi. Pietro, che per il suo pontificato aveva scelto il nome di Celestino, ritenendosi indegno di fronte alle responsabilità del governo della Chiesa, restò Papa per meno di sei mesi...».
«Casomai meno di cinque mesi» esclamò il sovrintendente.
«Faccia silenzio!» lo rimproverò il signor Giacomo.
“...Egli preferì il ritorno all’umiltà della vita eremitica tra le montagne d’Abruzzo, imponendosi al mondo quale autore delle più clamorose e uniche dimissioni nella storia della Chiesa. Il Papa che ‘fece il gran rifiuto’, scrisse il sommo poeta Dante Alighieri....”
«Ancora con questa storia di Dante...».
«Ma le sembra il momento di stare a pontificare... Stia zitto e occhi aperti, piuttosto».
“...San Pietro Celestino – continuò il Papa dopo una breve pausa – legò per sempre la sua memoria alla storia di questa città, dove il 29 agosto 1294 aveva ricevuto la tiara in questa basilica di Santa Maria di Collemaggio che egli stesso aveva voluto innalzare e nella quale si venera la reliquia del suo corpo. Celestino V, incoronato Papa, concesse una particolare indulgenza: la Perdonanza. Il clima di pacificazione, radicatosi in questa terra grazie alla presenza fisica del Papa, fu esaltato dalla concessione del Perdono di fine agosto. La Bolla, da sempre gelosamente custodita dalla municipalità, reca la data del 29 settembre 1294. La rinuncia al Male e al Peccato, il dono dell’Indulgenza, la pratica del Bene verso i fratelli riassumono i significati della Perdonanza! In un tempo nel quale i preziosissimi benefici indulgenziali erano privilegio quasi esclusivo dei ricchi, la Perdonanza di Celestino V apparve come un dono rivoluzionario, essendo essa rivolta soprattutto alle masse dei diseredati. Il Perdono di Celestino, infatti, richiedeva soltanto la ricchezza di un autentico slancio spirituale attraverso il pentimento delle colpe e la riconciliazione sacramentale, espressa con la visita a Collemaggio fra la sera del 28 agosto e la sera del 29. La consuetudine di un periodico Anno Santo, che Papa Bonifacio VIII avrebbe introdotto con cadenza venticinquennale nel 1300...”.
«Questo è troppo! Centenario, centenario altro che venticinquennale fu il primo Giubileo introdotto da Bonifacio VIII».
«Ma chi è lei per criticare il Papa! Sovrintendente stia zitto e tenga gli occhi aperti».
“... Trovava così, la sua prima fondazione ecclesiale qui, dove ininterrottamente dal 1295 quelle ventiquattrore di fine agosto offrono un breve ma annuale Giubileo, unico al mondo. Giubileo il cui emozionante richiamo continua a manifestarsi tuttora e a costituire una festosa occasione per proclamare l’universale sete di Misericordia iscritta nel cuore di ogni uomo. Questa città è stata la culla dei giubilei della Chiesa universale...”.
«Così va meglio!».
«Stia zitto, zitto... non è il momento...».
“... Non è difficile riconoscere e ravvisare in Papa Celestino V l’interprete autentico dell’aspirazione alla Pace della travagliata società tardo medioevale. E questo ce lo fa sentire vicino. Potremmo, con fondati motivi, conferirgli la carta di cittadinanza della nostra età e, perciò, indicarlo come un Papa nostro contemporaneo. Celestino V assurge alla statura di un autentico maestro dello Spirito, in quanto egli stesso, umile ricercatore della pace interiore, intraprende un cammino di ascesa personale fino alle aspre solitudini dei monti abruzzesi, dove insegue la pacificazione dello Spirito. È tutta qui la portata magisteriale della Perdonanza celestiniana: nella ricerca di quella Pace vera che comincia dall’intimo del nostro spirito. Di essa, sapientemente, l’Alighieri dice ‘Pace che il mondo irride/ ma che rapir non puote’...”
«È uno scandalo! Il verso è del Manzoni, nella Pentecoste, non dell’Alighieri. E peraltro recita: “che rapir non può”» esplose di nuovo il sovrintendente.
«Basta! Lei è in preda ad un delirio di onnipotenza. Qui sta per finire il mondo è lei pensa ai versi del Manzoni?».
“...Il vostro conterraneo, Ignazio Silone, parla di Celestino V come dell’‘Avventura di un povero cristiano’. Sì, perché la ricerca della Pace appartiene alla speranza avventurosa di ogni cristiano. Al tempo di Celestino V sopravviveva ancora, debole e svuotata di contenuti, quella celebre tregua di Dio che nel contesto medioevale aveva significato una compromissoria ricerca di pacificazione sia delle fazioni interne alle città sia delle divisioni nei territori più estesi dell’impero, dove si consumavano lotte strenue per le rivendicazioni dei poteri. In questo contesto la Perdonanza celestiniana, allargata ad ogni genere di persone, e l’Indulgenza, non più oggetto di mercimonio, valsero a esprimere quel senso di gratuità della Grazia e del Perdono che noi sperimentiamo come Misericordia. Essa è il vero cuore del Vangelo che sempre dobbiamo ascoltare. Ce lo insegnano i Santi. Penso, fra molti, alla piccola grande Teresa di Lisieux, oggi dottore della Chiesa, quando dice: ‘Preferisco essere debole piuttosto che forte perché i forti il Signore li lascia camminare da soli, mentre i deboli se li prende in braccio’. Giunge a noi, carissimi, chiara, forte e attuale la proposta di Celestino V: solo Cristo può rendere ai nostri cuori la Misericordia, il Perdono e la Pace. Ecco, cari fratelli e sorelle, l’invito di Celestino: non le ricchezze di qualsiasi genere ma semplicemente la Misericordia e il Perdono, per coloro che si pentono sinceramente, sono il pegno di un cuore nuovo e felice. Quel vecchio eremita ottantenne che parlò nel 1294 continua a dirci una verità antica e sempre nuova: la Misericordia e il Perdono sono le premesse della Pace. Ce lo ha ricordato anche Giovanni Paolo II: ‘Il mondo degli uomini potrà divenire sempre più umano solo quando in tutti i rapporti reciproci introdurremo il Perdono... il quale attesta che nel mondo è presente l’amore, più potente del peccato’. Accogliamo questo messaggio di Celestino V e viviamolo in profondità sia a livello personale che sociale. Soltanto così collaboreremo efficacemente alla costruzione di un mondo più umano e perciò stesso, più cristiano; di un mondo di Riconciliazione e di Pace tra gli uomini e tra i popoli. Quel mondo, appunto, che sognava Celestino V”.
Dalla folla partì un applauso che sarebbe durato oltre tre, interminabili, minuti.
«Bello, bello, un inno a Celestino. A parte gli strafalcioni...» sentenziò il sovrintendente.
«Lei è pazzo!».
«Questo discorso sancisce il recupero, da parte della Chiesa, del vero messaggio celestiniano. Pensi che Giovanni Paolo II, proprio qui, su questo stesso sagrato, in una famosa omelia in occasione del seicentenario della nascita di San Bernardino da Siena, non degnò nemmeno della citazione del nome l’Eremita del Morrone, suo predecessore e per giunta gerarchicamente a lui superiore in quanto Santo. Salvo poi ad andare ad inginocchiarsi, in forma privata, davanti al Mausoleo. Una dimenticanza fin troppo significativa».
«Lei è un invasato! Occhi aperti, per carità. Ci siamo».
Il signor Giacomo, con ricetrasmittente in una mano e telefonino nell’altra, seguì tutti i passaggi. Quello più delicato fu l’atterraggio dei due elicotteri. Tutto ok. I tempi, provati e riprovati, erano in quel momento perfettamente sincronizzati.
Un boato di un numero incalcolabile di persone, assiepate ovunque, accolse il Papa che, in piedi a bordo della “papamobile”, dopo aver ripetuto in tutte le direzioni il gesto della benedizione con la mano destra chiusa nelle sue ultime due dita, fece una genuflessione al cospetto della Bolla mandando in visibilio la folla. Quindi, l’auto blindata dotata di una cupola di vetri antiproiettile spessi quasi tre centimetri, si dispose dietro la Dama e il Giovin signore.
Cominciavano i duecentotrentasette passi più insidiosi della Storia della Chiesa moderna, sulla stessa traccia di quelli, a dorso di un asinello, compiuti oltre settecento anni prima da Celestino V. Il mini-corteo sfilava col Papa. E più sfilava, più nel signor Giacomo saliva alta la preoccupazione.
Stava andando tutto liscio. Troppo liscio. Se chi l’aveva tenuto in scacco per sei giorni, era proprio chi in cuor suo ipotizzava, l’azione clamorosa era certa.
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Cento passi (li aveva contati, uno ad uno, quasi all’unisono coi battiti del cuore che sentiva in gola) erano stati fatti. Niente accadeva (per fortuna).
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Mancavano venti passi al palco. Niente accadeva (per fortuna).
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Il Papa arrivò ai piedi del palco, blindato anche con una veranda di vetri speciali dietro i quali avrebbe tenuto l’attesissimo discorso. Si fece silenzio. Un silenzio irreale. La voce nel Papa rimbombò dagli altoparlanti:
“Carissimi fratelli e sorelle, è una gioia per me trovarmi con voi in questo scenario stupendo, dove la basilica di Collemaggio sembra essere stata costruita dalla mano dell’uomo per esprimere in una magnifica sintesi di arte e di preghiera ciò che la contemplazione delle vostre montagne suscita nel cuore: il senso dell’infinito, il verticalismo della vita, lo splendore di Dio, riflesso nel creato...”.
«Non so perché, ma ho la sensazione di aver già sentito queste parole» sussurrò il sovrintendente al signor Giacomo che gli si era avvicinato.
«Pensi a tenere gli occhi aperti. Ci siamo...»
“Nel 1294 – declamava il Papa – l’elezione a successore di Pietro dell’ormai canuto Pietro Angelerio da Isernia, monaco eremita del monte Morrone, veniva accolta con intensa emozione dalla cristianità, che vedeva ascendere alla guida spirituale dell’Occidente, un sant’uomo universalmente venerato quale continuatore della missione e del rinnovamento evangelico ispirato a San Francesco d’Assisi. Pietro, che per il suo pontificato aveva scelto il nome di Celestino, ritenendosi indegno di fronte alle responsabilità del governo della Chiesa, restò Papa per meno di sei mesi...».
«Casomai meno di cinque mesi» esclamò il sovrintendente.
«Faccia silenzio!» lo rimproverò il signor Giacomo.
“...Egli preferì il ritorno all’umiltà della vita eremitica tra le montagne d’Abruzzo, imponendosi al mondo quale autore delle più clamorose e uniche dimissioni nella storia della Chiesa. Il Papa che ‘fece il gran rifiuto’, scrisse il sommo poeta Dante Alighieri....”
«Ancora con questa storia di Dante...».
«Ma le sembra il momento di stare a pontificare... Stia zitto e occhi aperti, piuttosto».
“...San Pietro Celestino – continuò il Papa dopo una breve pausa – legò per sempre la sua memoria alla storia di questa città, dove il 29 agosto 1294 aveva ricevuto la tiara in questa basilica di Santa Maria di Collemaggio che egli stesso aveva voluto innalzare e nella quale si venera la reliquia del suo corpo. Celestino V, incoronato Papa, concesse una particolare indulgenza: la Perdonanza. Il clima di pacificazione, radicatosi in questa terra grazie alla presenza fisica del Papa, fu esaltato dalla concessione del Perdono di fine agosto. La Bolla, da sempre gelosamente custodita dalla municipalità, reca la data del 29 settembre 1294. La rinuncia al Male e al Peccato, il dono dell’Indulgenza, la pratica del Bene verso i fratelli riassumono i significati della Perdonanza! In un tempo nel quale i preziosissimi benefici indulgenziali erano privilegio quasi esclusivo dei ricchi, la Perdonanza di Celestino V apparve come un dono rivoluzionario, essendo essa rivolta soprattutto alle masse dei diseredati. Il Perdono di Celestino, infatti, richiedeva soltanto la ricchezza di un autentico slancio spirituale attraverso il pentimento delle colpe e la riconciliazione sacramentale, espressa con la visita a Collemaggio fra la sera del 28 agosto e la sera del 29. La consuetudine di un periodico Anno Santo, che Papa Bonifacio VIII avrebbe introdotto con cadenza venticinquennale nel 1300...”.
«Questo è troppo! Centenario, centenario altro che venticinquennale fu il primo Giubileo introdotto da Bonifacio VIII».
«Ma chi è lei per criticare il Papa! Sovrintendente stia zitto e tenga gli occhi aperti».
“... Trovava così, la sua prima fondazione ecclesiale qui, dove ininterrottamente dal 1295 quelle ventiquattrore di fine agosto offrono un breve ma annuale Giubileo, unico al mondo. Giubileo il cui emozionante richiamo continua a manifestarsi tuttora e a costituire una festosa occasione per proclamare l’universale sete di Misericordia iscritta nel cuore di ogni uomo. Questa città è stata la culla dei giubilei della Chiesa universale...”.
«Così va meglio!».
«Stia zitto, zitto... non è il momento...».
“... Non è difficile riconoscere e ravvisare in Papa Celestino V l’interprete autentico dell’aspirazione alla Pace della travagliata società tardo medioevale. E questo ce lo fa sentire vicino. Potremmo, con fondati motivi, conferirgli la carta di cittadinanza della nostra età e, perciò, indicarlo come un Papa nostro contemporaneo. Celestino V assurge alla statura di un autentico maestro dello Spirito, in quanto egli stesso, umile ricercatore della pace interiore, intraprende un cammino di ascesa personale fino alle aspre solitudini dei monti abruzzesi, dove insegue la pacificazione dello Spirito. È tutta qui la portata magisteriale della Perdonanza celestiniana: nella ricerca di quella Pace vera che comincia dall’intimo del nostro spirito. Di essa, sapientemente, l’Alighieri dice ‘Pace che il mondo irride/ ma che rapir non puote’...”
«È uno scandalo! Il verso è del Manzoni, nella Pentecoste, non dell’Alighieri. E peraltro recita: “che rapir non può”» esplose di nuovo il sovrintendente.
«Basta! Lei è in preda ad un delirio di onnipotenza. Qui sta per finire il mondo è lei pensa ai versi del Manzoni?».
“...Il vostro conterraneo, Ignazio Silone, parla di Celestino V come dell’‘Avventura di un povero cristiano’. Sì, perché la ricerca della Pace appartiene alla speranza avventurosa di ogni cristiano. Al tempo di Celestino V sopravviveva ancora, debole e svuotata di contenuti, quella celebre tregua di Dio che nel contesto medioevale aveva significato una compromissoria ricerca di pacificazione sia delle fazioni interne alle città sia delle divisioni nei territori più estesi dell’impero, dove si consumavano lotte strenue per le rivendicazioni dei poteri. In questo contesto la Perdonanza celestiniana, allargata ad ogni genere di persone, e l’Indulgenza, non più oggetto di mercimonio, valsero a esprimere quel senso di gratuità della Grazia e del Perdono che noi sperimentiamo come Misericordia. Essa è il vero cuore del Vangelo che sempre dobbiamo ascoltare. Ce lo insegnano i Santi. Penso, fra molti, alla piccola grande Teresa di Lisieux, oggi dottore della Chiesa, quando dice: ‘Preferisco essere debole piuttosto che forte perché i forti il Signore li lascia camminare da soli, mentre i deboli se li prende in braccio’. Giunge a noi, carissimi, chiara, forte e attuale la proposta di Celestino V: solo Cristo può rendere ai nostri cuori la Misericordia, il Perdono e la Pace. Ecco, cari fratelli e sorelle, l’invito di Celestino: non le ricchezze di qualsiasi genere ma semplicemente la Misericordia e il Perdono, per coloro che si pentono sinceramente, sono il pegno di un cuore nuovo e felice. Quel vecchio eremita ottantenne che parlò nel 1294 continua a dirci una verità antica e sempre nuova: la Misericordia e il Perdono sono le premesse della Pace. Ce lo ha ricordato anche Giovanni Paolo II: ‘Il mondo degli uomini potrà divenire sempre più umano solo quando in tutti i rapporti reciproci introdurremo il Perdono... il quale attesta che nel mondo è presente l’amore, più potente del peccato’. Accogliamo questo messaggio di Celestino V e viviamolo in profondità sia a livello personale che sociale. Soltanto così collaboreremo efficacemente alla costruzione di un mondo più umano e perciò stesso, più cristiano; di un mondo di Riconciliazione e di Pace tra gli uomini e tra i popoli. Quel mondo, appunto, che sognava Celestino V”.
Dalla folla partì un applauso che sarebbe durato oltre tre, interminabili, minuti.
«Bello, bello, un inno a Celestino. A parte gli strafalcioni...» sentenziò il sovrintendente.
«Lei è pazzo!».
«Questo discorso sancisce il recupero, da parte della Chiesa, del vero messaggio celestiniano. Pensi che Giovanni Paolo II, proprio qui, su questo stesso sagrato, in una famosa omelia in occasione del seicentenario della nascita di San Bernardino da Siena, non degnò nemmeno della citazione del nome l’Eremita del Morrone, suo predecessore e per giunta gerarchicamente a lui superiore in quanto Santo. Salvo poi ad andare ad inginocchiarsi, in forma privata, davanti al Mausoleo. Una dimenticanza fin troppo significativa».
«Lei è un invasato! Occhi aperti, per carità. Ci siamo».
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