La Missione di Celestino - Capitolo 21
Un romanzo di Angelo De Nicola
A Dio piacendo, venne il 28 agosto. Il signor Giacomo, che aveva passato un’altra nottata insonne, aprì la finestra dell’ufficio-bunker del sovrintendente per godersi quell’aria fresca del primo mattino che ormai, da tre mesi, aveva imparato ad apprezzare. Un cielo terso, il cielo più terso che gli sembrava di aver mai visto, si stagliava sullo sfondo di uno splendido panorama di tetti intersecantisi tra di loro.
«Amico mio, ci siamo! Se tutto fila liscio, giuro caro il mio sovrintendente, me ne vengo a vivere qui. Un posto in Questura me lo danno».
«Sì, addetto alla fornitura...di genziana».
«Ingeneroso, falso e pure offensivo».
«Che fa, s’è fatto contagiare dalla permalosaggine tipica di questa città?».
«Caustico, caustico. Così definirei chi abita in questo posto. Ma permaloso».
«Lasciamo perdere l’antropologia. Piuttosto facciamo il punto».
«Il punto? Da ieri sera non facciamo altro che mettere punti... Non vivo più da tre mesi, maledetto quel giorno!».
«L’affermazione sfiora la bestemmia».
«No, non ce l’ho col Santo Padre. In fondo questa sua scelta me lo rende persino simpatico. Venire qui ad onorare, per la prima volta nella Storia, l’unico Papa che si sia dimesso, è davvero un gesto dal significato eccezionale. Mi chiedo perché nessun pontefice lo abbia fatto prima. Farlo oggi, in questo clima di guerra che si respira nel mondo, ha sicuramente dato al gesto un ulteriore significato. L’omaggio al Papa della Pace, al Papa del Perdono».
«Vedo che il soggiorno le ha giovato allo spirito. Nessuno s’è mai filato prima Celestino V perché questo povero cristiano è stato un personaggio scomodo, da rimuovere piuttosto che onorare: strano che lo abbiano fatto Santo».
«Eppure il suo messaggio è attualissimo».
«Il fatto è che non ne hanno voluto ascoltare la voce, quella voce che gli uomini di Chiesa, almeno quelli illuminati, conoscevano e conoscono di sicuro».
«Chissà, forse quel suo gesto di rinunciare. Di arrendersi...».
«Ma quale rinuncia, quale resa! Quella è stata la più grande vittoria di Celestino. Proprio quella voce non si è voluto ascoltare».
«Una tesi singolare...».
«Ma rifletta un attimo. Nell’epoca in cui essere eletto Papa significa ancora di più diventare un sovrano, un imperatore, questo Eremita in odore di santità decide di vivere Gesù Cristo in terra. Rinuncia ad andare a Roma, nella principesca Curia vaticana. Va a Napoli, ospite di Carlo II d’Angiò, ma alloggia in uno scantinato della reggia e non nella lussuosa residenza assegnatagli. Il suo pasto era pane e acqua, altro che libagioni. La vita di Gesù messa in pratica senza concessioni di sorta. Il sistema non poteva gradire. La Curia aveva le sue regole. I cardinali, tutti aristocratici, erano e si sentivano dei principi. Gli fecero capire che così proprio non poteva andare. Anche per questo lui prese la sua decisione: non sarebbe mai stato un principe».
«D’accordo. Ma poteva cercare di combattere, di cacciare i mercanti fuori dal tempio. Invece, cosa fa? Il “gran rifiuto”...».
«Chi fa questa osservazione non conosce lo spirito di Celestino V. Lui non avrebbe mai usato gli stessi metodi dei suoi nemici. Non si sarebbe mai opposto alla violenza con la violenza, alle scomuniche con le scomuniche, al sopruso con il sopruso. Nemmeno il tempo di essere eletto e sa cosa fece? Prese decisioni rivoluzionarie: blocca i tribunali speciali, mette gli inquisiti sotto la sua protezione. Addirittura ferma le Crociate...».
«Un Ghandi del Duecento...».
«Sì, Ghandi. Che non fece alcun “gran rifiuto” ma si dimise. Non fu, dunque, un vile ma un duro e puro».
«Un crociato della Pace».
«Aveva capito che la Pace era necessaria al progresso, anche di quello economico. Tant’è che la Perdonanza si rivelò un volano eccezionale per la Pace ed il progresso. Quel progresso che le continue guerre inibivano. Celestino, invece, impose la Pace nei luoghi cardine del commercio e soprattutto lungo quell’“autostrada delle pecore” che furono i tratturi tra l’Abruzzo e le Puglie. Incoraggiò le fiere e gli scambi. E sui tratturi cominciarono a sorgere luoghi di culto nei quali si sancivano, con le fiere ma anche con i matrimoni, accordi commerciali. Questa mia città, prima dell’avvento di Celestino, era dilaniata dalle guerre tra le fazioni nate fin dalla sua fondazione, su diploma di Corrado IV di Svevia, quaranta anni prima, ovvero nel 1254. Ma quando il Papa Eremita istituisce la Perdonanza, imponendo la Pace, la città comincia a volare sotto il profilo civile ed economico. Oggi anche la Perdonanza divide invece di unire: anche per questo la città rischia di morire a dispetto del suo glorioso passato che l’ha vista quale seconda città del Regno delle Due Sicilie dopo Napoli. Celestino aveva intuito lo straordinario potere della Pace. Il suo era un potere al servizio della Pace».
«Un Papa scomodo...».
«Un uomo scomodo sia da eremita che da Papa. Scomodo perché era rimasto sé stesso. Questa è la scommessa più difficile per chi va al potere. La stragrande maggioranza perde la sfida. Cosicché è più facile dire che Celestino V era un vigliacco piuttosto che un Martin Luther King del suo tempo il cui messaggio, dopo oltre settecento anni, è ancora oggi attualissimo. E perciò ancora di più ignorato. Volutamente».
«Comincio a capire perché il nome Celestino si sia bloccato al Quinto. Dal 1492, dopo Celestino V, tale nome in Vaticano è morto e sepolto».
«Non si sbagli, tenente Colombo: 1294 non 1492. Quinto? Non ci avevo mai pensato. Lei dice che non esiste un Papa Celestino VI?».
«No. Ho controllato. Anch’io so cercare qualcosa su internet, se voglio. Ho fatto una verifica nell’elenco di Papi e Antipapi della famosa profezia, quella del vescovo irlandese Malachia, poi canonizzato, che mi ha affascinato e al tempo stesso sconvolto. Ecco, nella pila di carte accanto al suo computer, ci deve essere ancora un mio appunto. Eccolo! Nella successione di centododici Pontefici attribuita a San Malachia, dal 1143 fino all’ultimo Papa prima della fine del mondo che viene definito dalla profezia col motto “Petrus Romanus”, al numero trentuno si legge “Ex eremo celsus”. Ovvero “elevato dall’eremo”: è Celestino, senza dubbio».
«Mi sono imbattuto anch’io nella profezia di Malachia...Affascinante».
«Per me è stata una scoperta sconvolgente. Da un lato ho riflettuto sulle analogie evidenti tra la profezia e l’attuale Papa, il cui nome è indissolubilmente legato al processo di Pace, che confermano in pieno il motto assegnatogli “De gloria olivae”; dall’altro, mi chiedo se, a questo punto, non dobbiamo attenderci che la profezia si avveri fino al suo finale catastrofico, quello appunto dell’ultimo Papa prima della fine del mondo identificato nel suggestivo “Petrus romanus”».
«Da Pietro I a Pietro II...».
«Esatto. Senta, infatti, cosa ho trovato su internet: “Mentre Pietro I fu il primo pastore della Chiesa cattolica, detentore delle chiavi del cielo, Pietro II dovrà restituire il mandato e chiudere per sempre le porte del mondo. A quest’ultimo Papa che chiude la profezia, Malachia ha voluto dedicare non solo un motto ma alcuni versi latini: ‘In persecutione extrema sacrae romanae ecclesiae sedebit Petrus romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibi transactis, civitas septis collis diruetur, ed Judex tremendus judicabit populum suum. Amen’. La traduzione è la seguente: ‘Durante l’ultima persecuzione della Santa romana Chiesa, siederà Pietro il romano, che pascerà il suo gregge tra molte tribolazioni; quando queste saranno terminate, la città dai sette colli sarà distrutta, ed il temibile giudice giudicherà il suo popolo. E così sia’. Nel periodo di Pietro II, i cristiani ritorneranno nelle catacombe, come duemila anni fa; quando essi ritorneranno alla luce del sole, la Chiesa non sarà più quella di un tempo e nemmeno il mondo sarà quello del passato. Con Pietro II non ci sarà la fine del Cristianesimo, ma la fine di quel tipo di Cristianesimo sorto dalle ceneri dell’Impero romano d’occidente. Al vertice della Chiesa non ci sarà più nessun pontefice in quanto lo Spirito Santo illuminerà tutti gli uomini e ci sarà come un paradiso sulla terra. Il centro della cristianità non sarà più Roma. La città eterna verrà spazzata via in una notte d’estate, come un fuscello di paglia. E di essa non rimarrà che un vago ricordo”».
«Ma un’interpretazione della profezia sostiene che se si esclude l’attribuzione dei motti di San Malachia agli antipapi, ben dieci, i Papi prima della fine del mondo sarebbero molti di più, certo non uno solo dopo l’attuale».
«Sì, ho letto di questa interpretazione: mancherebbero ancora undici Papi. Ma anche togliendo gli antipapi, lo sa quale motto corrisponderebbe, nel numero ventotto della successione, a Celestino?».
«Non ho mai fatto tale calcolo».
«Per la verità io l’ho trovato già fatto in una tabella comparativa molto chiara e assai facile da consultare sulla Rete».
«Va bene, è stato bravissimo, più bravo di me. Ma a quale motto corrisponde?».
«Il motto è “Ex telonio liliacei”».
«“Liliacei”, ovvero i gigli».
«Proprio come quei gigli la cui presenza nello stemma celestiniano ci ha parecchio incuriosito durante il tour che, tre giorni fa, mi ha fatto fare all’interno della basilica di Collemaggio».
«Incredibile: stento a crederci. Come incredibile è il fatto che i papi Celestini si fermano a Celestino V».
«Inevitabile che l’abbiano sprofondato nel dimenticatoio».
«Così come s’è cercato di mettere nel dimenticatoio la Porta Santa, l’unica al di fuori di Roma. Così come Collemaggio è l’unica basilica oltre quella di San Pietro ad aver ospitato l’incoronazione di un Papa. S’è pure rischiato l’oblìo quando la Perdonanza si ridusse, negli anni Settanta, a una benedizione di automobili strombazzanti nel piazzale di Collemaggio».
«Davvero? Non ci posso credere».
«Una caduta di stile ma non per questo meno significativa. Nel passato si benedicevano asini e muli, grazie ai quali i fedeli potevano alleviare le fatiche di estenuanti pellegrinaggi lungo i tratturi e le insidiose montagne. Nell’epoca moderna, è toccato alle auto far da “stampelle” ai pellegrini».
«È stato bello lavorare con lei».
«Se non altro ha cominciato ad apprezzare la genziana».
«Riecco le insinuazioni».
«Riecco il permaloso».
«Amico mio, ci siamo! Se tutto fila liscio, giuro caro il mio sovrintendente, me ne vengo a vivere qui. Un posto in Questura me lo danno».
«Sì, addetto alla fornitura...di genziana».
«Ingeneroso, falso e pure offensivo».
«Che fa, s’è fatto contagiare dalla permalosaggine tipica di questa città?».
«Caustico, caustico. Così definirei chi abita in questo posto. Ma permaloso».
«Lasciamo perdere l’antropologia. Piuttosto facciamo il punto».
«Il punto? Da ieri sera non facciamo altro che mettere punti... Non vivo più da tre mesi, maledetto quel giorno!».
«L’affermazione sfiora la bestemmia».
«No, non ce l’ho col Santo Padre. In fondo questa sua scelta me lo rende persino simpatico. Venire qui ad onorare, per la prima volta nella Storia, l’unico Papa che si sia dimesso, è davvero un gesto dal significato eccezionale. Mi chiedo perché nessun pontefice lo abbia fatto prima. Farlo oggi, in questo clima di guerra che si respira nel mondo, ha sicuramente dato al gesto un ulteriore significato. L’omaggio al Papa della Pace, al Papa del Perdono».
«Vedo che il soggiorno le ha giovato allo spirito. Nessuno s’è mai filato prima Celestino V perché questo povero cristiano è stato un personaggio scomodo, da rimuovere piuttosto che onorare: strano che lo abbiano fatto Santo».
«Eppure il suo messaggio è attualissimo».
«Il fatto è che non ne hanno voluto ascoltare la voce, quella voce che gli uomini di Chiesa, almeno quelli illuminati, conoscevano e conoscono di sicuro».
«Chissà, forse quel suo gesto di rinunciare. Di arrendersi...».
«Ma quale rinuncia, quale resa! Quella è stata la più grande vittoria di Celestino. Proprio quella voce non si è voluto ascoltare».
«Una tesi singolare...».
«Ma rifletta un attimo. Nell’epoca in cui essere eletto Papa significa ancora di più diventare un sovrano, un imperatore, questo Eremita in odore di santità decide di vivere Gesù Cristo in terra. Rinuncia ad andare a Roma, nella principesca Curia vaticana. Va a Napoli, ospite di Carlo II d’Angiò, ma alloggia in uno scantinato della reggia e non nella lussuosa residenza assegnatagli. Il suo pasto era pane e acqua, altro che libagioni. La vita di Gesù messa in pratica senza concessioni di sorta. Il sistema non poteva gradire. La Curia aveva le sue regole. I cardinali, tutti aristocratici, erano e si sentivano dei principi. Gli fecero capire che così proprio non poteva andare. Anche per questo lui prese la sua decisione: non sarebbe mai stato un principe».
«D’accordo. Ma poteva cercare di combattere, di cacciare i mercanti fuori dal tempio. Invece, cosa fa? Il “gran rifiuto”...».
«Chi fa questa osservazione non conosce lo spirito di Celestino V. Lui non avrebbe mai usato gli stessi metodi dei suoi nemici. Non si sarebbe mai opposto alla violenza con la violenza, alle scomuniche con le scomuniche, al sopruso con il sopruso. Nemmeno il tempo di essere eletto e sa cosa fece? Prese decisioni rivoluzionarie: blocca i tribunali speciali, mette gli inquisiti sotto la sua protezione. Addirittura ferma le Crociate...».
«Un Ghandi del Duecento...».
«Sì, Ghandi. Che non fece alcun “gran rifiuto” ma si dimise. Non fu, dunque, un vile ma un duro e puro».
«Un crociato della Pace».
«Aveva capito che la Pace era necessaria al progresso, anche di quello economico. Tant’è che la Perdonanza si rivelò un volano eccezionale per la Pace ed il progresso. Quel progresso che le continue guerre inibivano. Celestino, invece, impose la Pace nei luoghi cardine del commercio e soprattutto lungo quell’“autostrada delle pecore” che furono i tratturi tra l’Abruzzo e le Puglie. Incoraggiò le fiere e gli scambi. E sui tratturi cominciarono a sorgere luoghi di culto nei quali si sancivano, con le fiere ma anche con i matrimoni, accordi commerciali. Questa mia città, prima dell’avvento di Celestino, era dilaniata dalle guerre tra le fazioni nate fin dalla sua fondazione, su diploma di Corrado IV di Svevia, quaranta anni prima, ovvero nel 1254. Ma quando il Papa Eremita istituisce la Perdonanza, imponendo la Pace, la città comincia a volare sotto il profilo civile ed economico. Oggi anche la Perdonanza divide invece di unire: anche per questo la città rischia di morire a dispetto del suo glorioso passato che l’ha vista quale seconda città del Regno delle Due Sicilie dopo Napoli. Celestino aveva intuito lo straordinario potere della Pace. Il suo era un potere al servizio della Pace».
«Un Papa scomodo...».
«Un uomo scomodo sia da eremita che da Papa. Scomodo perché era rimasto sé stesso. Questa è la scommessa più difficile per chi va al potere. La stragrande maggioranza perde la sfida. Cosicché è più facile dire che Celestino V era un vigliacco piuttosto che un Martin Luther King del suo tempo il cui messaggio, dopo oltre settecento anni, è ancora oggi attualissimo. E perciò ancora di più ignorato. Volutamente».
«Comincio a capire perché il nome Celestino si sia bloccato al Quinto. Dal 1492, dopo Celestino V, tale nome in Vaticano è morto e sepolto».
«Non si sbagli, tenente Colombo: 1294 non 1492. Quinto? Non ci avevo mai pensato. Lei dice che non esiste un Papa Celestino VI?».
«No. Ho controllato. Anch’io so cercare qualcosa su internet, se voglio. Ho fatto una verifica nell’elenco di Papi e Antipapi della famosa profezia, quella del vescovo irlandese Malachia, poi canonizzato, che mi ha affascinato e al tempo stesso sconvolto. Ecco, nella pila di carte accanto al suo computer, ci deve essere ancora un mio appunto. Eccolo! Nella successione di centododici Pontefici attribuita a San Malachia, dal 1143 fino all’ultimo Papa prima della fine del mondo che viene definito dalla profezia col motto “Petrus Romanus”, al numero trentuno si legge “Ex eremo celsus”. Ovvero “elevato dall’eremo”: è Celestino, senza dubbio».
«Mi sono imbattuto anch’io nella profezia di Malachia...Affascinante».
«Per me è stata una scoperta sconvolgente. Da un lato ho riflettuto sulle analogie evidenti tra la profezia e l’attuale Papa, il cui nome è indissolubilmente legato al processo di Pace, che confermano in pieno il motto assegnatogli “De gloria olivae”; dall’altro, mi chiedo se, a questo punto, non dobbiamo attenderci che la profezia si avveri fino al suo finale catastrofico, quello appunto dell’ultimo Papa prima della fine del mondo identificato nel suggestivo “Petrus romanus”».
«Da Pietro I a Pietro II...».
«Esatto. Senta, infatti, cosa ho trovato su internet: “Mentre Pietro I fu il primo pastore della Chiesa cattolica, detentore delle chiavi del cielo, Pietro II dovrà restituire il mandato e chiudere per sempre le porte del mondo. A quest’ultimo Papa che chiude la profezia, Malachia ha voluto dedicare non solo un motto ma alcuni versi latini: ‘In persecutione extrema sacrae romanae ecclesiae sedebit Petrus romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibi transactis, civitas septis collis diruetur, ed Judex tremendus judicabit populum suum. Amen’. La traduzione è la seguente: ‘Durante l’ultima persecuzione della Santa romana Chiesa, siederà Pietro il romano, che pascerà il suo gregge tra molte tribolazioni; quando queste saranno terminate, la città dai sette colli sarà distrutta, ed il temibile giudice giudicherà il suo popolo. E così sia’. Nel periodo di Pietro II, i cristiani ritorneranno nelle catacombe, come duemila anni fa; quando essi ritorneranno alla luce del sole, la Chiesa non sarà più quella di un tempo e nemmeno il mondo sarà quello del passato. Con Pietro II non ci sarà la fine del Cristianesimo, ma la fine di quel tipo di Cristianesimo sorto dalle ceneri dell’Impero romano d’occidente. Al vertice della Chiesa non ci sarà più nessun pontefice in quanto lo Spirito Santo illuminerà tutti gli uomini e ci sarà come un paradiso sulla terra. Il centro della cristianità non sarà più Roma. La città eterna verrà spazzata via in una notte d’estate, come un fuscello di paglia. E di essa non rimarrà che un vago ricordo”».
«Ma un’interpretazione della profezia sostiene che se si esclude l’attribuzione dei motti di San Malachia agli antipapi, ben dieci, i Papi prima della fine del mondo sarebbero molti di più, certo non uno solo dopo l’attuale».
«Sì, ho letto di questa interpretazione: mancherebbero ancora undici Papi. Ma anche togliendo gli antipapi, lo sa quale motto corrisponderebbe, nel numero ventotto della successione, a Celestino?».
«Non ho mai fatto tale calcolo».
«Per la verità io l’ho trovato già fatto in una tabella comparativa molto chiara e assai facile da consultare sulla Rete».
«Va bene, è stato bravissimo, più bravo di me. Ma a quale motto corrisponde?».
«Il motto è “Ex telonio liliacei”».
«“Liliacei”, ovvero i gigli».
«Proprio come quei gigli la cui presenza nello stemma celestiniano ci ha parecchio incuriosito durante il tour che, tre giorni fa, mi ha fatto fare all’interno della basilica di Collemaggio».
«Incredibile: stento a crederci. Come incredibile è il fatto che i papi Celestini si fermano a Celestino V».
«Inevitabile che l’abbiano sprofondato nel dimenticatoio».
«Così come s’è cercato di mettere nel dimenticatoio la Porta Santa, l’unica al di fuori di Roma. Così come Collemaggio è l’unica basilica oltre quella di San Pietro ad aver ospitato l’incoronazione di un Papa. S’è pure rischiato l’oblìo quando la Perdonanza si ridusse, negli anni Settanta, a una benedizione di automobili strombazzanti nel piazzale di Collemaggio».
«Davvero? Non ci posso credere».
«Una caduta di stile ma non per questo meno significativa. Nel passato si benedicevano asini e muli, grazie ai quali i fedeli potevano alleviare le fatiche di estenuanti pellegrinaggi lungo i tratturi e le insidiose montagne. Nell’epoca moderna, è toccato alle auto far da “stampelle” ai pellegrini».
«È stato bello lavorare con lei».
«Se non altro ha cominciato ad apprezzare la genziana».
«Riecco le insinuazioni».
«Riecco il permaloso».
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