La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 13
Un romanzo di Angelo De Nicola
«Avrei dovuto pensarci subito. Ci sarei dovuto arrivare subito. Ed invece sono stato sulle mie sudate carte per giorni e giorni. Ma credo di essere arrivato a scoprire il nostro monastero. Venga, andiamo a fare un giro».
«Crede? Oh bella! Al telefono è stato categorico, altrimenti io non sarei ancora qui dopo aver, per giunta, chiesto altri due giorni di ferie- disse il signor Giacomo che stava aspettando il sovrintendente nella hall dell’albergo-. Ha tre giorni di tempo: oggi, domani e domenica: poi con me ha chiuso. Non ne posso più».
«Avevo la soluzione sotto il naso. Come ho fatto a non arrivarci subito».
«Suvvia, mi dica di quale monastero si tratta».
«Aspetti. Prima le devo parlare di un’altra scoperta. Si tratta del “gran rifiuto”!».
«Il gran rifiuto lo farò io di qui a qualche secondo se non mi dice a quale conclusione è arrivato».
«Senta cosa ho scoperto: il gran rifiuto non l’ha fatto Celestino. Ora ho le prove. Scervellandomi su Dante Alighieri, per cercare di capire il collegamento con il monastero del XVIII Canto del Purgatorio, mi sono imbattuto in un libro che, evidentemente, avevo sottovalutato...».
«Ed invece...».
«Invece, senta qui cosa c’è scritto».
«Oh no! Un’altra scheda...».
«Vedrà che le interessa. Ascolti...”Diciamo la verità: un soggetto che risponda a tutti i requisiti in negativo, così come sono rappresentati nel canto dedicato agli ignavi, non esiste. D’altra parte, a qualcuno il Poeta avrà pur pensato! Un imputato illustre c’è, e su di esso esistono non solo indizi, ma alcune prove piuttosto consistenti. Si tratta del cardinale Matteo Rosso degli Orsini...”».
«La famiglia degli Orsini in guerra con quella dei Colonna....».
«Esatto. Leggo: “Fu lui che durante il conclave di Napoli, il 23 dicembre del 1294, fu eletto al primo scrutinio e rifiutò. Lo attesta il Mohler, lo confermano il Finke, Ludovico Gatto, Raffaello Morghen e tantissimi altri; lo si legge a chiare lettere sull’Enciclopedia Italiana a pagina 609 del XXV volume: ‘Alla morte di Nicolò IV resistette di nuovo e strenuamente alla prepotenza angioina e mal volentieri si piegò a dare il suo voto a Celestino V. Eletto a sua volta Pontefice nel conclave di Napoli del 1294, rifiutò, non accettò di fare il Papa. E sostenne la candidatura di Benedetto Caetani che divenne Pontefice col nome di Bonifacio VIII’. Ma la leggenda, come ogni leggenda, è dura a morire. Ormai. dopo l’incauta esternazione del figliolo di Dante, il binomio Celestino-gran rifiuto è indissolubile. Così ha decretato l’immaginario collettivo”».
«Interessante...».
«Vede che avevo ragione! Mi faccia andare avanti: “Eppure un rifiuto davvero grande fu formulato invece, dopo le dimissioni di Celestino V, da Matteo Rosso degli Orsini. Ma perché? E’ questo un grande mistero. Temeva le ritorsioni di Bonifacio e della sua potente famiglia? Era ricattato da costui? Era stanco di battersi? Sappiamo soltanto che non era stato eletto all’unanimità, ma con la fiera avversione dei numerosi nemici del suo casato fra cui la potente famiglia degli Annibaldi. Probabilmente era ricattabile, probabilmente ebbe paura delle ritorsioni di questi avversari. Rifiuto per viltà? Sappiamo solo, e con assoluta certezza, che fu lui a rifiutare l’investitura mentre Pietro da Morrone a suo tempo l’aveva umilmente accettata, ancorché di mala voglia”».
«Ma se è tutto così semplice, perché caro sovrintendente, questo che mi sta dicendo non è emerso prima?».
«La scheda ci offre una spiegazione. Senta: “Forse, a rendere meno leggibili i famigerati versi di Dante, fu il fatto che gli esiti di quel conclave segreto furono resi noti dopo la sua morte. Questo significa, per alcuni, che in vita il Poeta non poteva sapere della pre-elezione di Matteo Orsini. Ma se anche così fosse, nulla giustifica l’attribuzione di un falso ai danni di Celestino V. In verità, anche se è vero, ed è vero, che gli atti del conclave del 23 dicembre furono divulgati dopo la morte di Dante, questo non significa che egli non ne conoscesse gli esiti! Dante sapeva tutto. Sapeva, ma non doveva sapere, per il semplice motivo che fu informato da una fonte riservata...”».
«Dante come un giornalista a caccia di scoop! Suggestivo, però».
«Non fu lui il primo e più grande giornalista della storia? Certo era uno che faceva sempre nomi e cognomi. Perché non farli nel caso di Celestino V? Aspetti che finisco: “Questa ipotesi spiega la forma oscura e reticente del verso incriminato, e il motivo per cui non poté rivelare il nome del vero rinunciatario: intanto per non bruciare o compromettere l’informatore, ma soprattutto perché è plausibile immaginare che il confidente (Dante poteva contare su numerosi potenti amici presso la Sede Apostolica) lo aveva solennemente impegnato, sotto giuramento, a non farne parola. E allora usò l’escamotage dell’ombra allo scopo di lanciare un messaggio o un avvertimento. Dante non aveva mai conosciuto Celestino. Se, dunque, dice: “poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto”, è chiaro che alludeva a Matteo Rosso degli Orsini, che egli conosceva benissimo. Che poi si sia assunta la responsabilità di giudicarlo un vile, di collocarlo fra gli ignavi, si tratta di un suo personale giudizio di valore che, in ogni caso, non riguarda Pietro da Morrone. Ma allora, com’è stata possibile questa monumentale mistificazione?”».
«Interessante. Davvero interessante. Questo spiegherebbe tutto. E riabiliterebbe Celestino».
«Io sono per una terza via».
«Ovvero?».
«Quella sostenuta da Padre Antonio Serramonacesca, dopo un’attenta analisi delle molte ed illustri posizioni di dantisti e studiosi sulla questione del “gran rifiuto”, una delle poche irrisolte della Divina Commedia. Il frate cappuccino sostiene che non si tratta di Celestino ma che, in fondo, la querelle ha finito con il giovare all’Eremita».
«Giovare?».
«Gli leggo cosa ha scritto il Serramonacesca: “Vogliamo terminare il nostro capitolo sulla questione del ‘gran rifiuto’ con cinque considerazioni:1) Molti, specialmente tra i giovani, sprovvisti di studi severi, ed anche tra i professori che non intendono prendere posizione nella questione, vanno ripetendo con una faciloneria da sbalordire, che colui che fece il ”gran rifiuto” è Celestino V. E non discutono. 2) Gli autori moderni che dispongono di maggiori possibilità di studio, si orientano sempre più decisamente verso la tesi che nega che l’ombra del III canto sia Celestino V. 3) Nessuno, in verità, è riuscito a riconoscere l’‘ombra’ come la riconobbe Dante. E Dante ha voluto portare con se il suo mistero, senza darci la chiave per scoprirlo e soddisfare la nostra tormentata ambizione. 4) La preoccupazione degli autori più sinceri non è tanto quella di difendere Celestino, ché di questa difesa non ha eccessivo bisogno, quanto quella di difendere Dante stesso. 5) Le vie della Provvidenza sono veramente mirabili, e mentre forse nessuno avrebbe potuto tenere così vivo, così presente, e questo nel mondo degli studi (che è quanto dire) il nome e il ricordo di Celestino V, la necessità di commentare quei pochissimi versi di Dante, l’ha fatto arrivare, specialmente attraverso innumerevoli traduzioni, fino ai confini del mondo. Quello che non hanno ottenuto tanti versi scritti per Celestino, l’hanno ottenuto pochi versi che con Celestino non hanno nulla a che fare”».
«Non sono d'accordo. Quel verso è come una maledizione. Una maledizione che, ormai, ha fatto condannare il nostro Eremita. La maledizione... dimenticavo... A quale monastero ci ha voluto indirizzare la nostra, maledetta, matta».
«Che ne sa lei che è stata la nostra amica a farci ritrovare il biglietto presso la targa stradale del fondatore dell’Opus Dei a Collemaggio?».
«Ci ho pensato e ripensato: solo lei può essere stata. Forza, parli!».
«A principio mi ero fatta un’idea ma poi mi sono accorto di essermi sbagliato».
«Parli, maledizione!».
«Non abbia fretta: credo che c’è stato un tentativo di depistaggio».
«Come depistaggio? L’amica sua?».
«Non lo so se è stata lei. Certo è che hanno cercato di portarci fuori strada».
«Ma come, la sua amica si mette in contatto con lei, le manda delle e-mail, mi fa recapitare una lettera in albergo, ci pedina, ci fa trovare un biglietto in quella maledetta targa.... Tutto questo casino per depistarci? Mi faccia capire, per favore».
«Venga, le faccio provare il caffè al torrone, tipico di questo bar della piazza Grande. Vedrà, è meglio di quell’orzo cream che tanto le piace! Nel frattempo le spiego».
«Crede? Oh bella! Al telefono è stato categorico, altrimenti io non sarei ancora qui dopo aver, per giunta, chiesto altri due giorni di ferie- disse il signor Giacomo che stava aspettando il sovrintendente nella hall dell’albergo-. Ha tre giorni di tempo: oggi, domani e domenica: poi con me ha chiuso. Non ne posso più».
«Avevo la soluzione sotto il naso. Come ho fatto a non arrivarci subito».
«Suvvia, mi dica di quale monastero si tratta».
«Aspetti. Prima le devo parlare di un’altra scoperta. Si tratta del “gran rifiuto”!».
«Il gran rifiuto lo farò io di qui a qualche secondo se non mi dice a quale conclusione è arrivato».
«Senta cosa ho scoperto: il gran rifiuto non l’ha fatto Celestino. Ora ho le prove. Scervellandomi su Dante Alighieri, per cercare di capire il collegamento con il monastero del XVIII Canto del Purgatorio, mi sono imbattuto in un libro che, evidentemente, avevo sottovalutato...».
«Ed invece...».
«Invece, senta qui cosa c’è scritto».
«Oh no! Un’altra scheda...».
«Vedrà che le interessa. Ascolti...”Diciamo la verità: un soggetto che risponda a tutti i requisiti in negativo, così come sono rappresentati nel canto dedicato agli ignavi, non esiste. D’altra parte, a qualcuno il Poeta avrà pur pensato! Un imputato illustre c’è, e su di esso esistono non solo indizi, ma alcune prove piuttosto consistenti. Si tratta del cardinale Matteo Rosso degli Orsini...”».
«La famiglia degli Orsini in guerra con quella dei Colonna....».
«Esatto. Leggo: “Fu lui che durante il conclave di Napoli, il 23 dicembre del 1294, fu eletto al primo scrutinio e rifiutò. Lo attesta il Mohler, lo confermano il Finke, Ludovico Gatto, Raffaello Morghen e tantissimi altri; lo si legge a chiare lettere sull’Enciclopedia Italiana a pagina 609 del XXV volume: ‘Alla morte di Nicolò IV resistette di nuovo e strenuamente alla prepotenza angioina e mal volentieri si piegò a dare il suo voto a Celestino V. Eletto a sua volta Pontefice nel conclave di Napoli del 1294, rifiutò, non accettò di fare il Papa. E sostenne la candidatura di Benedetto Caetani che divenne Pontefice col nome di Bonifacio VIII’. Ma la leggenda, come ogni leggenda, è dura a morire. Ormai. dopo l’incauta esternazione del figliolo di Dante, il binomio Celestino-gran rifiuto è indissolubile. Così ha decretato l’immaginario collettivo”».
«Interessante...».
«Vede che avevo ragione! Mi faccia andare avanti: “Eppure un rifiuto davvero grande fu formulato invece, dopo le dimissioni di Celestino V, da Matteo Rosso degli Orsini. Ma perché? E’ questo un grande mistero. Temeva le ritorsioni di Bonifacio e della sua potente famiglia? Era ricattato da costui? Era stanco di battersi? Sappiamo soltanto che non era stato eletto all’unanimità, ma con la fiera avversione dei numerosi nemici del suo casato fra cui la potente famiglia degli Annibaldi. Probabilmente era ricattabile, probabilmente ebbe paura delle ritorsioni di questi avversari. Rifiuto per viltà? Sappiamo solo, e con assoluta certezza, che fu lui a rifiutare l’investitura mentre Pietro da Morrone a suo tempo l’aveva umilmente accettata, ancorché di mala voglia”».
«Ma se è tutto così semplice, perché caro sovrintendente, questo che mi sta dicendo non è emerso prima?».
«La scheda ci offre una spiegazione. Senta: “Forse, a rendere meno leggibili i famigerati versi di Dante, fu il fatto che gli esiti di quel conclave segreto furono resi noti dopo la sua morte. Questo significa, per alcuni, che in vita il Poeta non poteva sapere della pre-elezione di Matteo Orsini. Ma se anche così fosse, nulla giustifica l’attribuzione di un falso ai danni di Celestino V. In verità, anche se è vero, ed è vero, che gli atti del conclave del 23 dicembre furono divulgati dopo la morte di Dante, questo non significa che egli non ne conoscesse gli esiti! Dante sapeva tutto. Sapeva, ma non doveva sapere, per il semplice motivo che fu informato da una fonte riservata...”».
«Dante come un giornalista a caccia di scoop! Suggestivo, però».
«Non fu lui il primo e più grande giornalista della storia? Certo era uno che faceva sempre nomi e cognomi. Perché non farli nel caso di Celestino V? Aspetti che finisco: “Questa ipotesi spiega la forma oscura e reticente del verso incriminato, e il motivo per cui non poté rivelare il nome del vero rinunciatario: intanto per non bruciare o compromettere l’informatore, ma soprattutto perché è plausibile immaginare che il confidente (Dante poteva contare su numerosi potenti amici presso la Sede Apostolica) lo aveva solennemente impegnato, sotto giuramento, a non farne parola. E allora usò l’escamotage dell’ombra allo scopo di lanciare un messaggio o un avvertimento. Dante non aveva mai conosciuto Celestino. Se, dunque, dice: “poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto”, è chiaro che alludeva a Matteo Rosso degli Orsini, che egli conosceva benissimo. Che poi si sia assunta la responsabilità di giudicarlo un vile, di collocarlo fra gli ignavi, si tratta di un suo personale giudizio di valore che, in ogni caso, non riguarda Pietro da Morrone. Ma allora, com’è stata possibile questa monumentale mistificazione?”».
«Interessante. Davvero interessante. Questo spiegherebbe tutto. E riabiliterebbe Celestino».
«Io sono per una terza via».
«Ovvero?».
«Quella sostenuta da Padre Antonio Serramonacesca, dopo un’attenta analisi delle molte ed illustri posizioni di dantisti e studiosi sulla questione del “gran rifiuto”, una delle poche irrisolte della Divina Commedia. Il frate cappuccino sostiene che non si tratta di Celestino ma che, in fondo, la querelle ha finito con il giovare all’Eremita».
«Giovare?».
«Gli leggo cosa ha scritto il Serramonacesca: “Vogliamo terminare il nostro capitolo sulla questione del ‘gran rifiuto’ con cinque considerazioni:1) Molti, specialmente tra i giovani, sprovvisti di studi severi, ed anche tra i professori che non intendono prendere posizione nella questione, vanno ripetendo con una faciloneria da sbalordire, che colui che fece il ”gran rifiuto” è Celestino V. E non discutono. 2) Gli autori moderni che dispongono di maggiori possibilità di studio, si orientano sempre più decisamente verso la tesi che nega che l’ombra del III canto sia Celestino V. 3) Nessuno, in verità, è riuscito a riconoscere l’‘ombra’ come la riconobbe Dante. E Dante ha voluto portare con se il suo mistero, senza darci la chiave per scoprirlo e soddisfare la nostra tormentata ambizione. 4) La preoccupazione degli autori più sinceri non è tanto quella di difendere Celestino, ché di questa difesa non ha eccessivo bisogno, quanto quella di difendere Dante stesso. 5) Le vie della Provvidenza sono veramente mirabili, e mentre forse nessuno avrebbe potuto tenere così vivo, così presente, e questo nel mondo degli studi (che è quanto dire) il nome e il ricordo di Celestino V, la necessità di commentare quei pochissimi versi di Dante, l’ha fatto arrivare, specialmente attraverso innumerevoli traduzioni, fino ai confini del mondo. Quello che non hanno ottenuto tanti versi scritti per Celestino, l’hanno ottenuto pochi versi che con Celestino non hanno nulla a che fare”».
«Non sono d'accordo. Quel verso è come una maledizione. Una maledizione che, ormai, ha fatto condannare il nostro Eremita. La maledizione... dimenticavo... A quale monastero ci ha voluto indirizzare la nostra, maledetta, matta».
«Che ne sa lei che è stata la nostra amica a farci ritrovare il biglietto presso la targa stradale del fondatore dell’Opus Dei a Collemaggio?».
«Ci ho pensato e ripensato: solo lei può essere stata. Forza, parli!».
«A principio mi ero fatta un’idea ma poi mi sono accorto di essermi sbagliato».
«Parli, maledizione!».
«Non abbia fretta: credo che c’è stato un tentativo di depistaggio».
«Come depistaggio? L’amica sua?».
«Non lo so se è stata lei. Certo è che hanno cercato di portarci fuori strada».
«Ma come, la sua amica si mette in contatto con lei, le manda delle e-mail, mi fa recapitare una lettera in albergo, ci pedina, ci fa trovare un biglietto in quella maledetta targa.... Tutto questo casino per depistarci? Mi faccia capire, per favore».
«Venga, le faccio provare il caffè al torrone, tipico di questo bar della piazza Grande. Vedrà, è meglio di quell’orzo cream che tanto le piace! Nel frattempo le spiego».
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