La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 12
Un romanzo di Angelo De Nicola
«Monastero? Sovrintendente, possibile che a lei non è venuto in mente nulla?».
I due, la sera precedente, avevano discusso a lungo su quello strano, ultimo messaggio. Ma senza giungere ad alcuna conclusione. Si erano lasciati a tarda ora: «Vedrà- aveva pronosticato il signor Giacomo- domani mattina l’amica sua ci lascerà qualche altro indizio. Magari un’altra lettera presso la reception a me indirizzata...».
Niente. Rimasti a secco di “messaggi”, il sovrintendente decise di fare una lunga passeggiata «per schiarirsi le idee». Acquistati, in un piccolo alimentari del centro, due pezzi di focaccia all’olio per metterci in mezzo prosciutto crudo e fichi, ed una bottiglia di ottimo Montepulciano, il sovrintendente decise che sulla collina di Roio avrebbero ragionato meglio. «Andiamo sul nostro Calvario» ironizzò il signor Giacomo.
«Questo è un posto meraviglioso: un Paradiso, altro che Calvario- disse il signor Giacomo addentando il panino ben imbottito mentre, seduto sull’erba, si godeva il panorama-. Sfido che Papa Wojtyla lo scelse per la sua visita!».
«Vengo spesso qui, in tutte le stagioni. Questo posto concilia i miei pensieri. Sei all’aria aperta, immerso nella maestosità della natura, eppure quando sono qui ho la sensazione di essere in una sorta stanza del pensiero. Qui mi concentro meglio. Qui ho preso le mie decisioni più importanti dopo aver a lungo riflettuto».
«Visto che siamo qui, allora si concentri».
«Siamo venuti qui per questo».
«Siamo? Io che c’entro?».
«Ma come che c’entra? Proprio ora vuole tirarsi indietro? Siamo ad un passo dalla soluzione».
«Ma quale soluzione! E’ tutta una presa in giro. C’è qualcuno che si sta beffando di lei».
«Ma anche di lei, signor Giacomo».
«Di me? Noo...Io sono fuori da questa storia».
«Noo..Lei c’è dentro fino al collo».
«Oggi me ne torno al mio Commissariato. In fondo, non vi si campa poi male. E, comunque, la ruota dovrà girare prima o poi a mio favore».
«Se non capiremo cosa è accaduto realmente, la nostra ruota resterà ferma».
«Ripeto: io sono fuori».
«Nessuno la costringe. Ma non mi dica che lei non vuol sapere?».
«No, non mi interessa».
«Non ci credo».
«Libero di non crederci».
«Ok: è finita qui?».
«Cos’altro potremmo fare? Siamo impantanati o no? E poi sono stufo di correre appresso ai fantasmi».
«Potremmo analizzare il tutto».
«Analisi? Sì, potremmo far psicanalizzare l’amica sua, se sapessimo almeno chi è».
«Partiamo dall’amica mia, per esempio. Perché ci ha messo sulla strada?».
«In mezzo ad una strada, casomai».
«Secondo la sua esperienza di investigatore, perché a distanza di due anni, esce fuori questo strano personaggio che ci manda dei segnali?».
«Magari è una mitomane».
«Sa troppe cose, non può essere. Prendiamo la faccenda delle targa stradale dell’Opus Dei: qualcuno sapeva che lei vi trovò uno dei biglietto anagrammati?».
«No. Ma qualcuno potrebbe aver letto i miei rapporti».
«Cerchi di pensare positivo. La nostra amica sa molto, forse tutto. Perché ci fa capire che sa?».
«Glielo chieda! Le scriva un e-mail: ha l’indirizzo, o no?».
«E crede che non l’abbia fatto?».
«Risposta?».
«Non risponde. Solo su questo non risponde. Come se non volesse tradirsi».
«C’è solo un’ipotesi...».
«Quale?».
«Il rimorso».
«Il rimorso? Si spieghi, signor Giacomo».
«Nella casistica poliziesca non è raro che chi ha un peso sulla coscienza tenti, inconsciamente o meno, di mettere gli investigatori sulla pista giusta. Così come non è raro che soggetti simili attuino una strategia con molti diversivi: lasciano esche e depistano; un’informazione giusta, ed una sbagliata; un passo avanti ed uno indietro».
«Vogliono divertirsi, insomma».
«No, soffrono. Vorrebbero non fare quello che fanno ma spesso prevale il bene, cioè il desiderio di liberarsi del peso che gli opprime la coscienza. Prevalenza che, però, a volte non arriva fino in fondo».
«Si spiega così il perché di alcune tappe a vuoto...».
«Erano tutte tappe che avevano, comunque, un collegamento con le precedenti e le successive. Sempre basate sul presupposto che lei, sovrintendente, sarebbe stato in grado, comodamente, di decifrare l’indizio lasciato, foss’anche flebile. Guarda caso, l’ultimo indizio l’ho decifrato io: mi pare che siamo arrivati al dunque. Ora dipende tutto da lei».
«Da me?».
«Sì, lei. Come posso capire cosa significhi “monastero”?».
«Lo dice a me? Questa è una città di chiese e monasteri».
«Allora cominci a procurarsi un elenco completo dei monasteri. Faccia uno screening depennando ma mano quelli che non le appaiono pertinenti».
«Non ci avevo pensato».
«Bene. Io torno a casa. Appena le si accende la lampadina, mi fa un colpo di telefono. Ma sia convincente, altrimenti questo nostro saluto diventa definitivo: ho le tasche piene di questa storia!».
«Almeno ho uno spiraglio. Accetto la sfida».
«Grazie del panino: era squisito».
«Vedo che ha gradito anche il vino».
«Non cado nella provocazione».
«Non c’era malizia. Spero di rivederla presto».
«Gliel’ho detto: dipende da lei».
I due, la sera precedente, avevano discusso a lungo su quello strano, ultimo messaggio. Ma senza giungere ad alcuna conclusione. Si erano lasciati a tarda ora: «Vedrà- aveva pronosticato il signor Giacomo- domani mattina l’amica sua ci lascerà qualche altro indizio. Magari un’altra lettera presso la reception a me indirizzata...».
Niente. Rimasti a secco di “messaggi”, il sovrintendente decise di fare una lunga passeggiata «per schiarirsi le idee». Acquistati, in un piccolo alimentari del centro, due pezzi di focaccia all’olio per metterci in mezzo prosciutto crudo e fichi, ed una bottiglia di ottimo Montepulciano, il sovrintendente decise che sulla collina di Roio avrebbero ragionato meglio. «Andiamo sul nostro Calvario» ironizzò il signor Giacomo.
«Questo è un posto meraviglioso: un Paradiso, altro che Calvario- disse il signor Giacomo addentando il panino ben imbottito mentre, seduto sull’erba, si godeva il panorama-. Sfido che Papa Wojtyla lo scelse per la sua visita!».
«Vengo spesso qui, in tutte le stagioni. Questo posto concilia i miei pensieri. Sei all’aria aperta, immerso nella maestosità della natura, eppure quando sono qui ho la sensazione di essere in una sorta stanza del pensiero. Qui mi concentro meglio. Qui ho preso le mie decisioni più importanti dopo aver a lungo riflettuto».
«Visto che siamo qui, allora si concentri».
«Siamo venuti qui per questo».
«Siamo? Io che c’entro?».
«Ma come che c’entra? Proprio ora vuole tirarsi indietro? Siamo ad un passo dalla soluzione».
«Ma quale soluzione! E’ tutta una presa in giro. C’è qualcuno che si sta beffando di lei».
«Ma anche di lei, signor Giacomo».
«Di me? Noo...Io sono fuori da questa storia».
«Noo..Lei c’è dentro fino al collo».
«Oggi me ne torno al mio Commissariato. In fondo, non vi si campa poi male. E, comunque, la ruota dovrà girare prima o poi a mio favore».
«Se non capiremo cosa è accaduto realmente, la nostra ruota resterà ferma».
«Ripeto: io sono fuori».
«Nessuno la costringe. Ma non mi dica che lei non vuol sapere?».
«No, non mi interessa».
«Non ci credo».
«Libero di non crederci».
«Ok: è finita qui?».
«Cos’altro potremmo fare? Siamo impantanati o no? E poi sono stufo di correre appresso ai fantasmi».
«Potremmo analizzare il tutto».
«Analisi? Sì, potremmo far psicanalizzare l’amica sua, se sapessimo almeno chi è».
«Partiamo dall’amica mia, per esempio. Perché ci ha messo sulla strada?».
«In mezzo ad una strada, casomai».
«Secondo la sua esperienza di investigatore, perché a distanza di due anni, esce fuori questo strano personaggio che ci manda dei segnali?».
«Magari è una mitomane».
«Sa troppe cose, non può essere. Prendiamo la faccenda delle targa stradale dell’Opus Dei: qualcuno sapeva che lei vi trovò uno dei biglietto anagrammati?».
«No. Ma qualcuno potrebbe aver letto i miei rapporti».
«Cerchi di pensare positivo. La nostra amica sa molto, forse tutto. Perché ci fa capire che sa?».
«Glielo chieda! Le scriva un e-mail: ha l’indirizzo, o no?».
«E crede che non l’abbia fatto?».
«Risposta?».
«Non risponde. Solo su questo non risponde. Come se non volesse tradirsi».
«C’è solo un’ipotesi...».
«Quale?».
«Il rimorso».
«Il rimorso? Si spieghi, signor Giacomo».
«Nella casistica poliziesca non è raro che chi ha un peso sulla coscienza tenti, inconsciamente o meno, di mettere gli investigatori sulla pista giusta. Così come non è raro che soggetti simili attuino una strategia con molti diversivi: lasciano esche e depistano; un’informazione giusta, ed una sbagliata; un passo avanti ed uno indietro».
«Vogliono divertirsi, insomma».
«No, soffrono. Vorrebbero non fare quello che fanno ma spesso prevale il bene, cioè il desiderio di liberarsi del peso che gli opprime la coscienza. Prevalenza che, però, a volte non arriva fino in fondo».
«Si spiega così il perché di alcune tappe a vuoto...».
«Erano tutte tappe che avevano, comunque, un collegamento con le precedenti e le successive. Sempre basate sul presupposto che lei, sovrintendente, sarebbe stato in grado, comodamente, di decifrare l’indizio lasciato, foss’anche flebile. Guarda caso, l’ultimo indizio l’ho decifrato io: mi pare che siamo arrivati al dunque. Ora dipende tutto da lei».
«Da me?».
«Sì, lei. Come posso capire cosa significhi “monastero”?».
«Lo dice a me? Questa è una città di chiese e monasteri».
«Allora cominci a procurarsi un elenco completo dei monasteri. Faccia uno screening depennando ma mano quelli che non le appaiono pertinenti».
«Non ci avevo pensato».
«Bene. Io torno a casa. Appena le si accende la lampadina, mi fa un colpo di telefono. Ma sia convincente, altrimenti questo nostro saluto diventa definitivo: ho le tasche piene di questa storia!».
«Almeno ho uno spiraglio. Accetto la sfida».
«Grazie del panino: era squisito».
«Vedo che ha gradito anche il vino».
«Non cado nella provocazione».
«Non c’era malizia. Spero di rivederla presto».
«Gliel’ho detto: dipende da lei».
Segui Angelo De Nicola su Facebook