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Recensione di Anna Ventura

Presunto Innocente
"Oggi e Domani" Novembre/Dicembre 2003
Anna Ventura


Nel volume "Presunto innocente" (Tracce, Pescara, 2003), Angelo De Nicola, caporedattore della sede aquilana del "Messaggero", raccoglie una lunga serie di testimonianze (120, per l'esattezza), che lui stesso (fatta eccezione per due brani che sono a firma di altri giornalisti) ha scritte per il suo giornale, seguendo passo passo, in un arco di tempo di circa tredici anni, la dolorosa vicenda del "Caso Perruzza".

L'autore, avverte, nella nota introduttiva, che egli sente il racconto di questa brutta storia come una catarsi: sua personale, innanzitutto, come se l'averla seguita per anni, tenacemente, lo avesse in qualche modo coinvolto, per cui l'operazione di recupero di gran parte del materiale raccolto viene da lui avvertita come un dovere, un contributo di partecipazione sofferta a un dolore collettivo. Pronunciare il misfatto, esprimerlo, chiarirlo, è, infatti, anche nell'accezione religiosa, il mezzo dell'espiazione.

Nelle quasi trecento pagine del libro scorrono, giorno dopo giorno, tutti i principali passaggi di quel famoso "delitto di Balsorano", che, nell'ormai lontano agosto del 1990, scosse l'opinione pubblica generale, e lasciò sbigottito l'Abruzzo, regione fondamentalmente immune dagli orrori più macroscopici, travolse completamente il piccolo borgo (Case Castella, noi territorio di Balsorano, provincia dell'Aquila), in cui la vicenda avvenne.

I fatti sono noti: una bambina di appena sette anni, bella, intelligente, vivace, viene trovata, nuda, seviziata, colpita o strangolata, in fondo a un fosso di rovi.

Come in una tragedia greca, la matrice del delitto è dentro lo stesso nucleo familiare: lo zio Michele Perruzza, muratore quarantenne, e il figlio di lui, Mauro, un ragazzo di tredici anni, sono i principali indiziati. Anche perchè il giovane, all'indomani del delitto, si confessa colpevole; per poi ritrattare, lasciando solo il padre. Il quale, per lungo tempo, tace. Tace, o mente, tentando di salvare il salvabile, la madre del ragazzo, e moglie di Michele Perruzza, nonché zia della bambina uccisa, che è figlia di suo fratello. Ne nasce una vicenda giudiziaria tra le più confuse, intricate e inquietanti che mai l'opinione pubblica si sia trovata a tentate di capire.

Alla base del caos che si scatena c'è, innanzitutto, l'ambiente stesso in cui il delitto viene perpetrato: un borgo di campagna in cui è arrivato un certo benessere (tutti sono grandi lavoratori, a incominciare dallo stesso Michele Perruzza, che fa il manovale a Roma, o ,nelle pause, costruisce la sua nuova casa in paese); tutti sono parenti; tutti sanno i fatti di tutti (di Michele Perruzza si conoscono le tendenze pedofile); tutti sembrano impazzire, quando l'orrore del delitto infame li scuote dalla loro quiete apparente.

Attraverso la cronaca lucida, precisa, inconsapevolmente spietata, dei fatti relativi ai primi giorni emerge una realtà che ci riporta indietro nel tempo, bruciando tre secoli di Illuminismo. Risorgo i grandi mostri medievali o controriformisti: la paura; la menzogna; l'omertà; la caccia alla strega: contro Maria, la moglie di Michele Perruzza, compaiono, sul fontanile del paese e lungo le mura, le scritte più infamanti. Certamente lei a conoscenza del delitto; ma si nasconde dietro il silenzio o la menzogna, vecchio antidoto contro la paura.

È la paura, il primo spettro di questa brutta storia; e poi c'è il dolore.

Perché questa storia è, innanzitutto, una storia di dolore, un'immane tragedia che colpisce tutti, i suoi artefici innanzitutto, presi in una rete inestricabile di menzogne, dopo che un gesto inconsulto, dettato da un improvviso raptus ferino, orrendo ma non premeditato, e dal timore dello scandalo- la bambina viene soffocata affinchè smetta di gridare- li ha messi al centro dì una vicenda che travalica ogni loro capacità di ragione.

E la ragione, la grande sconfitta di tutta questa intricata vicenda.

Lo spazio non mi consente di raccontarne gli innumerevoli passaggi, in cui inquirenti, avvocati e giudici, uomini abituati a gestire il diritto alla luce dell'intelligenza e della civiltà, sono stati essi stessi confusi e trascinati dal gorgo che si è venuto a creare; Angelo De Nicola lo fa benissimo, con l'imparzialità che gli consentono la sua onestà e la sua capacità professionale, consentendo al lettore di seguire da vicino questa lunga, appassionante vicenda giudiziaria, illuminandone tutti i dettagli, oltre che i momenti cruciali: l'ergastolo inflitto ripetutamente a Michele Perruzza, i vari "colpi di scena" che hanno dato alla vicenda improvvise svolte alternative: fino al tentativo, fatto da avvocati autenticamente appassionati al caso, di salvare il muratore, "presunto innocente", indicando nei figlio Mauro l'unico colpevole.

"Una continuità di scrittura che supera l'occasionalità"- come ben dice, in prefazione, Renato Minore, facilita la lettura di questo libro che travalica la cronaca giornalistica, prendendo, a mano a mano, forma e consistenza di documento storico e insieme di romanzo, nell'accezione di ampio, organico racconto di una vicenda.

Personalmente l'ho seguito con una partecipazione che non credevo potesse suscitarmi ancora un caso di cui, specialmente in Abruzzo, ormai quasi si è stanchi di sentire parlare: a lettura ultimata, l'immagine che mi si crea- soggettiva, naturalmente- è quella di un Giano bifronte, che mostra, alternativamente, il volto del padre e del figlio: una duplicità che resta, anche dopo che la morte ha assolto il "presunto innocente" dalla pena di vivere: in una cella del carcere romano di Rebibbia, a 52 anni, il muratore di Balsorano, per la cui condanna all'ergastolo si fecero, in paese, i fuochi di artificio, ha cessato di esistere.

L'ultima pagina del libro riporta il passo del Vangelo che i due parroci celebranti le esequie di Michele Perruzza hanno evocato: Gesù che risponde al ladrone: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso".

È veramente la pietà cristiana, che tutto assolve, è l'unica a poter essere invocata, in questa tragedia, che, dopo tanta opera di scandaglio, resta oscura, tenacemente sottratta alla verità, ai lumi della ragione.




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