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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 85

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



85. UN PARTICOLARE SBUGIARDA MAURO
26. 8. 1997



Un’auto, una Renault 5 bianca, potrebbe segnare una clamorosa svolta nel caso del delitto di Balsorano.
Anzi, un particolare apparentemente di secondo piano a cui pochi avevano dato importanza, rischia da un lato scardinare tre gradi di giudizio che, con sentenza definitiva, hanno portato alla condanna all’ergastolo di Perruzza e, dall'altro, di concentrare ancora di più i sospetti sul figlio del muratore, Mauro, all’epoca del fatto tredicenne.
L’auto, la Renault 5 bianca di un abitante di Case Castella, è quella che Mauro disse di aver visto, sempre da sopra il famoso capanno, passare lungo la strada provinciale nel momento in cui il padre uccideva Cristina.
Davanti alla Corte d’Assise d’Appello, in una testimonianza risultata poi fondamentale per la condanna del padre, Mauro fornì l’ennesima versione sui fatti e citò il particolare dell’auto nel tentativo di essere più preciso sull’orario del delitto. «... a proposito- si legge nel verbale di quell’interrogatorio del 29 novembre del ’91-, questo è un particolare, mentre stava succedendo questo (cioè l’omicidio, n. d. r.) io ho visto una Renault bianca prima, se vi può aiutare per gli orari; l’auto è di Stefano, il marito di Lorenza, il cognome non lo ricordo».
Quel testimone disse che era davvero passato lungo quei tornanti nei pressi di Case Castella, intorno alle 20, 40.
La perizia dell’altra sera ha dimostrato che all’ora del delitto (tra le 20, 30 e le 20, 45) dal capanno descritto da Mauro non si vede affatto la scena del delitto.
È d’altro canto sensata la tesi sostenuta dal padre della piccola, Giuseppe Capoccitti, il quale dice che il ragazzo, avendo visto allontanarsi verso il boschetto il padre con la nipotina, non doveva necessariamente e nitidamente vedere tutta la scena per poter capire cosa stava accadendo.
Il particolare dell’auto, però, rischia di cambiare radicalmente la situazione.
Ebbene, il perito ha sondato anche questo aspetto, in particolare per stabilire se i fari dell’auto avessero in qualche modo rese più visibile a Mauro la scena del delitto. La perizia è stata fatta il 22 agosto, il giorno prima del sopralluogo vero e proprio del 23 quando non ci sarebbe stato tempo per far anche questo esperimento.
Risultato: dal capanno, non si può vedere la strada e, quindi, non era possibile che Mauro (almeno da quella posizione) potesse vedere un mezzo che scendeva o che saliva lungo la Provinciale.
«Mauro, dunque, non solo non ha detto la verità- ha commentato uno degli avvocati di Perruzza, Carlo Maccallini- ma in quella sua testimonianza pilotata ha anche cercato di coprire se stesso. Perché l’auto non si poteva vedere dal capanno ma era ben visibile dal luogo del delitto. Dunque: lui era lì e da lì ha visto l’auto».
Non solo. Proprio il particolare dell’auto è stato quello che ha convinto Michele della colpevolezza del figlio. Il muratore aveva sempre detto: «Non sono stato io, non so nulla» senza mai puntare l’indice sul figlio.
Poi, quando, il ragazzo tirò fuori la versione del capanno, in carcere ai suoi difensori Perruzza confidò che allora era stato davvero suo figlio perché anche lui ricordò di aver visto quella Renault mentre, sul balcone di casa, fumava una sigaretta.


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