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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 30

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



30. IL PM DECISO : IL MOSTRO E' LUI
13. 3. 1991



Proprio nel giorno che ha più fruttato alla difesa, è arrivata la durissima requisitoria del Pm che ha azzittito tutti con la sua ricostruzione dei fatti e la sua richiesta finale su cui si è chiusa la quinta udienza del processo Perruzza. «Condannate all'ergastolo questo mostro - ha concluso il Pm Mario Pinelli - che ha agito per schifosi fini sessuali. Cristina aveva solo 7 anni...».
Ergastolo.
In silenzio il folto pubblico ha abbandonato l'aula; mogio mogio Michele Perruzza ha lasciato la “gabbia”; con lo sguardo rivolto a terra i due difensori dell'imputato hanno guadagnato in fretta l'uscita senza nemmeno cercare con gli occhi i cronisti per dare, come nelle precedenti udienze, qualche dichiarazione; nel corridoio del Palazzo di Giustizia dell'Aquila i parenti di Cristina si sono stretti attorno ai giovani genitori della bambina, visibilmente stravolti dal racconto, inevitabilmente crudo, del Pm.
I dubbi delle perizie. Ne ha insinuati parecchi il professor Angelo Fiori, medico-legale di fama internazionale consulente della difesa. “Maltrattato”, mercoledì scorso, sia dal consulente del Pm (il dottor Spinella della Criminalpol) sia dal perito d'ufficio (il professor Dallapiccola) che lo hanno accusato di «sposare interessi di parte», ieri il professor Fiori ha sparato a zero contro i suoi due colleghi.
Con un linguaggio teso a “colpire” soprattutto i sei giudici popolari, l'esperto direttore dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Roma (che venne nominato dai precedenti difensori dell'imputato, gli avvocati Maccallini) ha tentato di smontare i risultati delle perizie su sangue e capelli. Fiori ha detto che non si può usare il metodo sperimentale denominato “Pcr”, «un portento dal punto di vista scientifico ma internazionalmente riconosciuto come inaffidabile». «Si, anche io ho usato il “Pcr” - ha detto Fiori ma solo per escludere non per attribuire che il Dna di un reperto sia quello dell'imputato, come raccomandano sia la Fbi che Scotland Yard ed in particolare il “rapporto Kennedy”, una relazione del governo americano».
Il consulente della difesa ha fatto notare che a Case Castella gli “incroci” tra paesani hanno prodotto una situazione molto particolare, che il Dna estratto e “sommato” dai quattro capelli trovati sulla canottiera potrebbe essere falsato dal mancato accertamento se quei capelli sono sicuramente della stessa persona; che le probabilità a cui i periti sono arrivati sono una loro presunzione personale. Insomma, Fiori con molto tatto ha addolcito alla Corte il brutale interrogativo: ve la sentite di mandare all'ergastolo un uomo per i soli risultati di perizie basate su metodi sperimentali?
L'intervento del perito della difesa è passato in secondo piano dopo la requisitoria del Pm. Ma proprio alla luce della ricostruzione di Pinelli, e volendo escludere sorprese clamorose, i dubbi sulle perizie sembrano restare l'unica carta ancora in mano alla difesa.
Ergastolo. Alternando venature retoriche con squarci dai duri toni realistici, il Pm Pinelli si è prodotto nello sforzo di sintetizzare 195 giorni di «incessanti indagini, di nottate e di sudate». Per un'ora e quarantacinque minuti, non è volata una mosca: orecchi e occhi sono rimasti incollati sulla toga del giovane magistrato che ha seguito la vicenda fin dal ritrovamento di Cristina all'alba di quel 24 agosto.
Premesso «di non aver nulla contro Perruzza», cercando di “svergognare” «la palese incoerenza del consulente della difesa Fiori» e additando tutti quelli che «hanno cercato addirittura di speculare sulla triste vicenda di una bimba oggetto innocente ed indifeso di turpi fini sessualii», il Pm ha puntato la sua sintesi su alcuni elementi. E cioè: i precedenti episodi che dimostrano la “pedofilia” dell'imputato; lo strano comportamento dell'imputato che non ha alibi tra le 20 e le 21; particolari « genuini» come quello del cane “Pippo” o dei capelli bagnati «come se si fosse appena fatta la doccia» con cui Perruzza uscì di casa al momento dell'allarme per la scomparsa della bimba; le testimonianze tutte concordi «tanto che anche i testi della difesa sono tornati a favore dell'Accusa»; palesi contraddizioni emerse tra le deposizioni del marito e della moglie; le precedenti decisioni di altri organi di giustizia (Tribunale della Libertà e Cassazione sull'istanza di scarcerazione e il Tribunale dei Minore per il figlio) tutti univoche; non può essere stato il figlio tredicenne anche perché «acerbo sessualmente» e perché le mutande macchiate di sangue sono certamente del padre.
Una requisitoria con un solo neo: l'insistenza nell'escludere che possa essere stato il figlio per accusare il padre. Quel ragazzino che, autoaccusandosi, fece dire a Pinelli nella notte di quel 26 agosto che «il caso era chiuso». Oggi la parola alla parte civile.


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