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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 26

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



26. OGGI SCONTRO TRA I PERITI
7. 3. 1991



«Un'altra giornata a favore dell'accusa? Le cose stanno andando come ce l'aspettavamo». Il Pubblico ministero Mario Pinelli parla ai giornalisti che lo hanno “placcato”, già a bordo della sua auto, al termine della seconda, intensa, giornata del “processo Perruzza” davanti alla Corte d'Assise dell'Aquila. Il giovane magistrato diligentemente non enfatizza, ma giudica come «tasselli assai importanti per l'Accusa» i passaggi principali dell'udienza di ieri: gli indizi emersi contro Michele Perruzza ed in particolare quello relativo al cane “Pippo”, al sequestro degli indumenti e ai ricordi della notte del delitto dei genitori di Cristina, la testimonianza del figlio tredicenne del muratore e perfino la deposizione della “superteste” che invece ai più è parsa l'unico passo incerto finora del Pm.
Il cane «Pippo». Il teste Antonio Vozza, dirimpettaio a Case Castella di Perruzza, ha raccontato alla Corte che il 25 di agosto (il giorno dopo il ritrovamento del corpo della piccola Cristina) Perruzza gli disse in tono minaccioso che quel suo bastardino lo doveva legare perché «l'altra mattina» era andato a posarsi sulla pozza di sangue nella siepe di rovi in cui venne ritrovata Cristina.
Su quella frase gettata lì dall'imputato, l'Accusa ha insistito molto collegandola al racconto fatto ieri da altri testimoni secondo i quali Perruzza aveva solo intravisto, il luogo del delitto verso le 10 del 24 agosto, da dietro il “cordone” subito disposto dal magistrato. In sostanza, lasciandosi sfuggire il termine «l'altra mattina». Perruzza si sarebbe tradito facendo intendere di aver visto il cane in quel boschetto prima del ritrovamento di Cristina avvenuto alle 6, 30 dell'alba del 24 agosto. Un lapsus, o un'arrampicata sugli specchi del Pm? «E' un particolare apparentemente insignificante ma proprio per questo genuino» ha detto Pinelli.
Gli indumenti sequestrati. Attraverso la testimonianza di alcuni inquirenti, il Pm con l'appoggio della parte civile (avvocati Giancarlo Paris e Antonio Milo) ha cercato di dimostrare che non ci sono dubbi: la canottiera su cui sono stati trovati i capelli è di Perruzza; le mutande macchiate di sangue trovate sul tetto di casa Perruzza, sono per taglia, misura e marca identiche a quelle trovate in un'improvvisa perquisizione addosso a Perruzza quando era già in carcere e diverse (di ben due misure) rispetto a quelle trovate addosso al figlio tredicenne. E sulle perizie su questi indumenti, che ancor di più appaiono dopo due giorni di processo la prova “regina” contro Perruzza, stamani sarà battaglia tra i periti.
I genitori di Cristina. Il padre Giuseppe Capoccitti e la madre Dina Valentini hanno detto le stesse cose con le stesse, identiche, parole: la loro bambina non era di casa dai Perruzza né l'imputato usava abbracciarla: «Non l'abbiamo mai visto abbracciare suo figlio, figuriamoci una nipotina». Sono state deposizioni “mirate”, come le altre. Ma il dramma dei due genitori, quello sì autentico, ha preso alla gola e non costruito è apparso il loro odio verso “l'imputato” e verso «la moglie dell'imputato che pure se è mia sorella - ha detto Giuseppe Capoccitti - non è più degna del mio cognome».
Dal loro racconto sono state comunque evidenziate numerose contraddizioni con quanto ha raccontato la moglie di Perruzza. In particolare: se la donna ha assistito alla telefonata fatta ai carabinieri dal padre di Cristina intorno alle 23 per segnalare la scomparsa della piccola, perché andò col marito alla stazione dei carabinieri di Balsorano alle 23,40 per dare l'allarme?
L'interrogatorio del tredicenne. Il personaggio-chiave del processo, poiché minorenne, è stato ascoltato a porte chiuse e il suo interrogatorio proseguirà stamani. Riaperte le porte, come era avvenuto per la deposizione dell'altro ieri della madre, le “pareti” hanno raccontato l'interrogatorio dal loro punto di vista. La cosa certa è che il ragazzino ha ritrattato tutto, dicendo che era confuso sia quando s'è autoaccusato che quando ha accusato suo padre: voleva fare il protagonista. Ha fornito la sua quarta versione dopo la confessione, la ritrattazione, e due successivi interrogatori. Un'ultima versione, fatta di risposte col tono astioso del che «ve ne importa a voi», combaciante col racconto della madre.
La superteste. Rosa Perruzza, abitante dirimpetto all'imputato suo cugino, ha confermato che la sera del 23 agosto sentì l'imputato rientrare a casa dicendo «Cristina è morta, è morta». La donna ha confessato di aver taciuto fino al 7 gennaio scorso per paura di ritorsioni sui suoi nipotini. Ma sotto il fuoco delle domande della difesa (avvocato Leonardo Casciere), Rosa Perruzza ha opposto strani «non ricordo».
L'avvocato Casciere l'ha incalzata tentando di riproporre la cosiddetta “terza via”, ovvero l'alternativa alla “verità processuale” secondo la quale l'assassino è in casa Perruzza: «Signora, vuole forse coprire suo figlio Dino Capoccitti a cui furono sequestrati alcuni indumenti con macchie rossastre?». «Quelle macchie, fatte analizzare, sono di pomodoro e Dino ha un alibi di ferro» è intervenuto Pinelli “gelando” la difesa e forse definitivamente la “terza via”.


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