Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 11
Un saggio di Angelo De Nicola
11. LO ZIO RESTA IN CARCERE
23. 9. 1990
E' passato un mese da quella notte del 23 agosto. Sono passati ventotto giorni dall'alba di lunedì 27 agosto, quando Michele Perruzza, zio della piccola Cristina, è finito in carcere con l'accusa di essere il bruto. Dove il quarantenne muratore dovrà restare. Ieri pomeriggio il Gip ha infatti notificato la sua (repentina) decisione di rigetto dell'istanza di scarcerazione presentata giovedì scorso dalla difesa (gli avvocati Carlo e Mario Maccallini). Per il giudice Rossi esiste il pericolo di inquinamento delle prove e gli indizi sono sufficienti per mantenere la misura di custodia cautelare.
Un mese. Trenta giorni in cui l'assassinio di Balsorano è stato «un giallo inestricabile», «un'appassionante telenovela», «una partita a poker tra accusa e difesa». Definizioni calzanti e che ben descrivono i colpi di scena a ripetizione, l'interesse morboso dell'opinione pubblica, la difficoltà e la delicatezza di indagini oltretutto da svolgere nella nuova filosofia, esaltata da alcuni (pochi) criticata da altri (tanti) del nuovo codice di procedura penale. Tutte definizioni che, però, non rendono giustizia, anzi offendono una bimba di 7 anni, assassinata dopo un brutale tentativo di violenza carnale. Il che molti troppo spesso dimenticano.
La certezza. Dopo un mese una sola conclusione appare incontestabile: da nessuno e da nessuno elemento è mai emersa un'alternativa al “mostro” locale. «E' uno del posto, è uno di cui Cristina si fidava per averlo seguito nel boschetto di more» si è detto fin dalle prime ore scartando subito la pista del bruto venuto da chissà dove: una pista appena esplorata e subito abbandonata. E il cerchio si è incominciato a stringere intorno a quelle quattro abitazioni di Case Castella dove sono tutti parenti. Poi, il cerchio si è stretto ancora di più su un cugino ventenne della piccola il cui alibi sembrava vacillare e su uno zio, Michele Perruzza. Racconta la moglie del muratore Maria Giuseppa Capoccitti nel suo memoriale: «E' stato mio cugino Fernando ad indirizzare i sospetti su Michele rivelando agli inquirenti: «Andate a controllare in casa Perruzza perché l'anno scorso Michele ha tentato di insidiare mia figlia, offrendole 20.000 lire».
La casa di Perruzza. Da qui, scattato l'allarme per la scomparsa della piccola, Michele esce un po' più tardi degli altri «come se si fosse fatto da poco la doccia» dirà qualcuno. Con la moglie, il muratore si allontana in auto da Case Castella: «Siamo anche andati a Balsorano Nuovo, da alcuni parenti, nella speranza che Cristina si fosse fermata a casa loro» racconta ancora nel suo memoriale la signora Perruzza. Dove sono andati? Hanno parlato con qualcuno? E perché la loro casa da quella sera sarà praticamente sempre chiusa? Forse perché l'abitazione è stata costantemente piantonata e sorvegliata visto che sui Perruzza si sono subito concentrati gli occhi di tutti?
La confessione del tredicenne. E' in questa atmosfera che arriva la confessione del secondogenito dei Perruzza. Il ragazzetto vede il padre tra due carabinieri e sbotta: «Sono stato io». La sua autoaccusa è così convincente che porta il magistrato a dichiarare: «Il caso é chiuso». Come mai sapeva, nei particolari, gran parte di ciò che era accaduto? Poi, però Mauro ritratta e accusa il padre. Accusa confermata e avvalorata dalla madre. Entrambi forniscono particolari importanti anche se il giorno stesso esprimono l’intenzione di ritrattare: «Sono stata costretta» dirà la signora Perruzza.
La “superprova”. Molti pensano che la prova che inchioderà Perruzza sarà la certezza, fornita dalle analisi di laboratorio, che il sangue e i capelli trovati, a distanza di tempo in quella casa sempre chiusa. Ma forse la superprova non è altro che un assemblaggio delle varie testimonianze rilette e verificate accuratamente attraverso la logica del controllo “incrociato”. E tale “replay” ha fatto emergere indizi che vanno contro Perruzza. Univocamente. Basteranno le enormi contraddizioni, scolpite nei verbali dell'accusa e che non sono “prova” nel dibattimento, a condannare un uomo all'ergastolo con l'infamante accusa di essere il mostro?
Il Tribunale della Libertà. In questa sede potrebbero già venire le prime risposte ai tanti interrogativi. Questo primo “processo“ ci sarà tra pochi giorni; la difesa ha già annunciato che presenterà appello contro la decisione presa ieri dal Gip di rigettare l'istanza di scarcerazione. Un primo “processo” in cui la difesa tenterà di costringere l'accusa a scoprire le proprie carte, ma in quella occasione le precise accuse del figlio tredicenne e di Maria Giuseppa Capoccitti, agli atti del Pm e mai ufficialmente ritrattate, peseranno su Perruzza come macigni.
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