La Missione di Celestino - Capitolo 5
Un romanzo di Angelo De Nicola
Anche l’antivigilia del giorno d’avvio dei festeggiamenti, previsto per il 24 agosto, era filata via tranquilla. Tranquilla si fa per dire. La solita giornata al lavoro, a contare e ricontare i tombini, studiare lo snodarsi della fognatura, valutare le finestre insistenti sul percorso che avrebbero fatto le auto del corteo papale. Poi stessa analisi, ai “raggi x”, del breve, ma ritenuto insidiosissimo, tragitto che, a bordo della “Papamobile” blindata, Sua Santità avrebbe fatto lungo il prato di Collemaggio per giungere prima sul sagrato e, quindi, alla Porta Santa. Centoquindici uomini vennero assegnati, notte e giorno, nella sola area del prato anche per controllare ciascuno dei centosei alberi presenti: quarantotto sul lato sinistro, cinquantotto su quello destro.
Il solito orzo e due espressi fino alla tarda mattinata; un tramezzino con un tè freddo per pranzo; due moca nel pomeriggio. Poi a cena la consueta abbuffata anche per giustificare il quasi mezzo litro di digestivo, genziana ovviamente. Che non doveva essere stata delle migliori nonostante l’oste l’avesse declamata come frutto delle più pregiate radici di questa pianta tipica del Gran Sasso. Il giorno dopo, infatti, il signor Giacomo aveva la bocca impastata. Questa almeno fu la sua prima sensazione quando, alle 7, una telefonata sul cellulare lo svegliò invitandolo a precipitarsi in Municipio.
«È arrivato sul numero di fax dell’Ufficio stampa, ovvero sul recapito che risulta citato nei comunicati. No, non ha alcuna intestazione. Abbiamo anche controllato il report dell’apparecchio: “mittente sconosciuto”» disse il sovrintendente consegnando il foglio, come fosse una reliquia, al signor Giacomo.
«Trovatemi il numero della ditta che produce il fax e chiamatemi un tecnico della Telecom. Presto! Nulla può sfuggire ai tabulati. Anzi no, non chiamate nessuno, me ne occupo io: potrebbe essere partito da un posto pubblico affollato e, perciò, risalire a chi l’ha spedito sarebbe come trovare un ago in un pagliaio. Chi l’ha fatto di sicuro ha usato ogni cautela. Oltretutto potrebbe essere stato spedito via internet da un’utenza creata ad hoc. No, pur volendo non risaliremmo a nulla di concreto ed alzeremmo soltanto un inutile polverone. Lo dico per esperienza: meglio una strategia di riservatezza nei nostri movimenti senza farsi prendere dal panico nelle reazioni. Siamo arrivati al dunque: nessuno deve sapere nulla. Chi è a conoscenza dell’arrivo di questo fax?».
«Il capo dell’Ufficio stampa, che l’ha preso, sulla cui riservatezza si può contare, e il sindaco al quale è stato da me illustrato per telefono. Nessun altro. Ma lei, quindi, già esclude che possa essere un falso allarme? Un mitomane? Uno scherzo?».
Il signor Giacomo girava e rigirava il foglio tra le mani. Presentava una scritta a pennarello, su una riga, in un anonimo stampatello: “del jet prefisse radiocomanderai su volo”. Sotto la scritta una sequenza numerica intervallata da dei punti, come fosse un numero di telefono, ma di un’utenza non italiana: “190.219.75”.
«Un mitomane, lei dice? Può darsi. Ma dobbiamo fare tutte le verifiche. E anche di più. Questa frase, questo numero! Chi li ha messi insieme vuole certamente darci un messaggio. Un messaggio così raffinato, a prima vista non mi pare opera di un mitomane».
«“Jet” e “radiocomanderai”. Se è come dice lei, non mi pare sia un messaggio di auguri» pensò ad alta voce il sovrintendente.
«Senta, sono sicuro che in questo foglio c’è un messaggio preciso. Mettiamoci al lavoro».
Il solito orzo e due espressi fino alla tarda mattinata; un tramezzino con un tè freddo per pranzo; due moca nel pomeriggio. Poi a cena la consueta abbuffata anche per giustificare il quasi mezzo litro di digestivo, genziana ovviamente. Che non doveva essere stata delle migliori nonostante l’oste l’avesse declamata come frutto delle più pregiate radici di questa pianta tipica del Gran Sasso. Il giorno dopo, infatti, il signor Giacomo aveva la bocca impastata. Questa almeno fu la sua prima sensazione quando, alle 7, una telefonata sul cellulare lo svegliò invitandolo a precipitarsi in Municipio.
«È arrivato sul numero di fax dell’Ufficio stampa, ovvero sul recapito che risulta citato nei comunicati. No, non ha alcuna intestazione. Abbiamo anche controllato il report dell’apparecchio: “mittente sconosciuto”» disse il sovrintendente consegnando il foglio, come fosse una reliquia, al signor Giacomo.
«Trovatemi il numero della ditta che produce il fax e chiamatemi un tecnico della Telecom. Presto! Nulla può sfuggire ai tabulati. Anzi no, non chiamate nessuno, me ne occupo io: potrebbe essere partito da un posto pubblico affollato e, perciò, risalire a chi l’ha spedito sarebbe come trovare un ago in un pagliaio. Chi l’ha fatto di sicuro ha usato ogni cautela. Oltretutto potrebbe essere stato spedito via internet da un’utenza creata ad hoc. No, pur volendo non risaliremmo a nulla di concreto ed alzeremmo soltanto un inutile polverone. Lo dico per esperienza: meglio una strategia di riservatezza nei nostri movimenti senza farsi prendere dal panico nelle reazioni. Siamo arrivati al dunque: nessuno deve sapere nulla. Chi è a conoscenza dell’arrivo di questo fax?».
«Il capo dell’Ufficio stampa, che l’ha preso, sulla cui riservatezza si può contare, e il sindaco al quale è stato da me illustrato per telefono. Nessun altro. Ma lei, quindi, già esclude che possa essere un falso allarme? Un mitomane? Uno scherzo?».
Il signor Giacomo girava e rigirava il foglio tra le mani. Presentava una scritta a pennarello, su una riga, in un anonimo stampatello: “del jet prefisse radiocomanderai su volo”. Sotto la scritta una sequenza numerica intervallata da dei punti, come fosse un numero di telefono, ma di un’utenza non italiana: “190.219.75”.
«Un mitomane, lei dice? Può darsi. Ma dobbiamo fare tutte le verifiche. E anche di più. Questa frase, questo numero! Chi li ha messi insieme vuole certamente darci un messaggio. Un messaggio così raffinato, a prima vista non mi pare opera di un mitomane».
«“Jet” e “radiocomanderai”. Se è come dice lei, non mi pare sia un messaggio di auguri» pensò ad alta voce il sovrintendente.
«Senta, sono sicuro che in questo foglio c’è un messaggio preciso. Mettiamoci al lavoro».
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