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La Missione di Celestino - Capitolo 3

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


Il sovrintendente era rimasto recluso nel suo ufficio-rifugio. Da tre giorni non si campava più. Le maggiori testate nazionali di carta stampata, tv, radio e web, comprese le principali straniere, avevano scoperto Celestino V, il Perdono e la Perdonanza. E per il sovrintendente, dopo anni di quinte ammuffite, era venuto il momento della ribalta. Quell’interesse globale gli era sembrato eccessivo. Si domandava perché fino ad allora, nonostante la consolidata tradizione e gli sforzi ciclopici sostenuti per la promozione dell’evento nelle passate edizioni, nessuno s’era mai accorto che esisteva un’altra Porta Santa al di fuori di Roma in una basilica dov’era possibile lucrare l’indulgenza plenaria da tutti i peccati; dov’era stato celebrato il primo Giubileo “inventato” da un eremita diventato prima pontefice e poi santo, e dov’erano custodite le spoglie del Papa della Pace.
«A me questo Celestino sembra uno sfigato. Inventa la pila il giorno prima di Alessandro Volta ma non ha uno straccio di rete tv per pubblicizzarla. E resta fregato».
«Casomai resta...assassinato, caro signor Giacomo, giornalista dei miei stivali. Lei è un agente segreto, altro che inviato dell’Osservatore Romano. Agente segreto. E pure ignorante. Il sindaco mi ha ordinato di obbedir tacendo. Ed io così farò. Ma almeno si sciacqui la bocca prima di parlare di Celestino V».
«Signor sovrintendente dei miei calzini, perché sennò offendo i miei mocassini, sarebbe opportuno che lei abbassasse la voce, visto che siamo in un bar dove le orecchie sono buone come l’orzo, “orzo cream” mi hanno detto che si chiama, che ho appena assaporato. Che le piaccia o no, io sono l’inviato dell’Osservatore Romano. Chiuso il discorso».
«E io sono il Papa!...».
«Sì, Celestino V».
«Magari lo fossi stato».
«Ma se fu un vigliacco a lasciare il papato...».
«Signor Giacomo, James, James...Tont, lei sputa sentenze senza nemmeno sapere di cosa sta parlando».
«L’ho letto su internet».
«Bella roba!».
«Meglio di niente e, soprattutto, roba comoda comoda. Eppoi sono qui apposta: il mio giornale mi ha inviato per saperne di più e spiegarlo ai lettori».
«Le serve un corso accelerato».
«Prima cominciamo, meglio è».
«Cominciamo da quello che sa, da internet insomma».
«Devo aver da qualche parte una stampata che ora non ritrovo. Vado a memoria: nel 1492, Pietro Angelerio emana la Bolla...».
«Sì, e poi parte sulla Niña, con dietro la Pinta e la Santa Maria, e sbarca in America il 14 ottobre».
«Che c’entra Colombo?».
«La data...».
«Quale data?».
«Correva l’anno 1294 non il 1492. Lei ha posposto i numeri. Non mi pare un buon segno. È come se a “007” togliessimo l’ultima cifra».
«Che fa, offende?».
«Non mi permetterei mai...È che lei vorrebbe condensare oltre settecento anni di storia in un click di mouse su un buon motore di ricerca in internet. Impossibile. Sono decenni che noi sputiamo sangue su libri e documenti».
«Mi ascolti: lei ha ragione. Ma io e lei siamo sulla stessa barca, diciamo la Niña. Se affondo io, lei va a picco. Se mi reggo a galla io, lei si regge. Se vinco io, lei vince. Lei corre appresso alla Storia. Io le dico che la Storia sta correndo appresso a noi due. Se lo immagina un titolo a tutta pagina: “Assassinato il Papa alla Perdonanza”? O le “breaking news” della Cnn e di Al Jazeera con il marcavideo “Pope Killed”? La fine del mondo. Io non sono Colombo né l’omonimo tenente. Ma ho qualche competenza per affermare che, con quel che accade nel mondo, credo proprio che stiamo spingendo il Papa dritto dritto nella bocca del leone. Questa è una città fuori del mondo e, dunque, vulnerabilissima. Non sono i tempi di Braccio da Montone, delle cui gesta ho letto qualcosa, su internet ovviamente, incuriosito dalla citazione che m’ha fatto il sindaco. Siamo in una nuova éra, il cui Anno Zero è segnato dall’attentato alle Twin Towers. L’impossibile è diventato il possibile, pienamente possibile».
«Mi perdoni per l’ironia, signor Giacomo: la stanchezza e la tensione a volte giocano brutti scherzi. Quest’orzo mi tirerà su. Mi dica cosa ha letto su Celestino V. Il Papa vigliacco, come dice lei».
«Ecco, ho qui nella tasca della giacca la stampata: “‘Vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto’. Numerosi sono stati i tentativi di dare un nome a questo personaggio. Alcuni lo identificarono con Esaù, che rinunciò alla primogenitura per un piatto di lenticchie, altri con Ponzio Pilato, altri con Giuliano l’Apostata. Gli antichi commentatori, tuttavia, non ebbero esitazioni nell’identificarlo con Pietro dal Morrone”».
«Su Dante il discorso è lungo e assai complesso. Io, nel mio piccolo, sono d’accordo con chi sostiene che il Sommo Poeta non si riferisse a lui. In quel girone dell’Inferno ci sono, infatti, persone non battezzate. Se è così, come poteva Dante riferirsi a un Papa? Inoltre l’Alighieri sta trattando del processo a Cristo e, quindi, è ipotizzabile che “il gran rifiuto” lo fece chi aveva a che fare con quell’evento. Ma c’è anche un’altra considerazione da fare: Dante agognava ad una riforma della Chiesa proprio come la voleva Celestino V. Come poteva “bocciarlo” per viltà? No, Dante proprio non si riferisce al nostro Papa alla cui incoronazione, con tutta probabilità, assisté di persona quale membro della delegazione dei dignitari del Governo di Firenze. E poi, il Petrarca subito lo riabilita».
«Ho letto da qualche parte di questa presunta partecipazione a Collemaggio di Dante. Non se ne sa di più?».
«Anni fa si cercò di strumentalizzare, a fini propagandistici della Perdonanza, la questione della presenza dell’Alighieri alla cerimonia. Si coniò lo slogan “Io c’ero”. Ma non ebbe grande fortuna».
«Peccato! Era una bella idea... Ma tornando al Petrarca, nella mia stampata è scritto il contrario. Glielo leggo: “Fatto sta che anche il Petrarca, nel ‘De vita solitaria’, lo considerò un ‘vile’. Tuttavia, a differenza di Dante, che vedeva le cose in maniera alquanto idealistica, il Petrarca ritenne che quella rinuncia fosse stata ‘utile a lui e al mondo per l’inesperienza degli affari, perché era uomo di assidua contemplazione, per l’amore alla solitudine’. Petrarca, in un certo senso, mostrava più pragmatismo di Dante, per quanto nessuno dei due avesse mai messo in discussione il fatto che il Papato dovesse avere un ruolo politico. Dante infatti voleva un pontefice disposto a collaborare alla pari con l’Imperatore. Quale terribile delusione dovette subire quando, dopo Celestino, vide salire al soglio Bonifacio VIII, la quintessenza del conservatorismo! Proprio Bonifacio VIII sarà poi causa del suo esilio da Firenze e, a suo giudizio, causa ultima della rovina della stessa città. Al contrario, il Petrarca voleva soltanto un pontefice ‘capace’, ‘affidabile’, come avrebbe dovuto essere nella migliore tradizione della Chiesa cattolica. Nessuno dei due seppe mai valorizzare, sul piano umano e politico, il rifiuto di Celestino V. Va però detto che Dante non nomina mai il pontefice, pur essendo l’unico ch’egli riconosca nel girone degli ignavi. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, pur dovendo condannare il politico alle pene eterne dell’inferno, non si sente d’infierire sull’uomo, cui unica colpa fu la debolezza di non saper regnare. Ecco perché lo riconosce soltanto, senza incontrarlo. Dante non può mettersi a parlare sul piano umano con una persona cui non riconosce neppure il titolo di ‘avversario politico’. Dante sta a Machiavelli come Petrarca sta a Guicciardini”».
«Non è poi robetta, quella che ha trovato su internet. Devo confessare che anch’io saccheggio la Rete a piene mani per la comodità e la rapidità della risposta nelle ricerche. Per noi poveri mortali internet ha ormai soppiantato la biblioteca. Se sai cercare, trovi qualunque cosa, per giunta comodamente seduto davanti al tuo computer, gratis e senza dover scartabellare polverosi archivi. È un male, lo so. Non c’è più il fascino della biblioteca con il suo inconfondibile odore di muffa. Ma è un male necessario visti i tempi ristretti imposti dall’imperare delle tecnologie e visto che tale virtuale biblioteca universale è davvero accessibile a tutti. Il virtuale diventa, dunque, la “verità”. Certo, se vuoi approfondire, se sei davvero uno studioso, ci vogliono le biblioteche. Ma se non tieni conto della Rete corri, comunque, il rischio di restare fuori dal circuito delle “verità”, vere solo perché conosciute o più conoscibili».
«Che lezione di filosofia virtuale!».
«Il caffè lo pago io, se permette. Meglio andare. Abbiamo molto da lavorare. Altro che filosofia!».


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