Celestino V, l'Uomo dell'Oltre
Intervento di S.E. Mons. Filippo Strofaldi, vescovo di Ischia,
in occasione del convegno su ”I sentieri della spiritualità”
Conservatorio San Pietro a Maiella - Napoli, 1 aprile 2006
in occasione del convegno su ”I sentieri della spiritualità”
Conservatorio San Pietro a Maiella - Napoli, 1 aprile 2006
La storia della santità, come viene descritta nei nostri libri classici di agiografia è spesso una storia di vertici, cioè una storia di grandi leaders, di grandi condottieri spirituali, di persone straordinarie baciate dalla gloria con l’aureola di santità. Invece la vera storia di santità, anche se passa attraverso ruoli importanti, è sempre una storia di periferia, una storia di persone umili e semplici scelte da Dio per il suo disegno di salvezza, E' fatta perciò di gente spesso sconosciuta agli occhi degli uomini o conosciuta per gesti ritenuti pavidi, per non dire vili (”per viltade” scriveva Dante), ma infinitamente preziosi agli occhi di Dio.
Anche le nostre storie sono condotte dalla provvidenza di Dio e si consumano per lo più, nella vita quotidiana, feriale, nell'oggi del nostro tempo, nell'hic et nunc della nostra esistenza.
Possiamo dire che viviamo la nostra vita di ogni giorno nei cantieri umani con tutta la fatica, nel silenzio e nella semplicità.
Al massimo, se chiamati a gravi responsabilità, ricopriamo con amore e modestia ”una vita da mediano” senza coniugare il fascino della primadonna o il look del protagonista, senza la smania di emergere a tutti i costi mettendo da parte gli altri.
Il vero santo è serio e autentico, non cerca il premio della popolarità o l'oscar del consenso per emergere nel traffico del mondo e farsi notare dagli altri.
Il vero santo ama allora il silenzio, la discrezione, la semplicità e il ritorno nell'ombra, anche se, suo malgrado, si è trovato sotto le luci della ribalta.
E San Pietro del Morrone, sin da giovane, ha preferito l'obbedienza alla volontà di Dio, una vita umile e semplice, l'austerità e la povertà delle scelte.
La sua austerità di vita, la penitenza, le mortificazioni, i digiuni non erano, come oggi, digiuni estetici (per dieta) o digiuni patologici (anoressia) o digiuni di protesta pannelliana, ma segni dell'interiorità dall'uso moderato e non dall'abuso dei beni di consumo, in vista del ”quod superest date pauperibus”.
Il suo silenzio non è stato un silenzio prudenziale; a volte noi stiamo zitti per non comprometterci o per paura. No.
Pietro, eccetto la parentesi del Papato (e parentesi è stata) ha vissuto il silenzio come ascolto di Dio nella propria vita e come voce della volontà divina. In realtà il silenzio dell'ascolto è una voce che parla, è la voce del silenzio, anzi, meglio, è il canto del silenzio (”silenzio cantatore”).
Il suo, insomma, non è stato, come si dice oggi, un silenzio stampa dettato dal calcolo o dalla protesta come quello dei divi del calcio, della politica e dei grandi personaggi dello spettacolo. Non è questo il silenzio dove si ascolta la volontà di Dio.
II silenzio di Pietro è un silenzio interiore che consuma i suoi pensieri profondi nelle grotte o negli eremi, nel monastero o sui monti e si traduce nell'attuare la volontà di Dio nella propria esistenza.
Così divenne l'uomo dell'oltre, non del ”buio oltre la siepe”, ma della luce oltre la siepe, oltre gli orizzonti sfocati da cortile, oltre la staccionata dei nostri interessi, oltre gli intrighi della politica, oltre il pantano di una religiosità fondamentalista, oltre le prevaricazioni del potere temporale o del potere religioso dimenticando l'equilibrio di ”dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
Vero è che il brevissimo pontificato di Pietro del Morrone, l'eremita divenuto papa con il nome di Celestino V è fra quelli sui quali maggiormente la storiografia si è cimentata per cui anche la sua rinuncia o abdicazione alla carica venne interpretata già dai suoi contemporanei in modi contrastanti ”multi multa dicunt” ieri durante l'arco quasi secolare della sua vita 1210-1296, come ai nostri giorni quando scadiamo nel ridicolo equivocando ogni parola, frase o atteggiamento.
E così padre Dante interpretò le sue dimissioni come ”un gran rifiuto” addirittura ”per viltade”, altri come Petrarca intravide un gesto di grande libertà interiore compiuto da uno spirito angelico che non sopportava le imposizioni dettate dal compromesso di una guida suprema spirituale, come il papato, impastoiato di commercio, interesse e politica e di ”movimenti metallurgici”.
A me piace invece vedere sempre in Pietro del Morrone, la ricerca dell'oltre.
Sin da giovane avverte l'esigenza di andare oltre una normale scelta religiosa, di per se stessa già eroica, in un monastero benedettino e perciò lasciò il cenobio per diventare eremita sui monti abruzzesi.
Rientrato a Roma per essere ordinato prete avvertì subito dopo il bisogno spirituale di ritirarsi in una grotta sul monte Morrone vicino Sulmona, assumendone il nome appunto di Pietro dal Morrone con il quale viene sempre chiamato. E quando i pellegrini, attratti dalia sua vita di santità, crescevano di numero nelle frequenti visite, ancora andò oltre in luoghi inaccessibili della Maiella dove fondò l'eremo di Santo Spirito con alcuni discepoli (1252). Il Papa Urbano IV inserì nell'Ordine benedettino gli eremiti di Santo Spirito, ma Pietro dettò norme disciplinari e liturgiche ”oltre” la già severa Regola di San Benedetto e perciò, appena si consolidò il Monastero di Santa Maria del Morrone, ancora una volta Pietro affidò ad un altro religioso la direzione e si ritirò in una grotta solitaria.
E fu dal nuovo eremo di Sant’Onofrio, che Pietro fu chiamato dai cardinali riuniti in conclave (1294) alla guida della Chiesa per la sua grande fama dì santità e saggezza.
E fu Celestino V a 85 anni.
Acclamato come un papa angelico e spirituale suscitò grande entusiasmo nel suo ingresso all’Aquila, paragonato dalla fantasia popolare a Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme nella domenica delle Palme.
Due ali di folla accolsero un vecchio e povero eremita, Cristo in terra, su un asinello condotto per le briglie da un re ( Carlo Il d'Angiò) e da un principe (Carlo Martello).
Il tempo di nominare alcuni cardinali, di concedere alla chiesa di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila I'indulgenza plenaria, nota come ”La Perdonanza celestiniana” e di farsi costruire una piccola cella di legno qui a Napoli, in Castelnuovo, che dopo pochi mesi di pontificato, all'approssimarsi dell'Avvento, realizzò il suo ultimo ”oltre”, addirittura ”oltre il Papato”, nel desiderio di ritirarsi nel suo eremo sulle montagne abruzzesi.
Ma questa volta il suo ultimo ”oltre” fu sviato (e questa è una verità storica che non può essere ”insabbiata” come si dice oggi, anzi come si fa oggi) dall’intervento del suo successore Bonifacio VIII che lo fece rinchiudere in una torre del Castello di Fumone nei pressi di Ferentino dove Pietro del Morrone, già Celestino V, il ”povero cristiano” di Ignazio Silone concluse la sua ”avventura” sfociando, finalmente nell'oltre di Dio. Era il 19 Maggio 1296.
E noi, a distanza di secoli, ne facciamo memoria e lo veneriamo come santo, come icona di ricerca al di là delle cose o come mi è piaciuto chiamarlo il ”povero cristiano dell'oltre”, per saper ritrovare anche noi la vera dimensione della spiritualità nell'oltre.
Napoli, 1 aprile 2006
S.E. Mons. Filippo Strofaldi,
vescovo di Ischia
vescovo di Ischia