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I Segreti Dietro e Dentro la Maschera

La Maschera di Celestino Le continue sollecitazioni emerse durante il "tour" estivo di presentazioni di "La maschera di Celestino" e, soprattutto, le sempre più pressanti richieste via e-mail, mi hanno indotto a mettere a disposizione dei pazienti Lettori una serie di precisazioni, indicazioni e spunti (magari per eventuali ricerche autonome) su alcuni dei passaggi nodali del romanzo.


Le citazioni

Innanzitutto, appare decisivo precisare, come peraltro si desume sia dai dialoghi dei due protagonisti che dal tenore della quarta di copertina, che le citazioni tra virgolette sono "virtualmente vere" o "vere virtualmente", scegliete voi. Ovvero sono tutte tratte (rectius: copiate) da testi esistenti su Internet. Mi è stato chiesto: perchè questa scelta? Perchè non "rimpastare" il concetto e farlo proprio? Perchè, in sostanza, "copiare"? Ho ritenuto di trasfondere nel romanzo lo stesso "tour virtuale" che ho fatto io nella Grande Rete. Grazie alla straordinaria "facilità" (come, peraltro, faccio dire ai protagonisti che discutono più volte della qualità e opportunità di ciò che è tratto da Internet) con cui si trovano informazioni a "colpi di mouse", ho scoperto un mondo parallelo a quello della storiografia ufficiale su Celestino V (immagino, anzi ne sono certo, che ce ne sia uno anche su altri argomenti). Così, sfruttando la "copertura" della forma del romanzo (perciò ho definito le schede "virtualmente vere" o "vere virtualmente") ho introdotto nella fiction le scoperte, le sensazioni, i paragoni e i parallelismi (alcuni davvero arditi!) nella loro forma e sostanza originale. Scoperte, sensazioni, paragoni e parallelismi che non sono miei e dei quali, dunque, sarebbe stato ingiusto e scorretto appropriarmi magari approfittando della scusa dell'invenzione letteraria. Non solo. Il "tour" su Internet consente al Lettore moderno e smaliziato, di fare lo stesso percorso che ho fatto io "scegliendo da sé le strade attraverso le quali avventurarsi".


La bibliografia

Fatta questa premessa, ecco doverosamente la (certo singolare) bibliografia del romanzo che anche l'Editore (su mia richiesta dopo un disguido iniziale) ha opportunamente inserito in fondo al testo. Eccola:
  • www.celestinian-center.com, M.G. LOPARDI, Emerge il vero volto di Celestino (pp. 54-56); M.G. LOPARDI, L'eredità di Celestino (pp. 58-61, 85-87);
  • www.controluce.it, A. RESTIVO, Via Caetani: Bonifacio VIII Caetani... Celestino V... (p. 71);
  • www.emsf.rai.it, F. CARDINI, Le crociate di Luigi IX (pp. 62-63);
  • www.homolaicus.com, Celestino V fu davvero un vile? (pp. 21-22);
  • www miserabili com [non più on line], La profezia di Malachia: l'Ultimo Papa (p. 98);
  • www profesnet it [non più on line], M.C. NICOLAI, La preghiera di Celestino (pp. 37-40);
  • www.societadantealighieri.it (p. 20);
  • www.stupormundi.it, M. LABAS, Luigi IX, re di Francia: San Luigi (pp. 56-57);
  • www.vatican.va, Omaggio di Paolo VI a San Celestino V (pp. 79-80); Omelia di Giovanni Paolo II (p. 102-106);
  • www.voyager.rai.it, Il segreto di Celestino (pp. 57 e 58);
  • http://fc.retecivica.milano.it, M. DE RIGO, Il mistero della Madonna Nera di Loreto (p. 63).
  • A. ESPOSITO, Ricordo a sessant'anni dalla guerra Carlo Confalonieri, il vescovo che salvò la città dai tedeschi, in "Il Messaggero" edizione Abruzzo, 27.05.2003, (p. 115);
  • M.G. LOPARDI, Il colle magico di Celestino, Japadre, L'Aquila-Roma 2000, pp. 29-30, 32, 35, 83-85, 87, 95-97;
  • Omelia del Card. Josè Saraiva Martin, in "Bollettino ufficiale dell'Arcidiocesi dell'Aquila", n. 9, anno XXVI, settembre 2004 (pp. 102-106).


Maria Grazia Lopardi ed il suo "Colle magico di Celestino"

Un discorso a parte merita la citazione delle schede della studiosa e scrittrice aquilana Maria Grazia Lopardi. Perchè se è vero che "il modello "alto" dell'invenzione letteraria di De Nicola- scrive la Maraini nella sua prefazione al libro- è, forse, Umberto Eco che nel suo "Il nome della rosa" rivela la trama razionale di ciò che a tutta prima appare arcano e misterioso. Ma qui siamo lontani dalla ricostruzione dell'ambiente e delle atmosfere medioevali ed è piuttosto l'oggi, con i suoi lati oscuri e le sue piccole e grandi miserie a fare da sfondo ad una storia che ha il sapore della commedia e dove due sole voci hanno il compito di raccontare un città e una leggenda che affonda le sue radici nel passato mitico dell'Europa cristiana". Se questo è vero, va anche detto che l'Opera ha di sicuro un altro modello, un'altra fonte di ispirazione, più vicina a me perchè animata dal medesimo interesse verso la città che vide l'incoronazione di Pietro del Morrone e verso lo stesso Celestino V il papa del Perdono: si tratta, appunto, di Maria Grazia Lopardi autrice de "Il colle magico di Celestino"- da cui sono tratte alcune delle schede (pp. 54-56, 58-61, 85-87) citate dai protagonisti del romanzo- dove viene proposta una lettura nuova delle vicende legate alla vita terrena di San Pietro Celestino.


Gli anagrammi

Anche gli anagrammi contenuti nel romanzo meritano un discorso a parte. Anch'essi sono "virtualmente veri". Esiste infatti un originalissimo sito (vai al sito) con il quale ci si può divertire fino all'infinito con gli anagrammi. Provate, vi divertirete un mondo!


I discorsi dei Papi

Veri, e stavolta non solo virtualmente, sono anche i discorsi dei papi Paolo VI (il primo settembre 1966 al castello di Fumone) e Giovanni Paolo II (il 30 agosto 1980 all'Aquila, sul sagrato della basilica di Collemaggio) che ho usato nel romanzo. Di Giovanni Paolo II, per la verità, è sfruttato soltanto il primo capoverso visto che in quel famoso discorso (importante soprattutto per la questione dell'aborto), non è stranamente mai citato "il padrone di casa", ovvero Celestino V. E' opportuno, dunque, riportare integralmente i due discorsi papali che ho trovato su Internet sul sito del Vaticano (www.vatican.va).



Omaggio di Paolo VI a San Celestino V

Fumone (FR), giovedì 1° settembre 1966


Il cuore del Papa trabocca di commozione, di gratitudine per l'accoglienza entusiastica e il primo grazie va al Vescovo, nella persona del quale il Santo Padre benedice l'intera diocesi di Anagni con il Clero, le Associazioni di Azione Cattolica lì riunite in convegno; l'intero popolo; le autorità civili, militari e politiche, a cominciare dal Sindaco, che Sua Santità ha poco prima incontrato.

Diciotto anni or sono il Papa visitò Fumone e la contrada circostante; non c'era allora la bella strada attuale e neppure l'acqua; anche la campagna gli sembro meno rigogliosa, né vi erano alcune industrie ora sorte.

E perciò il Santo Padre vuole benedire, con la diletta popolazione, anche il progresso realizzato e le trasformazioni che il progresso porta con sé. Esorta quindi la popolazione a profittare di questi miglioramenti e a restare sempre figli buoni della Chiesa, bravi cristiani, solleciti anche del bene altrui.

Il principale scopo della visita è quello di rendere onore a San Celestino V perché fu Papa, fu santo e morì a Fumone. Dalla vita di San Celestino il Papa vuol trarre due insegnamenti.

Il primo insegnamento ce lo dà la storia, che ci riporta a circa 700 anni or sono, mentre il medioevo si avvia al suo tramonto e fa vedere già l'alba di nuove condizioni di vita per Roma, per l'Italia, per l'Europa intera.

La figura di Celestino V, come Pontefice, ci richiama alle origini della Chiesa, all'investitura data da Nostro Signore a San Pietro e ai suoi Successori: dobbiamo meditare su questa continuità apostolica, che supera vicende le quali sembrano le meno propizie e si perpetua fino a noi e nei secoli avvenire perché c'è il dito di Dio, una presenza divina nella Chiesa.

Ecco il tempo di Pietro di Morrone: ventisette mesi di interregno nella Sede Apostolica; i Cardinali ridotti a dodici e in contrasto tra loro; tempi terribili.

E Pietro Morrone, il santo eremita, è eletto ed è invitato ad ascendere sulla Cattedra di Pietro. Dopo aver esitato, accetta per dovere, e fa ingresso in Aquila sopra un asinello, come Nostro Signore, ma trova là due Re ad attenderlo.

Ecco l'essenza della Chiesa, ecco il destino di Roma sede del Successore di Pietro: ovunque la decadenza è fatale, ma nella Chiesa c'è un carisma, c'è la promessa e la presenza divina: "Io sarò con voi fino alla fine dei secoli".

Questo è il miracolo vivente del cattolicesimo.

Il secondo insegnamento è dato dalla santità, dall'intreccio delle virtù cristiane con tutte le miserie e umane debolezze, che ne sono superate.

San Celestino V, dopo pochi mesi, comprende che egli è ingannato da quelli che lo circondano, che profittano della Tua inesperienza per strappargli benefici. Ed ecco rifulgere la santità sulle manchevolezze umane: il Papa, come per dovere aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante scrisse - se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino - ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere.

E morì qui, segregato, perché altri non potesse profittare ancora della sua semplicità ed umiltà, e la morte non fu per lui la fine, ma il principio della gloria, oltre che nel paradiso, anche sulla terra.

Concludendo le sue parole, Paolo VI, prima di rinnovare la sua benedizione alla terra così bella e cara, invoca su tutti la protezione di Celestino V, esortando a viva devozione per il Santo Pontefice, e recitando con il popolo, a conclusione dell'incontro, un Pater, Ave e Gloria, per propiziare le grazie celesti e quindi una preghiera per tutti i defunti.
(Leggi in originale)



Pellegrinaggio in Abruzzo - Omelia di Giovanni Paolo II

L'Aquila, 30 agosto 1980

Carissimi fratelli e sorelle d'Abruzzo e del Molise!

1. È una gioia per me trovarmi con voi in questo scenario stupendo, dove la Basilica di Collemaggio sembra essere stata costruita dalla mano dell'uomo per esprimere in una magnifica sintesi di arte e di preghiera ciò che la contemplazione delle vostre montagne suscita nel cuore: il senso dell'infinito, il verticalismo della vita, lo splendore di Dio, riflesso nel creato.

Forse anche san Bernardino da Siena, venuto qui per dare inizio alla sua predicazione nel regno di Napoli di allora, e da questa città chiamato a salire a un altro regno, contemplò e godette lo splendore di queste creature di Dio, che, come il poverello di Assisi, avrà salutato, chissà, col dolce appellativo di "sorelle".

Siamo qui riuniti nell'assemblea eucaristica per celebrare, in questa forma liturgica, il VI centenario di san Bernardino degli Albizzeschi, nato in terra toscana nel 1380, ma che per un misterioso disegno della provvidenza diventò, con la sua morte, cittadino anche de L'Aquila. Ed io voglio salutare voi tutti, cari fedeli aquilani; voi tutti cari pellegrini d'Abruzzo e del Molise e di altre regioni vicine e lontane; come tutti i figli di queste regioni che sono emigrati oltre i monti, oltre i mari e gli oceani, ma che spesso ritornano alla loro terra indimenticabile, e forse molti oggi si trovano qui con noi.

Voglio salutare i Vescovi qui presenti, le autorità dello Stato, della regione e dei comuni, e quelle militari, e tutti ringraziare, assieme ai loro collaboratori, che hanno prestato la loro opera per preparare questa celebrazione e per accogliere in questa città e regione, nella mia umile persona, il vicario di Cristo, il Vescovo di Roma. Saluto altresì, con particolare affetto, gli ammalati raccolti all'interno della Basilica, che ho potuto già prima della messa avvicinare personalmente. A tutti dico: il Signore sia con voi!

A questo punto dell'assemblea, dopo la liturgia della Parola, voglio anche offrirvi qualche spunto di riflessione sulle pagine del libro sacro che abbiamo udito.

2. La prima lettura ci ha ricordato alcuni ammonimenti del Siracide, questo sapiente scrittore dell'Antico Testamento, che difende il patrimonio religioso e culturale dei padri e raccomanda la modestia, l'umiltà, la fedeltà alla legge di Dio, come via della salvezza che fa trovare grazia dinanzi al Signore (Sir 3,19-21.30-31).

Il Vangelo di Luca (Lc 14,1.7-14), ricorda l'insegnamento di Gesù in casa di uno dei farisei che lo aveva invitato a pranzo, dinanzi alla gente che stava ad osservarlo (Lc 14,1.7-14): vedendo che gli invitati sceglievano i primi posti, Gesù insegna il galateo dell'umiltà, non solo a tavola, ma in tutta la vita cristiana, ammonendo: "Chiunque si esalta, sarà umiliato, e chi si umilierà sarà esaltato". Poi aggiunge la lezione del disinteresse, raccomandando al suo ospite di non invitare a pranzo i parenti e gli amici ricchi per averne il contraccambio. Infine gli segnala che la vera ricompensa del bene, che si fa agli indigenti, si trova in Dio, al quale si diventa più simili con la carità, fino alla piena gioia nella "risurrezione dei giusti".

3. Non vi sembra, carissimi fratelli e sorelle, che questi testi biblici costituiscano il piedistallo sul quale possiamo vedere elevato nella gloria dei "giusti" san Bernardino? Rimasto orfano di padre e di madre all'età di sei anni, il piccolo figlio degli Albizzeschi crebbe nel silenzio e nella virtù, tanto intento agli studi umanistici e giuridici, che però troncò a vent'anni per dedicarsi al servizio degli appestati nell'ospedale della Scala della sua città. Poi sentì il bisogno di nascondersi ancora di più, di scegliere l'"ultimo posto" tra i seguaci di san Francesco, pur riprendendo in mano i libri - che amava moltissimo - per approfondire il sapere, farsi una buona cultura teologica e prepararsi così all'apostolato della predicazione. E diventò predicatore pellegrinante di grande successo, cominciando il suo cammino apostolico a Genova, nel 1417, e passando poi in innumerevoli città e paesi dell'Italia settentrionale e centrale dove attirava folle strabocchevoli, e, ciò che più conta, operava conversioni, rappacificazioni, riforme, perché la gente si sentiva toccata dalla sua parola come da un soffio della grazia di Dio.

Ma più cresceva la sua popolarità, più egli si faceva piccolo. Non aspirava a grandi cose, ai "primi posti"; anzi, se essere nominato Vescovo poteva allora apparire come un passare ai "primi posti", per ben tre volte rifiutò di accettare, sentendo che la sua missione e il suo carisma erano quelli dell'umile fraticello che, di paese in paese, riaccende nella gente umile e viva, il senso cristiano della vita, la riscoperta del valore della semplicità e della povertà, e quello che con linguaggio moderno, che anch'io ho usato nel mio discorso all'Unesco (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio ad Unesco, 17, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III,1 1980, 1650), si può chiamare il "primato dell'essere sull'avere".

4. Era il significato più profondo della lezione di Siracide e più ancora di quella di Gesù sull'umiltà; a cui san Bernardino aggiungeva il richiamo al disinteresse, alla carità, e anzi alla giustizia, in un tempo nel quale il nuovo sviluppo dei commerci e degli scambi portava a un'espansione della finanza, nella quale il prestito ad usura diventava spesso il capestro dei poveri, mentre si ingrandivano i dislivelli sociali. Nella predicazione del santo si sente sempre fremere lo spirito di un uomo buono con i poveri, indulgente con i deboli, spesso portato all'umorismo dinanzi alla realtà della vita, ma forte, deciso e fermo contro il vizio e nel propugnare la giustizia e la carità. San Bernardino fu il propugnatore della legge di Dio e l'apostolo dei ceti popolari, come il suo padre san Francesco, come gli apostoli, come lo stesso Gesù.

5. Ma c'è nella vita e nella predicazione del santo qualcosa che ce lo fa apparire come colui che si immedesimò a livello di profondità con i bisogni spirituali del suo tempo e diventò l'araldo del divino messaggio, il Vangelo, e anzi del mistero che riempie il Vangelo e che fra Bernardino sintetizzava nel nome di Gesù Cristo.

Egli fu l'inventore e il propagatore del telegramma "IHS" (Ihesus), che fece dipingere in oro su delle tavolette, con tutt'attorno dei raggi, ai quali attribuiva particolari significati simbolici. Con questo mezzo fra Bernardino diffuse ovunque passava la devozione al santissimo Nome di Gesù, già praticata in monasteri e conventi da secoli, ma che ora diventava un bene comune del popolo cristiano.

Anche oggi sulle porte di molte chiese e di molte case, come anche di antichi palazzi pubblici, in molte città d'Italia, si vedono scolpiti quegli stemmi col Nome di Gesù. Come vorrei che la celebrazione del centenario bernardiniano contribuisse anche, e anzi soprattutto, a questo: a far tornare il Nome di Gesù, come segno della fede e della vita cristiana delle famiglie, sulla porta di casa, all'interno, in Italia e negli altri paesi. Lo chiedo ai padri e alle madri di famiglia, ma anche ai giovani che stimo e amo, e specialmente alle nuove coppie: riportate il Nome di Gesù nelle vostre case. Ve lo ripeto con le parole stesse di san Bernardino: "El nome di Gesù mettetelo nelle vostre case, nelle vostre camere e tenetelo nel cuore" (S. Bernardino da Siena, Quaresimale di Firenze, 1425, in "Le prediche volgari", Firenze 1940, II, pp. 190ss).

6. San Bernardino, nel suo tempo, ebbe l'intuizione che il mistero di Gesù, "via, verità, vita" (Gv 14,6), racchiuso nel suo nome, che significava "salvezza", era l'annuncio di cui avevano bisogno gli uomini di allora, come quelli di sempre, e perciò si dedicò alla predicazione del Vangelo sotto quel santo segno: "Rifugio dei penitenti, vessillo dei combattenti, medicina dei languenti, conforto dei sofferenti, onore dei credenti, splendore degli evangelizzanti, merito degli operanti, aiuto degli incostanti, sospiro dei meditabondi, esaudimento degli oranti, gusto dei contemplanti, gloria dei trionfanti". È la spiegazione data da fra Bernardino ai dodici raggi aurei che sulle sue tavolette circondano il telegramma "IHS" (cf. S. Bernardini da Siena, De glorioso nomine Jesu Christi, Sermo 49, "Opera", II, n. 293-302), suddivisi secondo la triplice classifica tradizionale degli imperfetti, dei proficienti, dei perfetti nella vita spirituale. Ma quel segno simbolico traduceva la sua scoperta di un Cristo che porta a tutti gli uomini, in tutti i tempi e in tutte le condizioni di vita, un messaggio salvifico di valore universale.

Così il Nome di Gesù diventò un soggetto vivo e vivificante nella sua predicazione per gli uomini del quattrocento, ed era una fiamma accesa anche su tutta la raggiera dei precetti di ordine morale, ai quali il santo richiamava gli individui, le famiglie, la società. La stessa morale cristiana trovava una nuova forza persuasiva e plasmatrice, perché diventava l'espressione e l'irradiazione di Cristo, maestro di vita.

Anche per noi si tratta di ricevere da san Bernardino il messaggio sul Cristo della nuova ed eterna alleanza, rinnovatore di tutte le cose (cf. Ap 21,5), vivificatore dell'uomo in tutte le dimensioni della sua esistenza.

7. È lo stesso messaggio che la Chiesa ci ha fatto ascoltare nel Concilio, del quale vi ricorderò soltanto una pagina della costituzione "Gaudium et Spes", dove si legge che "la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all'uomo, mediante il suo Spirito, la luce e la forza perché l'uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi. Crede ugualmente la Chiesa di trovare nel suo Signore e maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli" (Gaudium et Spes, 10).

Anche il mio predecessore Paolo VI, nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", ha affermato che "l'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta a ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso" (Paolo VI, Evangeli Nuntiandi, 27). Ed io stesso l'ho ripetuto nell'esortazione apostolica "Catechesi Tradendae": "L'oggetto essenziale e primordiale della catechesi è... il "mistero di Cristo". Lo scopo definitivo della catechesi è di mettere qualcuno, non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo: egli solo può condurre all'amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della santa Trinità" (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 5).

Carissimi fratelli e sorelle, quante volte ho proclamato questa certezza e questo impegno della Chiesa, sia nella mia enciclica "Redemptor Hominis", sia nei miei discorsi e nei miei incontri con gente di ogni età, categoria, nazionalità. Ed oggi voglio ripetere alla luce di san Bernardino, predicatore del Nome di Gesù, che finché il Signore mi darà vita e forze, io non mancherò di annunciare questa verità, di "gridarla sui tetti", come vuole il Maestro (cf. Mt 10,27), a Roma e dovunque potrò arrivare con i miei viaggi missionari: Gesù Cristo è il nostro redentore, nel suo nome è la nostra salvezza, nel suo Vangelo si trova la via, la verità, la vita, di cui hanno bisogno gli uomini di oggi, non meno di quelli ai quali si rivolgeva san Bernardino.

8. Nel concludere la mia omelia, io voglio auspicare e chiedere a nostro Signore Gesù Cristo, per intercessione di san Bernardino, di mandare alla Chiesa e al mondo molti missionari del Vangelo che portino dappertutto il messaggio della salvezza, perché ogni uomo è chiamato ad essere soggetto della missione del divin Salvatore, che si prolunga e realizza continuamente nella comunità della Chiesa. C'è bisogno di vocazioni sacerdotali e religiose come quella di Bernardino degli Albizzeschi; c'è bisogno di laici che sentano che anche a loro appartiene la missione salvifica della Chiesa e che si impegnino a parteciparvi nei modi loro propri, a somiglianza di quei più fedeli che sostenevano fra Bernardino nelle sue imprese apostoliche, o addirittura ne raccoglievano e trasmettevano le prediche.

Anche il laico deve essere una predica vivente. Deve essere un annuncio vivente del Vangelo. Perché il Vangelo è vivo e, come ha permeato la società italiana nei tempi perigliosi di san Bernardino, così deve oggi lievitare dal di dentro il mondo in cui viviamo, per mezzo dei cristiani.

Non di rado i valori del Vangelo sono, in questo tempo, contraddetti: occorre che i laici diano aperta, chiara, convinta testimonianza che soltanto in Cristo si trova la salvezza dell'uomo.

Soprattutto nella famiglia, che il Vaticano II ha stupendamente definito "il santuario domestico della Chiesa" (Apostolicam Actuositatem, 11), è necessario far argine contro i pericoli che minacciano di profanare questo santuario, di devastarne le sacre strutture: voglio dire l'edonismo che porta alla mancanza di amore tra i coniugi e verso i figli, all'infedeltà coniugale, al divorzio e all'aborto.

Soprattutto su quest'ultimo punto sento il grave dovere di invitarvi, come credenti, a porre tutta la vostra attenzione: non si può sopprimere la vita, non si può rifiutare la vita, dono di Dio; giungono notizie terribili sul triste primato che, in questo campo, si è raggiunto. San Bernardino ha avuto parole di fuoco contro tal male (S. Bernardino da Siena, Quaresimale di Firenze, 1425; "Prediche al Campo di Siena", 1427, Pred. XXXIX). E io, come vicario di colui che è la vita del mondo, alzo alta la mia umile voce in difesa di chi non ha avuto né mai avrà voce: Non si può sopprimere la vita nel seno della madre! I laici cattolici italiani ricordano certamente l'invito dei loro Vescovi, a "operare per un superamento della legge attuale, moralmente inaccettabile, con norme totalmente rispettose del diritto alla vita" (Istruzione pastorale del Consiglio Permanente della Cei, die 8 dec. 1978).

Nell'imminenza del Sinodo dei Vescovi, che farà proprie le ansie, le preoccupazioni, i problemi della famiglia, è necessario, da parte di tutti, una presa di coscienza, ferma e generosa, perché Dio continui a benedire tutte le famiglie cristiane, e le renda fari di luce e focolari di amore.

Il sacrificio della nuova alleanza, che ora ci accingiamo a celebrare, operi in noi con tutta la sua virtù onnipotente per renderci partecipi tutti della salvezza che viene da Cristo, e susciti in mezzo al Popolo di Dio nuovi apostoli religiosi e laici che sappiano annunciare e far amare, come san Bernardino, l'unico nostro salvatore Gesù Cristo: è la mia preghiera, a cui vi chiedo di associarvi; è la mia speranza, che vorrei accendere anche nei vostri cuori.
(Leggi in originale)
L'Autore
(inserito il 15 agosto 2005)




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