Mai Aggettivo Fu (Purtroppo) Più Appropriato
dal mensile "La città" di Teramo, dicembre 2009
di SIMONE GAMBACORTA
Di libri sul terremoto a L’Aquila ne sono usciti persino troppi. C’è puzza di bruciato, un bruciato che sa un po’ d’inflazione e un po’ di retorica. Le eccezioni si contano sulle dita di una mano e una di esse porta la firma di Angelo De Nicola.
Aquilano, giornalista, De Nicola è caposervizio del “Messaggero” ed ha alle spalle diverse fortunate pubblicazioni. La più recente s’intitola emblematicamente “Il nostro terremoto”, e mai aggettivo possessivo fu (purtroppo) più appropriato.
Di cosa si tratta? Di un libro che si è fatto da sé. Vediamo in che senso. Già dalla notte del 6 aprile, De Nicola ha fatto quel che un giornalista dovrebbe fare: si è messo a raccontare quel che succedeva. E così, sul quotidiano per cui scrive da anni, gli è stata affidata la rubrica “Diario di un terremotato”, nella quale il nostro ha pubblicato giorno dopo giorno il resoconto di esperienze vissute in prima persona.
A un certo punto De Nicola ha giustamente pensato di raccogliere gli articoli apparsi in quella rubrica e di farne un libro: quelle cronache sono così diventate la prima parte di questo volume.
Ma oltre che un racconto e un documento, queste pagine trafitte e pugnaci sono un viaggio nell’aquilanità. Viaggio nell’aquilanità significa viaggio in un sentimento di identità e di appartenenza ove pulsano quelle radici storiche e culturali che hanno consentito a una vera e propria “gens” di guardare da subito al domani, e di farlo partendo da un oggi che il tragico ieri del 6 aprile ha stravolto ma non sconfitto (si veda l’introduzione di Attilio Cecchini).
Nel libro c’è però anche altro, ed è il capitolo intitolato “Lettere da un terremoto”: le lettere sono quelle che gli aquilani hanno scritto nell’omonima rubrica messa loro a disposizione dal “Messaggero” (e curata anch’essa da De Nicola), e con le quali hanno dato vita a una coralità dove dolore e dignità convivono nel segno di una profonda volontà di rinascita.
di SIMONE GAMBACORTA
Di libri sul terremoto a L’Aquila ne sono usciti persino troppi. C’è puzza di bruciato, un bruciato che sa un po’ d’inflazione e un po’ di retorica. Le eccezioni si contano sulle dita di una mano e una di esse porta la firma di Angelo De Nicola.
Aquilano, giornalista, De Nicola è caposervizio del “Messaggero” ed ha alle spalle diverse fortunate pubblicazioni. La più recente s’intitola emblematicamente “Il nostro terremoto”, e mai aggettivo possessivo fu (purtroppo) più appropriato.
Di cosa si tratta? Di un libro che si è fatto da sé. Vediamo in che senso. Già dalla notte del 6 aprile, De Nicola ha fatto quel che un giornalista dovrebbe fare: si è messo a raccontare quel che succedeva. E così, sul quotidiano per cui scrive da anni, gli è stata affidata la rubrica “Diario di un terremotato”, nella quale il nostro ha pubblicato giorno dopo giorno il resoconto di esperienze vissute in prima persona.
A un certo punto De Nicola ha giustamente pensato di raccogliere gli articoli apparsi in quella rubrica e di farne un libro: quelle cronache sono così diventate la prima parte di questo volume.
Ma oltre che un racconto e un documento, queste pagine trafitte e pugnaci sono un viaggio nell’aquilanità. Viaggio nell’aquilanità significa viaggio in un sentimento di identità e di appartenenza ove pulsano quelle radici storiche e culturali che hanno consentito a una vera e propria “gens” di guardare da subito al domani, e di farlo partendo da un oggi che il tragico ieri del 6 aprile ha stravolto ma non sconfitto (si veda l’introduzione di Attilio Cecchini).
Nel libro c’è però anche altro, ed è il capitolo intitolato “Lettere da un terremoto”: le lettere sono quelle che gli aquilani hanno scritto nell’omonima rubrica messa loro a disposizione dal “Messaggero” (e curata anch’essa da De Nicola), e con le quali hanno dato vita a una coralità dove dolore e dignità convivono nel segno di una profonda volontà di rinascita.
(Angelo De Nicola, “Il nostro terremoto”, con un saggio di Attilio M. Cecchini, One Group Edizioni, pp. 280, sip)