Caro Angelo
di MAURIZIO DI BIAGIO
Caro Angelo
Non so come spiegarti il nostro stato d’animo dopo l’illuminante (non trovo altri termini) serata di ieri. Di certo, io e Mileda ti ringraziamo immensamente, espressione che potrebbe apparire formalmente svenevole. Quantomeno ti siamo grati di averci fatto capire diverse cose. In una sala dove necessariamente ci siamo sentiti due “pesci fuor d’acqua”, non per la partecipazione quanto per il peso della tragedia, in alcuni frangenti abbiamo addirittura evocato un “Nostro” terremoto tanto per ristabilire un feeling con la gente delle 3.32.
Siamo stati paradossalmente invidiosi della vostra catarsi collettiva e forza umana che va al di là della disgrazia contingente, e soprattutto abbiamo capito una cosa molto importante. Che non sono sufficienti servizi, rubriche e fondi nella carta stampata per fotografare quello che è accaduto il sei aprile, che non sono sufficienti maratone televisive per rendere giustizia ad un popolo ferito ma mai domo. Che non sono sufficienti tg, spezzoni di speciali, anche perché incastonati tra uno spot e qualche gol di campionato di calcio: nessuno in realtà potrà davvero leggere il ballo di quella notte, cogliere il significato profondo della tragedia, perché sui quotidiani l’aggettivo è labile e quasi sempre sfugge alla penna e alla sua reale intenzione. E nella tv l’immagine è traditrice.
Ti giuro Angelo, che dopo fiumi di inchiostro e di servizi pseudo dolorosi, ieri ho metabolizzato – e solo in parte – la reale portata del dramma della tua fiera tribù, ed è stata una fitta lancinante al petto, per tutto il tempo. Per la prima volta le lancette del nostro orologio hanno segnato le 3.32. Per la prima volta abbiamo compreso il motivo per cui Stuard si sia inceppato su quel maledetto numero. Per la prima volta abbiamo ballato con voi.
Teramo, 7 ottobre 2009
Caro Angelo
Non so come spiegarti il nostro stato d’animo dopo l’illuminante (non trovo altri termini) serata di ieri. Di certo, io e Mileda ti ringraziamo immensamente, espressione che potrebbe apparire formalmente svenevole. Quantomeno ti siamo grati di averci fatto capire diverse cose. In una sala dove necessariamente ci siamo sentiti due “pesci fuor d’acqua”, non per la partecipazione quanto per il peso della tragedia, in alcuni frangenti abbiamo addirittura evocato un “Nostro” terremoto tanto per ristabilire un feeling con la gente delle 3.32.
Siamo stati paradossalmente invidiosi della vostra catarsi collettiva e forza umana che va al di là della disgrazia contingente, e soprattutto abbiamo capito una cosa molto importante. Che non sono sufficienti servizi, rubriche e fondi nella carta stampata per fotografare quello che è accaduto il sei aprile, che non sono sufficienti maratone televisive per rendere giustizia ad un popolo ferito ma mai domo. Che non sono sufficienti tg, spezzoni di speciali, anche perché incastonati tra uno spot e qualche gol di campionato di calcio: nessuno in realtà potrà davvero leggere il ballo di quella notte, cogliere il significato profondo della tragedia, perché sui quotidiani l’aggettivo è labile e quasi sempre sfugge alla penna e alla sua reale intenzione. E nella tv l’immagine è traditrice.
Ti giuro Angelo, che dopo fiumi di inchiostro e di servizi pseudo dolorosi, ieri ho metabolizzato – e solo in parte – la reale portata del dramma della tua fiera tribù, ed è stata una fitta lancinante al petto, per tutto il tempo. Per la prima volta le lancette del nostro orologio hanno segnato le 3.32. Per la prima volta abbiamo compreso il motivo per cui Stuard si sia inceppato su quel maledetto numero. Per la prima volta abbiamo ballato con voi.
Teramo, 7 ottobre 2009
Con affetto Mileda e Maurizio