JEAN-PAUL SARTRE E SIMONE DE BEAUVOIR A CAMPO IMPERATORE
con Amedeo Esposito
intervista del 1952 (ripubblicata su ”Provinciaoggi” 22-24 luglio-dicembre 1990)
Fra le ricorrenze del 1990 di cui più diffusamente si è parlato e si parla sulla stampa di tutto il mondo, vi sono certamente quelle che riguardano Ignazio Silone, ”rivisitato” grazie al Premio internazionale a Lui intitolato; Jean Paul Sartre, a dieci anni dalla morte, e Albert Camus, Premio Nobel 1957 per la letteratura, a trenta anni dalla sua tragica scomparsa. Tre personaggi che nel tempo in cui vissero furono legati per vicende del tutto casuali.
Albert Camus, per esempio, fu accostato sempre a Silone, pur vivendo in una realtà diversissima. Constatazione questa non nostra, poiché ne hanno dato ampia testimonianza, fra gli altri, studiosi e letterati come Walter Mauro e Vittoriano Esposito nella sua ultima fatica letteraria ”Attualità di Silone” recensita su queste stesse colonne da Dario Di Gravio.
Anche se in misura inferiore rispetto a Camus, non sono mancate però accostamenti anche tra le opere di Sartre e quelle di Ignazio Silone.
Fra Silone e Sartre, pur in posizione ideologiche non certo convergenti, i rapporti furono intensi soprattutto nei primi anni del 1950. Lo testimoniano, oltreché le cronache del tempo, molti degli scritti di Sartre e della compagna di lunga parte della sua vita, la non meno nota scrittrice Simone de Beauvoir. Silone, Sartre e De Beauvoir si incontrarono molte volte in Francia e in Italia. Ne derivò per la coppia francese la necessità interiore - come scrissero - di visitare l’Abruzzo per «riascoltare» la lezione siloniana.
Jean-Paul Sartre, il filosofo di primo piano, romanziere e drammaturgo, dell’Ecole de Paris, dell’esistenzialismo, a dieci anni dalla morte, avvenuta a Parigi, si identifica ancora- scrive Pietro Prini- nella figura di un protagonista dell’impegno intellettuale nelle grandi questioni etiche e politiche del secondo dopo-guerra. Come non meno lo furono, nella descrizione del mondo degli oppressi, Silone e Camus, pur nelle sostanziali differenze dei due rispetto al Filosofo dell’esistenzialismo.
Nel 1952, tuttavia, non era così definita la «identificazione» di Sartre, quando decise di visitare la terra del suo amico Ignazio Silone. Lo aveva conosciuto personalmente dopo aver letto ”Fontamara”.
Il 10 settembre di quell’anno, non ancora il «maìtre à penser» che divenne successivamente per le masse giovanili francesi prima ed europee poi, Sartre giunse a Campo Imperatore. Debole eco, in quel tempo, si era avuta, almeno in Abruzzo, dei due primi suoi grandi traguardi: la clamorosa conferenza parigina, nella sala delle Conférences Maintenant, del 29 ottobre del 1945 su «L’Existentialisme est un humanisme» (L’Esistenzialismo è un umanismo), e il successo, senza precedenti nel suo genere, del dramma ”Il diavolo e il buon Dio”, rappresentato a Parigi senza soluzione di continuità dal 7 giugno del 1951 al marzo 1952.
Il «teorico dell’impegno, il pontefice dell’esistenzialismo» quella mattina salì sulla Funivia del Gran Sasso insieme con ”Castoro”.
«Visitiamo gli Abruzzi per continuare idealmente ad ”ascoltare” e ”vedere” la descrizione che di questa terra ci ha fatto il nostro amico Ignazio Silone». Fu l’unica risposta diretta che diede Sartre, perché poi solo la sua Compagna fu la nostra interlocutrice. Non fu difficile parlare con loro, riconoscibili, per l’inconfondibile stile francese, fra i dieci o dodici turisti presenti quella mattina nei pochi ambienti agibili dell’Albergo ”Amedeo di Savoia”.
Simone de Beauvoir e Sartre se noti nel mondo letterario italiano, non erano certo di casa sulle colonne della stampa corrente. L’unica notizia che di loro si ebbe, sempre quella mattina, proveniva da Milano. Sartre e ”Castoro” vi si erano recati per tenervi delle conferenze; «ma i nostri amici milanesi (n.d.r. Levi, Bompiani, Vigorelli, Veneziani, Fortini, Mondadori, etc.) temevano un ”aggressione neofascista: all’ingresso del cortile dove Sartre parlò, e fin sui podio, misero delle guardie armate di mitra», scrive Simone De Beauvorr ne ”La forza delle cose”.
Sicché ai giornali interessava l’uomo politico più che il filosofo, anche perché in quei mesi diffusamente si erano occupati della clamorosa rottura del sodalizio di amicizia e di pensiero politico, tra Sartre e Albert Camus, Premio Nobel l957 per la letteratura. Causa fu la ”stroncatura” da parte di Sartre de ”L’uomo in rivolta” di Camus.
Sul ”Corriere della sera” Carlo Bo, tracciando una sorta di ”vite parallele” tra Sartre e Camus, ha scritto che «i due scrittori hanno segnato l’evoluzione letteraria del periodo 1940-1960», e che «Sartre, morto a settantacinque anni, ha lasciato dei monumenti teorici e critici su cui non si è finito di indagare, Camus ha lasciato dei saggi e dei ”Carnets” dai quali è possibile intravvedere il fervore, la curiosità e sempre l’amore per la realtà, fosse soltanto quella della cronaca quotidiana». Affine a quella di Camus, per le doti letterarie e per la forza icastica della rappresentazione, l’opera di Silone non era e non poteva essere estranea a Sartre, come sostenne in più occasioni.
«La mitografia cosmogonica siloniana - scrive Walter Nauro - sottende la realtà come viaggio conoscitivo, e come tale in progressione verso quel disvelamento che Silone aveva d’altro canto ereditato da Albert Camus, lo scrittore forse più vicino come milizia umana e terrena all’autore di ”Vino e Pane”». Per questo, significativa rimane la dichiarazione di Camus: «Non credo in Dio e non sono ateo», fatta nel momento storico in cui Ignazio Silone si avviava a descriversi «socialista senza partito, cristiano senza chiesa».
Della presenza della coppia Sartre-De Beauvoir a Campo Imperatore, come cronista avemmo, quindi, il solo incarico di registrare eventuali reazioni o azioni, qualunque fossero, nei confronti dei due Personaggi decisamente e notoriamente allora favorevoli al comunismo dell’Est. Le ragioni della visita, infatti, soprattutto collegate ad Ignazio Silone, destarono l’interesse di qualche testata letteraria.
Sartre e «Castoro» quella mattina salirono «in teleferica in cima al Gran Sasso» per vedere «il lugubre albergo dove fu relegato Mussolini», come riferisce nelle sue memorie anche la stessa Scrittrice. Era ovviamente la Funivia costruita nel 1932 dal regime fascista, oggi sostituita da un’altra più funzionale, dopo la distruzione della prima investita da un masso di roccia staccatosi dalla montagna.
La coppia in quell’anno aveva già visitato molte zone dell’Italia meridionale per poi «passare per gli Abruzzi, sulle orme dell’infanzia» di Ignazio Silone, il quale «aveva il dono di saper raccontare». «La descrizione che mi fece della sua infanzia negli Abruzzi e dei suoi rudi contadini del suo villaggio, mi piacquero molto», annota sempre Simone De Beauvoir.
E della posizione politica dello Scrittore abruzzese che pensano?
«Di questo non parliamo!», fu la secca risposta dataci dalla Scrittrice che a Campo Imperatore (e non «in cima al Gran Sasso», come erroneamente scrive) ebbe, come sempre, il ruolo di ”portavoce” del Filosofo.
Allora Ignazio Silone, che da anni aveva detto no a Stalin, aveva già intuito l’ineluttabilità della fine del «socialismo reale» nei Paesi dell’Est. Caduta che si è portato dietro anche molta parte di «quello che fu Sartre».
«Il filosofo francese ha contribuito più di chiunque altro alla confusione che oggi lamentiamo. Grazie alla sua straordinaria intelligenza, ha mischiato tutte le carte», ha scritto di recente Mario Vargas Llosa, lo scrittore candidato alla Presidenza del Perù, vincitore del ”Premio Scanno ’89”, prima ammiratore di Sartre e poi critico acerrimo della sua opera. Estimatore attualmente- come ha dichiarato in Italia e in interviste rilasciate all’estero- degli scritti di Ignazio Silone.
Sartre e Simone de Beauvoir, dopo il 1952, non tornarono più in Abruzzo perché sostennero sempre «di conoscerlo profondamente dalle opere di Ignazio Silone».
Negli anni successivi, e fino al 1980, furono però costantemente presenti in Italia.
Il gran parlare che si è fatto durante il 1990, specie in Francia, di Jean-Paul Sartre, della sua opera e del suo tempo, ci ha riportati a quella lontanissima visita del Filosofo e di ”Castoro” a Campo Imperatore, inserita ormai negli ”annali non scritti” del Centro Turistico del Gran Sasso d’Italia, e di cui nessuno, ad eccezione di Simone de Beauvoir, ne ha mai fatto cenno.
intervista del 1952 (ripubblicata su ”Provinciaoggi” 22-24 luglio-dicembre 1990)
Fra le ricorrenze del 1990 di cui più diffusamente si è parlato e si parla sulla stampa di tutto il mondo, vi sono certamente quelle che riguardano Ignazio Silone, ”rivisitato” grazie al Premio internazionale a Lui intitolato; Jean Paul Sartre, a dieci anni dalla morte, e Albert Camus, Premio Nobel 1957 per la letteratura, a trenta anni dalla sua tragica scomparsa. Tre personaggi che nel tempo in cui vissero furono legati per vicende del tutto casuali.
Albert Camus, per esempio, fu accostato sempre a Silone, pur vivendo in una realtà diversissima. Constatazione questa non nostra, poiché ne hanno dato ampia testimonianza, fra gli altri, studiosi e letterati come Walter Mauro e Vittoriano Esposito nella sua ultima fatica letteraria ”Attualità di Silone” recensita su queste stesse colonne da Dario Di Gravio.
Anche se in misura inferiore rispetto a Camus, non sono mancate però accostamenti anche tra le opere di Sartre e quelle di Ignazio Silone.
Fra Silone e Sartre, pur in posizione ideologiche non certo convergenti, i rapporti furono intensi soprattutto nei primi anni del 1950. Lo testimoniano, oltreché le cronache del tempo, molti degli scritti di Sartre e della compagna di lunga parte della sua vita, la non meno nota scrittrice Simone de Beauvoir. Silone, Sartre e De Beauvoir si incontrarono molte volte in Francia e in Italia. Ne derivò per la coppia francese la necessità interiore - come scrissero - di visitare l’Abruzzo per «riascoltare» la lezione siloniana.
Jean-Paul Sartre, il filosofo di primo piano, romanziere e drammaturgo, dell’Ecole de Paris, dell’esistenzialismo, a dieci anni dalla morte, avvenuta a Parigi, si identifica ancora- scrive Pietro Prini- nella figura di un protagonista dell’impegno intellettuale nelle grandi questioni etiche e politiche del secondo dopo-guerra. Come non meno lo furono, nella descrizione del mondo degli oppressi, Silone e Camus, pur nelle sostanziali differenze dei due rispetto al Filosofo dell’esistenzialismo.
Nel 1952, tuttavia, non era così definita la «identificazione» di Sartre, quando decise di visitare la terra del suo amico Ignazio Silone. Lo aveva conosciuto personalmente dopo aver letto ”Fontamara”.
Il 10 settembre di quell’anno, non ancora il «maìtre à penser» che divenne successivamente per le masse giovanili francesi prima ed europee poi, Sartre giunse a Campo Imperatore. Debole eco, in quel tempo, si era avuta, almeno in Abruzzo, dei due primi suoi grandi traguardi: la clamorosa conferenza parigina, nella sala delle Conférences Maintenant, del 29 ottobre del 1945 su «L’Existentialisme est un humanisme» (L’Esistenzialismo è un umanismo), e il successo, senza precedenti nel suo genere, del dramma ”Il diavolo e il buon Dio”, rappresentato a Parigi senza soluzione di continuità dal 7 giugno del 1951 al marzo 1952.
Il «teorico dell’impegno, il pontefice dell’esistenzialismo» quella mattina salì sulla Funivia del Gran Sasso insieme con ”Castoro”.
«Visitiamo gli Abruzzi per continuare idealmente ad ”ascoltare” e ”vedere” la descrizione che di questa terra ci ha fatto il nostro amico Ignazio Silone». Fu l’unica risposta diretta che diede Sartre, perché poi solo la sua Compagna fu la nostra interlocutrice. Non fu difficile parlare con loro, riconoscibili, per l’inconfondibile stile francese, fra i dieci o dodici turisti presenti quella mattina nei pochi ambienti agibili dell’Albergo ”Amedeo di Savoia”.
Simone de Beauvoir e Sartre se noti nel mondo letterario italiano, non erano certo di casa sulle colonne della stampa corrente. L’unica notizia che di loro si ebbe, sempre quella mattina, proveniva da Milano. Sartre e ”Castoro” vi si erano recati per tenervi delle conferenze; «ma i nostri amici milanesi (n.d.r. Levi, Bompiani, Vigorelli, Veneziani, Fortini, Mondadori, etc.) temevano un ”aggressione neofascista: all’ingresso del cortile dove Sartre parlò, e fin sui podio, misero delle guardie armate di mitra», scrive Simone De Beauvorr ne ”La forza delle cose”.
Sicché ai giornali interessava l’uomo politico più che il filosofo, anche perché in quei mesi diffusamente si erano occupati della clamorosa rottura del sodalizio di amicizia e di pensiero politico, tra Sartre e Albert Camus, Premio Nobel l957 per la letteratura. Causa fu la ”stroncatura” da parte di Sartre de ”L’uomo in rivolta” di Camus.
Sul ”Corriere della sera” Carlo Bo, tracciando una sorta di ”vite parallele” tra Sartre e Camus, ha scritto che «i due scrittori hanno segnato l’evoluzione letteraria del periodo 1940-1960», e che «Sartre, morto a settantacinque anni, ha lasciato dei monumenti teorici e critici su cui non si è finito di indagare, Camus ha lasciato dei saggi e dei ”Carnets” dai quali è possibile intravvedere il fervore, la curiosità e sempre l’amore per la realtà, fosse soltanto quella della cronaca quotidiana». Affine a quella di Camus, per le doti letterarie e per la forza icastica della rappresentazione, l’opera di Silone non era e non poteva essere estranea a Sartre, come sostenne in più occasioni.
«La mitografia cosmogonica siloniana - scrive Walter Nauro - sottende la realtà come viaggio conoscitivo, e come tale in progressione verso quel disvelamento che Silone aveva d’altro canto ereditato da Albert Camus, lo scrittore forse più vicino come milizia umana e terrena all’autore di ”Vino e Pane”». Per questo, significativa rimane la dichiarazione di Camus: «Non credo in Dio e non sono ateo», fatta nel momento storico in cui Ignazio Silone si avviava a descriversi «socialista senza partito, cristiano senza chiesa».
Della presenza della coppia Sartre-De Beauvoir a Campo Imperatore, come cronista avemmo, quindi, il solo incarico di registrare eventuali reazioni o azioni, qualunque fossero, nei confronti dei due Personaggi decisamente e notoriamente allora favorevoli al comunismo dell’Est. Le ragioni della visita, infatti, soprattutto collegate ad Ignazio Silone, destarono l’interesse di qualche testata letteraria.
Sartre e «Castoro» quella mattina salirono «in teleferica in cima al Gran Sasso» per vedere «il lugubre albergo dove fu relegato Mussolini», come riferisce nelle sue memorie anche la stessa Scrittrice. Era ovviamente la Funivia costruita nel 1932 dal regime fascista, oggi sostituita da un’altra più funzionale, dopo la distruzione della prima investita da un masso di roccia staccatosi dalla montagna.
La coppia in quell’anno aveva già visitato molte zone dell’Italia meridionale per poi «passare per gli Abruzzi, sulle orme dell’infanzia» di Ignazio Silone, il quale «aveva il dono di saper raccontare». «La descrizione che mi fece della sua infanzia negli Abruzzi e dei suoi rudi contadini del suo villaggio, mi piacquero molto», annota sempre Simone De Beauvoir.
E della posizione politica dello Scrittore abruzzese che pensano?
«Di questo non parliamo!», fu la secca risposta dataci dalla Scrittrice che a Campo Imperatore (e non «in cima al Gran Sasso», come erroneamente scrive) ebbe, come sempre, il ruolo di ”portavoce” del Filosofo.
Allora Ignazio Silone, che da anni aveva detto no a Stalin, aveva già intuito l’ineluttabilità della fine del «socialismo reale» nei Paesi dell’Est. Caduta che si è portato dietro anche molta parte di «quello che fu Sartre».
«Il filosofo francese ha contribuito più di chiunque altro alla confusione che oggi lamentiamo. Grazie alla sua straordinaria intelligenza, ha mischiato tutte le carte», ha scritto di recente Mario Vargas Llosa, lo scrittore candidato alla Presidenza del Perù, vincitore del ”Premio Scanno ’89”, prima ammiratore di Sartre e poi critico acerrimo della sua opera. Estimatore attualmente- come ha dichiarato in Italia e in interviste rilasciate all’estero- degli scritti di Ignazio Silone.
Sartre e Simone de Beauvoir, dopo il 1952, non tornarono più in Abruzzo perché sostennero sempre «di conoscerlo profondamente dalle opere di Ignazio Silone».
Negli anni successivi, e fino al 1980, furono però costantemente presenti in Italia.
Il gran parlare che si è fatto durante il 1990, specie in Francia, di Jean-Paul Sartre, della sua opera e del suo tempo, ci ha riportati a quella lontanissima visita del Filosofo e di ”Castoro” a Campo Imperatore, inserita ormai negli ”annali non scritti” del Centro Turistico del Gran Sasso d’Italia, e di cui nessuno, ad eccezione di Simone de Beauvoir, ne ha mai fatto cenno.
NOTA BIBLIOGRAFICA
- P. Prini, ”Ieri 1990”, Edizioni Eri, Torino 1989
- I. Silone, ”L’Avventura di un Povero Cristiano”, Milano, Mondadori 1978
- A. Esposito, ”Abruzzo che fa notizia”, L’Aquila Tazzi Editore, 1986
- S. de Beauvoir, ”La forza delle cose”, Torino, Einaudi 1978
- C. Bo, ”Camus e Sartre vite parallele”, Corriere della Sera, 27 gennaio 1990
- A. Camus, ”Scrittori del mondo: i Nobel”, Torino, Utet 1965
- C.Vergani, ”Vargas Llosa: la cultura al potere”, Mercurio 24 marzo 1990
- V. Esposito, ”Attualità di Silone”, Edizioni dell’Urbe
- W. Mauro, ”Atti Convegno Internazionale su Silone” - 1988